«Reboante» o «roboante»?
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«Reboante» o «roboante»?
Si dice reboante. La sua variante roboante, anche se piú diffusa, non è corretta. Non esiste, infatti, il prefisso ro-. Il termine viene dall'accusativo latino reboante(m), participio presente di reboare (risuonare, rimbombare). Mi domando, quindi, con quale "coraggio linguistico" buona parte dei vocabolari ammettano questa variante.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Ma almeno anche un dizionario estremamente ligio all’uso come il GRADIT rimanda da roboante a reboante.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
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Se n'era già parlato (anche con un'osservazione di Luca Serianni), qui.
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Avevo già posto lo stesso quesito alla Crusca, e mi sembra che non avesse escluso drasticamente l'altra forma, ma forse non ricordo bene. Ero curiosa di avere un'autorevole opinione in merito, visto che da ragazza, venuta a conoscenza di quanto da voi sopra esposto, scrissi"reboante" in un compito di italiano, e me lo vidi segnare come errore. 
Comunque è vero che personalmente non ho MAI sentito nessuno usare "reboante" nel linguaggio parlato(e nemmeno in quello scritto, a dire il vero).
Mi dispiace per i puristi, ma ormai"roboante" è ampiamente predominante nella lingua viva; "reboante" è desueto e va verso l'estinzione. Panta rei.

Comunque è vero che personalmente non ho MAI sentito nessuno usare "reboante" nel linguaggio parlato(e nemmeno in quello scritto, a dire il vero).
Mi dispiace per i puristi, ma ormai"roboante" è ampiamente predominante nella lingua viva; "reboante" è desueto e va verso l'estinzione. Panta rei.

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E' un gatto che si morde la coda. Una cosa diviene "desueta" quando non la usiamo più, e non la usiamo più quando ci sentiamo in colpa perchè è "desueta".
Quello che entra in gioco è la prospettiva da cui si guarda un fenomeno.
Una volta, davanti a un termine del registro scritto, la "persona della strada" si sentiva un po' in soggezione, e si affrettava - nemmeno con troppo sforzo, poi - a impararlo, per non essere "ignorante".
Oggi invece, la suddetta persona che incontra un termine nuovo, è portata a pensare che il suo "sapere minimo" in campo linguistico sia invece la norma e il massimo possibile, e quindi istintivamente pensa che chi usa tutta la gamma offerta dal vocabolario italiano sia in realtà obsoleto, oppure voglia far pesare una qualche superiorità.
Che detto fra di noi di fatto esiste, perché la ristretta cerchia dei cultori e delle cultrici della lingua ha comunque maggiori possibilità di comprendere tutto ciò che è stato scritto in letteratura sino a vent'anni fa (includendo Manzoni, Verga, Leopardi, etc. etc. etc.), e inoltre ha strumenti più raffinati per esprimere un maggior numero di sfumature (con faccina spernacchiante, mi spiace, a chi decide coscientemente di perdersi questa potenzialità).
Quello che entra in gioco è la prospettiva da cui si guarda un fenomeno.
Una volta, davanti a un termine del registro scritto, la "persona della strada" si sentiva un po' in soggezione, e si affrettava - nemmeno con troppo sforzo, poi - a impararlo, per non essere "ignorante".
Oggi invece, la suddetta persona che incontra un termine nuovo, è portata a pensare che il suo "sapere minimo" in campo linguistico sia invece la norma e il massimo possibile, e quindi istintivamente pensa che chi usa tutta la gamma offerta dal vocabolario italiano sia in realtà obsoleto, oppure voglia far pesare una qualche superiorità.
Che detto fra di noi di fatto esiste, perché la ristretta cerchia dei cultori e delle cultrici della lingua ha comunque maggiori possibilità di comprendere tutto ciò che è stato scritto in letteratura sino a vent'anni fa (includendo Manzoni, Verga, Leopardi, etc. etc. etc.), e inoltre ha strumenti più raffinati per esprimere un maggior numero di sfumature (con faccina spernacchiante, mi spiace, a chi decide coscientemente di perdersi questa potenzialità).
Pregiatissima Domna Charola, per quanto mi riguarda non sono i sensi di colpa che mi inibiscono in merito ad un eventuale uso o non uso di questo o quel termine. Il mio sapere linguistico, che magari dall’alto della sua certamente sterminata cultura potrà parere ben poca cosa, a me è più che sufficiente in relazione all’uso che ne faccio. Uso che –tengo a sottolineare- non si limita esclusivamente alla contrattazione sul prezzo dei broccoli al mercato rionale.
Da parte mia, ho letto Manzoni, Verga, Leopardi e molti altri, e credo di aver compreso abbastanza bene ciò che scrivevano malgrado la mia estraneità alla ristretta cerchia di eruditi da Ella menzionata e alla quale Ella sicuramente appartiene.
Nessuna faccina spernacchiante da parte mia: la riterrei una grande caduta di stile, indegna perfino di una povera ignorante come me.
P.S. (includendo Manzoni, Verga, Leopardi, etc. etc. etc.) Non me ne voglia, ma le norme vigenti suggeriscono che tra “Leopardi” ed “etc.” non vada apposta alcuna virgola.
Cordiali saluti
Da parte mia, ho letto Manzoni, Verga, Leopardi e molti altri, e credo di aver compreso abbastanza bene ciò che scrivevano malgrado la mia estraneità alla ristretta cerchia di eruditi da Ella menzionata e alla quale Ella sicuramente appartiene.
Nessuna faccina spernacchiante da parte mia: la riterrei una grande caduta di stile, indegna perfino di una povera ignorante come me.
P.S. (includendo Manzoni, Verga, Leopardi, etc. etc. etc.) Non me ne voglia, ma le norme vigenti suggeriscono che tra “Leopardi” ed “etc.” non vada apposta alcuna virgola.
Cordiali saluti
Suvvia non se la prenda: la faccina non era rivolta a lei, ma a tutti quelli che pontificano di lingua sui «sacri luoghi» come canali televisivi e blogghi, senza aver cura neppure di aprire neppure un dizionario prima di dire ciò che va bene e ciò che non va bene secondo loro.Smaralda ha scritto:Ma padronissimo, professore!
In ogni caso, io non sono «professore», e se ho sfoggiato (involontariamente) un tono professorale, me ne scuso: ritengo anzi ridicola l'abitudine italica a definirsi «professore» senza essere titolare di una cattedra universitaria: basta aver fatto un paio di mesi di docenza alle medie che uno è automaticamente «professore». Rifuggo persino dal titolo di «dottore», pur avendo un titolo universitario; per me vale l'uso anglosassone: dottore è un laureato in medicina o uno che ha fatto il dottorato di ricerca, gli altri sono «semplici» laureati.
- Ferdinand Bardamu
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La risposta della Crusca.Smaralda ha scritto: Avevo già posto lo stesso quesito alla Crusca, e mi sembra che non avesse escluso drasticamente l'altra forma, ma forse non ricordo bene. Ero curiosa di avere un'autorevole opinione in merito, visto che da ragazza, venuta a conoscenza di quanto da voi sopra esposto, scrissi"reboante" in un compito di italiano, e me lo vidi segnare come errore.

È vero che roboante è predominante (basta una ricerca in rete...).Smaralda ha scritto:Mi dispiace per i puristi, ma ormai"roboante" è ampiamente predominante nella lingua viva; "reboante" è desueto e va verso l'estinzione. Panta rei.![]()
Sembrerebbe che la forma neutra sia ormai roboante ma non possiamo disconoscere i diritti di reboante.
Concluderei definendo accettabili entrambe le varianti.

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
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Sinceramente, io ho scritto in risposta e a commento di quanto scritto dall'utente Carnby, considerando che in generale sul concetto di "desueto" opera un preciso meccanismo.Smaralda ha scritto:Pregiatissima Domna Charola, per quanto mi riguarda non sono i sensi di colpa che mi inibiscono in merito ad un eventuale uso o non uso di questo o quel termine.
Se poi lei si sente chiamata in causa, lo ritengo indipendente dalla constatazione in sé.
Personalmente, per motivi di lavoro ho affrontato spesso la questione dei termini poco usati o troppo tecnici, e continuo con assoluta convinzione a pensare che, se un termine viene usato nel contesto, se ne diffonde l'uso, e la lingua ci guadagna.
Se poi si fa divulgazione o comunque attività di formazione su temi specifici, ritengo basilare perseverare in questo approccio.
Gli studenti che davanti a un documento in corso (non antiquato, tutt'oggi prodotto) si trovano a disagio nel leggere "opificio", "guado", "colle" etc., ricavano più giovamento a imparare questi termini in poche decine di minuti, che nel trincerarsi dietro un "sono desueti".
Nel secondo caso, semplicemente, la persona si preclude delle possibilità di lettura e di conoscenza di materiali scritti che possono avere un certo interesse per lui; citavo la crema del mondo scritto, i grandi Autori, per avere un esempio eclatante e indiscutibile, ma posso dire lo stesso anche per un documento tecnico come la cartografia ufficiale di uno Stato, anche se non ha lo stesso pregio letterario.
Anche nel caso però che non riuscissi convincente con questi studenti, resta il fatto che io *desuetamente quelle scartoffie le leggo e le comprendo, loro no (e qui, nel parlato ci metteremmo un "tié, arrangiati"; sulla rete, è invalso l'uso invece delle faccine).
Il dato di fatto è che una volta l'idea di ampliare gli orizzonti era guardata come un valore positivo.
Oggi, una certa banalizzazione legata forse alla maggior velocità negli scambi, sta portando a un diffuso atteggiamento del tipo: "io amo la cultura, voglio interessarmi di cose alte, però sono quelli che trattano questi argomenti a sbagliare, perché usano un linguaggio che non si usa colloquialmente per strada".
In quest'ottica, si pretende di appiattire la comunicazione a pochi termini semplici, perdendo peraltro molto in spessore e precisione.
Ora, non è il caso di roboante/reboante, che grossa differenza di comprensione non c'è.
Però in molti altri casi, si punta l'indice accusatore ("Desueto!!!..." ) su parole che fino a qualche anno fa si sarebbero appuntate, per verificarle sul vocabolario e poi impararle.
Di fatto, stiamo passando dal "ora ti faccio vedere che ho imparato anch'io a parlare come chi si occupa dell'argomento" al "ma smettila di far vedere che sai le cose e parla come mangi".
E' l'atteggiamento e la sua diffusione in sé che mi preoccupa, perché "la lingua si evolve" sta trasformandosi in una comoda scusante per sedersi, anziché camminare ad esplorarla.
E, nella quantità di persone con cui ho avuto a che fare, questa situazione mi è parsa tangibile e effettiva.
Ovvio che non avendo mai avuto a che fare con lei personalmente, è esclusa a priori dal ragionamento, che parte da dati sperimentali e ne trae delle considerazioni conseguenti.
A volte a scrivere ci si spiega male, a volte a leggere di corsa ci si lascia travolgere dalla prima impressione.
Fuori splende il sole, suvvia... non pensi che il mondo ce l'ha con lei e dietro ogni affermazione generica, riferita a un insieme anonimo e impersonale, si celi un bieco giro di frase per riferirsi a lei nella fattispecie!
Le "persone della strada" (la "gente", con un termine abusato) sono milioni e milioni, e non necessariamente ci si deve sentire compresi fra esse.
Dimenticavo: ammetto che - come dice un mio amico - le virgole "le acquisto con le offerte speciali" e quindi talvolta non faccio caso a un loro deprecabile spreco

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