Probabilmente . . .
Il Devoto, però, fu di diverso avviso. Scrisse di “refrattarietà , non rifiuto pregiudiziale, ma inquadramento (1) nelle serie di “e” e “i”. Cioè incapacità involontaria di accogliere il tipo genovese.” Cose analoghe anche per la Spezia, anche se, in un intervento precedente, è stato chiarito che ü - ma non ö - arriva fino alla Spezia inclusa. Ma non riesce a procedere oltre. L’autore citato non chiarisce ulteriormente, ma si può pensare che avesse in mente “ipotesi di sostrato”. Non sostrati “mitici” come quelli di alcune teorie non condivisibili. Ma, più semplicemente, il sostrato considerato come la precedente situazione storica - non “mitica” - di territori che non possedevano determinati fonemi e li hanno successivamente accolti in seguito alla propagazione di un modello linguistico più prestigioso. Una specie di teoria “eliocentrica” che considera Genova il centro propulsivo innovatore dal quale promanano le innovazioni linguistiche - tra cui ö e ü - le quali si propagano lungo il territorio. Come se, ad es., la Spezia avesse precedentemente avuto condizioni molto simili a quelle delle varietà linguistiche della Lunigiana (2) e Pigna o, ad es., Briga/la Brigue (3) - in val Roia, all’estremo occidentale del dominio linguistico ligure - provenissero da una struttura linguistica precedente priva dei fonemi in questione. Pigna, ad es., ha “cève” = piove (proprio come alla Spezia) e “frita” = frutta, che si oppongono ai “tipi” liguri “normali”: “ciőve” e “frűta”. Mentre Briga conosce ö, ma ö non vi si trova presente in tutte le occorrenze in cui si può - invece - riscontrare nei dialetti liguri meno “eccentrici”. Infatti, ad es., Briga “risponde” con “roa” = ruota, “foŕa” = fuori, “noŕa” = nuora e “soŕa” = suola et c. ai “tipi” panliguri “rőa”, “fő(ŕ)a”(4), “nő(ŕ)a”, “ső(ŕ)a” et c. . . . Tutte forme con ŏ originaria in sillaba aperta (5).
Si tratta di una teoria ancora accettabile “in toto” alla luce dei più recenti sviluppi delle scienze linguistiche? Qualcosa di vero potrebbe pur esserci.
Per altro, ammesso che la questione possa mai interessare a qualcun altro oltre a noi che scriviamo - del che dubito

-, non credo si potrà mai giungere a ottenere una prova provata. Di queste parlate “marginali” - geograficamente - non esistono, tipicamente, documentazioni antiche. Ma, se anche esistessero, potremmo essere davvero certi dell’attendibilità delle grafie riportate?
(1) a Pigna, ad es., in luogo di “ö” e “ü” - nota dello scrivente - ;
(2) Praticamente tutte le parlate del “mosaico” lunigianese - anche quelle che si trovano all’interno dei confini amministrativi della Liguria - non conoscono né ö né ü. Fanno eccezione i territori di solo 4 comuni: Pontremoli, Filattiera, Mulazzo e Zeri, situati a Nord, al confine coll’Emilia. E, per quanto riguarda Pontremoli, Filattiera e Mulazzo, nemmeno in tutta l’estensione dei rispettivi territori comunali;
(3) dal 1947 Francia;
(4) (ŕ) indica semplicemente che ŕ non è più pronunciata - ŕ = 0 - nelle varietà liguri più “innovative” - ad es., nel genovese - ;
(5) lo stesso fonema originario - ŏ - fornisce, in sillaba tonica aperta, “uò” in italiano e “ő” nei dialetti liguri. Si può generalizzare e schematizzare il fenomeno dell’evoluzione linguistica semplificando un po’ i processi e il contesto coinvolti e scrivere che una stessa forma originaria - “nŏra(m)” - inserita in ingresso (“input”) a diversi sistemi linguistici produce “esiti” differenti: nuora, “noŕa”, “nő(ŕ)a”(4)