1) “Relativismo”?
E’ un termine “filosofico”. Avevo - semplicemente - cercato di esemplificare il concetto di “sistemi di riferimento” in senso oggettivamente scientifico.
2) “Ragionamento assoluto”?
In realtà, nessuno di noi fa ragionamenti veramente “assoluti” - l’etimo della parola implica il significato di “slegato/sconnesso” -. Anche perché siamo fortemente collegati al nostro linguaggio e al nostro contesto culturale - educazione, scolarizzazione, socializzazione et c. - .
Insomma, alle “costruzioni sociali” nell’ambito delle quali viviamo e che “interagiscono” significativamente coi nostri aspetti cognitivi e colle nostre rappresentazioni mentali.
Nell’esempio proposto e relativo all’orientamento, sono presenti - più o meno consapevolmente a seconda della persona - tre rappresentazioni mentali: l’allineamento dorso/ventrale, quello sinistra/destra e il collegamento - in questo caso, esattamente “ortogonale” - tra i due allineamenti riferiti. Non proprio “assolutezza del ragionamento”!.

Per altro, mi rendo conto - e apprezzo - che, nell’intervento, il termine “assoluto” viene usato con un po’ d’ironia.

Nessuno di noi effettua davvero processi cognitivi “assoluti”. Anche per il solo fatto di aver avuto una madre - “umana” - e di trascorrere la nostra esistenza in una ben determinata compagine sociale. I cosiddetti “bambini selvaggi” - recuperati alla vita “civile” dalle selve - non riuscirono mai a parlare - in alcuni casi, solo poche parole - né fornirono mai evidenze di un tipo di ragionamento comparabile con quello dei bambini “tipici”. Quindi, ogni tipo di ragionamento proviene da una “relazione”.
3) “A mio favore?”
Ovviamente, non c’è nulla di personale da parte mia e - lo do per scontato - nemmeno da parte di altri nei miei confronti.

Inoltre, se avessi esposto una mia tesi personale, l’avrei esplicitato. Mi sono solo permesso di riferire quella che è la situazione italiana relativamente alle due metriche di calcolo dei gradi di parentela citate. In altre culture possono esisterne altre e anche in numero diverso.
4) Differenza tra parenti e cugini?
Nessuna. La “cuginanza”

è - a pienissimo titolo - un vincolo di parentela. Esiste, nel Codice italiano, distinzione tra parenti e affini. Ma i cugini sono - a tutti gli effetti - parenti e non affini. E così anche nel linguaggio comune. Non va affatto ritenuto discordante che il Codice proponga una propria metrica in merito alla valutazione dei gradi di parentela. Ogni settore professionale dispone di metodiche specifiche e di termini “specialistici”, ma ciò non implica che non siano pienamente “legittimi” quelli della lingua che noi parliamo quotidianamente. E’ - ad es. - assolutamente normale che una signora ottantacinquenne di scarsa cultura ricoverata esprima i propri sintomi con termini diversi da quelli consolidati nella semeiotica medica. E così - più o meno - fa chiunque non sia - contemporaneamente - paziente e medico.
5) Non è questione di ragione o torto.
Non siamo assolutamente tenuti a essere “manichei”. Si tratta - assai più semplicemente - di due metriche parallele che convivono e la cui “transcodifica” risulta per tutti immediata. Il concetto di “biscuginanza”

, ad es., fa parte - a pieno titolo - della nostra cultura e della nostra lingua. E’ perfettamente consolidato nel linguaggio dei colti e dei meno colti e convive colla metrica - diversa - dell’attuale codice e col linguaggio "professionale" di avvocati e giudici. Che - al di fuori del ruolo professionale e, ad es., della valutazione dei gradi di parentela ai fini della ripartizione ereditaria - parlano tranquillissimamente di "biscuginanza"

come tutti noi. Così come conviveva colle diverse metriche di codici particolari che precedettero quelli dell’Italia unita, quando la legislazione si differenziava a seconda degli stati sovrani preunitari.
L’editore Treccani o la Crusca non potrebbero far altro che confermare quanto costituisce la realtà dell’uso del linguaggio italiano attuale e di alcune sue articolazioni specifiche o professionali.
Cordialmente