[LIJ] «Abaén» ~ «abaèn»
Moderatore: Dialettanti
[LIJ] «Abaén» ~ «abaèn»
Come si dice abatino in genovese? La parola italiana abbaino deriva appunto dall'abatino genovese secondo la maggior parte dei dizionari etimologici ma la voce originaria è scritta in molti modi differenti: abaén, abaèn, abbaén ecc.
[LIJ] LASTRE D'ARDESIA O ABBAINI?
Non esiste traduzione letterale. L’ ”abou [a’bou]” era un laico. Vestito, ovviamente, senza l’abito talare. Rappresentante di una carica pubblica popolare che non sopravvisse al crollo dell’antica repubblica. E il nome non venne riassegnato al clero, ma cadde semplicemente in disuso. Va notato che "abou" implica "abbate". Da "abate" si sarebbe avuto "avou".
Per altro, ogni anno l’Abou si reca a porgere gli auguri di Natale (Dênâ) al sindaco appellandolo - all’antica - dűxe. Secondo una tradizione e una cerimonia ormai non più “sentita” e quasi totalmente ignorata dalla cittadinanza. Nel contado, l’abou era la persona che organizzava cerimonie e festeggiamenti locali. Comunque, laico e - come tale - abbigliato.
Il superiore dei monaci era detto “priû [‘prju.u]. U sciû priû = il signor priore . . . Altri tempi . . . Monosillabo, non bisillabo come pronuncerebbe un moderno “cultore”. Non "abou" - s’è scritto -.
L’abate Mangini - ad es. - era detto “præ [‘prε.ε] Mangin o Mangîni - più “modernamente -“. Come nel caso di un qualsiasi don . . . = præ . . . . L'uso del "don" per rivolgersi agli ecclesiastici è - a Genova - "storicamente" recente. Un “abatino” - in talare o in metafora - era un “prævettu”, un “prævetin” . . . Tuttora - in Corsica - si dice prete Carlotti, ad es, e non don Carlotti per designare l’abbé Carlotti.
“Abæn [a’bεεŋ]” è l’ardesia, anche nel particolare formato adoperato per coprire i tetti. Fino a tempi recenti le “téggule” erano sconosciute. La voce viene dalla val Fontanabuona, luogo di estrazione, ed è parola molto antica, tipica del mestiere dei muratori. Attestata - in “latino” - fin dal secolo XIII. Chi non era muratore ha sempre parlato di “ciappe (d’abæn)” = lastre (d’ardesia). Normalmente, solo di “ciappe”.
Per altro, l’abbaino era detto dai vecchi “lüxernâ” - di chiaro etimo - e, nonostante la vicinanza della cittadina, la lavagna - in genovese - è un italianismo. Basta.

Il superiore dei monaci era detto “priû [‘prju.u]. U sciû priû = il signor priore . . . Altri tempi . . . Monosillabo, non bisillabo come pronuncerebbe un moderno “cultore”. Non "abou" - s’è scritto -.
L’abate Mangini - ad es. - era detto “præ [‘prε.ε] Mangin o Mangîni - più “modernamente -“. Come nel caso di un qualsiasi don . . . = præ . . . . L'uso del "don" per rivolgersi agli ecclesiastici è - a Genova - "storicamente" recente. Un “abatino” - in talare o in metafora - era un “prævettu”, un “prævetin” . . . Tuttora - in Corsica - si dice prete Carlotti, ad es, e non don Carlotti per designare l’abbé Carlotti.
“Abæn [a’bεεŋ]” è l’ardesia, anche nel particolare formato adoperato per coprire i tetti. Fino a tempi recenti le “téggule” erano sconosciute. La voce viene dalla val Fontanabuona, luogo di estrazione, ed è parola molto antica, tipica del mestiere dei muratori. Attestata - in “latino” - fin dal secolo XIII. Chi non era muratore ha sempre parlato di “ciappe (d’abæn)” = lastre (d’ardesia). Normalmente, solo di “ciappe”.
Per altro, l’abbaino era detto dai vecchi “lüxernâ” - di chiaro etimo - e, nonostante la vicinanza della cittadina, la lavagna - in genovese - è un italianismo. Basta.
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Re: [LIJ] LASTRE D'ARDESIA O ABBAINI?
Lei parla del Confêugo!ippogrifo ha scritto:Per altro, ogni anno l’Abou si reca a porgere gli auguri di Natale (Dênâ) al sindaco appellandolo - all’antica - dűxe. Secondo una tradizione e una cerimonia ormai non più “sentita” e quasi totalmente ignorata dalla cittadinanza.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
[LIJ] DIGNITA' ECCLESIASTICHE E COPERTURE DEGLI EDIFICI
Gent.mo Animo Grato,
ho scritto di furia durante il calo degli zuccheri. Il panino del mio pranzo "occhieggiava" dal bancone. O - almeno - così mi pareva. Spero fosse solo un sintomo d'ipoglicemia.
Soltanto ora mi sovviene del suo intervento sul Cunfőgu. Avrei dovuto citarlo! Spero davvero che lei non me ne voglia.
P.S. : avrei anche dovuto scrivere "abou [a'bo.u]" con - almeno - un semi-crono (il puntino) nel dittongo. Un orecchio quale quello di un Canepari l'avvertirebbe e - in questo caso - anch'io - per familiarità - riesco ad avvertirlo. Infatti, in genovese, non esiste una sostanziale differenza tra dittonghi e vocali lunghe. Anche le lunghe sono dittonghi, soltanto con timbri più ravvicinati - minore dinamica -. Forse, a un "commoner" -
- in ipoglicemia può essere condonato.
ho scritto di furia durante il calo degli zuccheri. Il panino del mio pranzo "occhieggiava" dal bancone. O - almeno - così mi pareva. Spero fosse solo un sintomo d'ipoglicemia.

P.S. : avrei anche dovuto scrivere "abou [a'bo.u]" con - almeno - un semi-crono (il puntino) nel dittongo. Un orecchio quale quello di un Canepari l'avvertirebbe e - in questo caso - anch'io - per familiarità - riesco ad avvertirlo. Infatti, in genovese, non esiste una sostanziale differenza tra dittonghi e vocali lunghe. Anche le lunghe sono dittonghi, soltanto con timbri più ravvicinati - minore dinamica -. Forse, a un "commoner" -

- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Si figuri, non gliene voglio affatto: volevo solo suffragare il "quasi" del Suo "quasi totalmente ignorata". 

«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
- Interventi: 1340
- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Tutto o quasi su abaìn
http://www.fontanabuona.org/cuneo_libro ... pdf#page=3
http://www.fontanabuona.org/cuneo_libro ... pdf#page=3
Largu de farina e strentu de brenu.
[LIJ] LE PRONUNCE DELLA PAROLA ARDESIA
Lei, ovviamente, ha capito benissimo, ma è l'autore citato dal Merlo - per quanto si tratti, globalmente, di un buon contributo - a non risultare del tutto attendibile.
L'autore citato è noto - nella ristrettissima cerchia degli appassionati - per queste sue "ingenuità". Mi spiego: non è possibile che, durante il breve corso di non molti anni che separano le due edizioni del Casaccia, la pronuncia urbana si sia evoluta - tra l'altro, al contrario ! ! ! - da "abæn" ad "abaen" ! ! ! Non è proprio credibile!
Si tratterà - piuttosto - di difficoltà o "idiosincrasie" tipografiche ottocentesche.
A volte, i tipografi mostrano "difficoltà" nell'adoperare la "legatura" "æ", ma non ha alcun senso ipotizzare una corrispondente variabilità - altrimenti inesplicabile - della pronuncia. La qualità media degli studi sul genovese è piuttosto trascurata - a voler essere eleganti -.
Ma gli autori non possono mica tentare sempre di convincerci - come dicevano le nonne - che le mutandine vadano infilate dalla parte del capo soltanto perché non hanno capito loro da che parte s'indossano . . .
In conclusione: a Genova si dice solo "abæn" perché il dittongo s'è - ormai - chiuso. Proprio come nel francese "fait" - a Genova "fætu" - . La trafila è stata "abaìn>abàin>abæn". La forma "abaen" non è mai esistita. Infatti, in provincia, si possono ancora riscontrare - sarà questione di pochi anni o pochi mesi - "abaìn" e "abàin", ma "abaen" non risulta presente in alcun posto. E' una "Gestalt" inammissibile per un singolare maschile: non si danno singolari maschili in "-én" in genovese;
a volte sembra proprio che gli autori non riescano a ragionare!
Rappresenta solo una difficoltà tipografica ottocentesca. Fuori d'accento, invece, il dittongo "ai" rimane anche in città: mainâ = marinaio.


A volte, i tipografi mostrano "difficoltà" nell'adoperare la "legatura" "æ", ma non ha alcun senso ipotizzare una corrispondente variabilità - altrimenti inesplicabile - della pronuncia. La qualità media degli studi sul genovese è piuttosto trascurata - a voler essere eleganti -.


In conclusione: a Genova si dice solo "abæn" perché il dittongo s'è - ormai - chiuso. Proprio come nel francese "fait" - a Genova "fætu" - . La trafila è stata "abaìn>abàin>abæn". La forma "abaen" non è mai esistita. Infatti, in provincia, si possono ancora riscontrare - sarà questione di pochi anni o pochi mesi - "abaìn" e "abàin", ma "abaen" non risulta presente in alcun posto. E' una "Gestalt" inammissibile per un singolare maschile: non si danno singolari maschili in "-én" in genovese;


[LIJ] IL VALORE DI UN "QUASI"
Mi aspettavo una risposta benevola e la ringrazio.Animo Grato ha scritto:Si figuri, non gliene voglio affatto: volevo solo suffragare il "quasi" del Suo "quasi totalmente ignorata".
Apprezzo anche la pacatezza di chi riesce a valorizzare le sfumature del "quasi".
A volte - per semplificare e, comunque, per chiarire le tendenze in atto - tendo ad avvalermi del contrasto tra bianco e nero.

Re: [LIJ] LE PRONUNCE DELLA PAROLA ARDESIA
La ringrazio per la risposta. Quindi, anche se in passato si è detto abaín e abàin, oggi a Genova si dice solo abǽn. Mi domando però se l'abbaino italiano risalga al periodo in cui si pronunciava ancora abaín, come parrebbe logico.ippogrifo ha scritto:In conclusione: a Genova si dice solo "abæn" perché il dittongo s'è - ormai - chiuso. Proprio come nel francese "fait" - a Genova "fætu" - . La trafila è stata "abaìn>abàin>abæn". La forma "abaen" non è mai esistita. Infatti, in provincia, si possono ancora riscontrare - sarà questione di pochi anni o pochi mesi - "abaìn" e "abàin", ma "abaen" non risulta presente in alcun posto. E' una "Gestalt" inammissibile per un singolare maschile: non si danno singolari maschili in "-én" in genovese;a volte sembra proprio che gli autori non riescano a ragionare!
Rappresenta solo una difficoltà tipografica ottocentesca. Fuori d'accento, invece, il dittongo "ai" rimane anche in città: mainâ = marinaio.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
- Interventi: 1340
- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Re: [LIJ] LE PRONUNCE DELLA PAROLA ARDESIA
Quando si riportano forme tratte da dizionari o vocabolari, vengono riportate come risultano nel testo. Conosco personalmente l'autore e mi sembra strano che sia noto per queste 'ingenuità'. Nella Val Polcevera il dittongo ai non si chiude anche in posizione accentata in termini in cui è caduta la -r- intervocalica (evidentemente in epoca tarda e quando il fenomeno della chiusura si era già esaurito): màin-a; fàin-a; àin-a (mare, farina, sabbia).ippogrifo ha scritto:[È] l'autore citato dal Merlo - per quanto si tratti, globalmente, di un buon contributo - a non risultare del tutto attendibile.L'autore citato è noto - nella ristrettissima cerchia degli appassionati - per queste sue "ingenuità". Mi spiego: non è possibile che, durante il breve corso di non molti anni che separano le due edizioni del Casaccia, la pronuncia urbana si sia evoluta - tra l'altro, al contrario ! ! ! - da "abæn" ad "abaen" ! ! ! Non è proprio credibile!
Si tratterà - piuttosto - di difficoltà o "idiosincrasie" tipografiche ottocentesche.
Largu de farina e strentu de brenu.
Re: [LIJ] LE PRONUNCE DELLA PAROLA ARDESIA
Certo, la sua considerazione è completamente logica. Che dirle? Se è vero quanto riferisce l’autore citato - attestazioni italiane di abbaino non anteriori al secolo XVIII -, potrebbe presentarsi un inconveniente. A quella data il dittongo genovese era già chiuso. D’altronde, potrebbe anche destare perplessità il prestito da parte dell’italiano - per indicare una struttura edilizia - di una voce che nel dialetto d’origine non indica quell’oggetto. Analogamente non esistono attestazioni che la voce abbia mai davvero indicato il diminutivo proprio dell’abate. E l’accezione di questa voce - abate - nel senso di un ruolo pubblico laico sembra aver completamente cancellato il significato di dignità ecclesiastica da molti secoli . . . Non tutto risulta sempre banale.Carnby ha scritto:Quindi, anche se in passato si è detto abaín e abàin, oggi a Genova si dice solo abǽn. Mi domando però se l'abbaino italiano risalga al periodo in cui si pronunciava ancora abaín, come parrebbe logico.
P.S. : qualora potesse risultarle d’interesse, trascrivo quanto compare sull’ottocentesco Casaccia
- che traduce la voce genovese con “lavagna” - :
“L’etimologia di tal voce sembra dall’ital. ABBAINO, usandosi nella maggior parte de’ luoghi d’Italia coprire i tetti di tegole, e di lavagne poi fasciarsi gli abbaini”.

- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
- Interventi: 1340
- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Quando da bambino durante i temporali salivo nell'abbaino per vedere i fulmini immaginavo che quello fosse il posto più adatto per ululare alla luna e che si chiamasse così per la somiglianza col casotto del cane.
Anche in Toscana l'ardesia si chiama lavagna.

Anche in Toscana l'ardesia si chiama lavagna.
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
[LIJ] LE PAROLE DEI TETTI
u merlu rucà ha scritto:Non capisco perché il termine italiano debba necessariamente derivare da quello genovese. L'ardesia proveniva dalla Fontanabuona e il termine più corrente è abaìn da cui abbaino. Tra parentesi dalle mie parti l'ardesia viene chiamata lavagna.

Inoltre, ciò che convince poco è anche il fatto che - normalmente - la sineddoche si realizza nell'ambito di un linguaggio che possiede sia la parte sia il tutto. Non esiste evidenza che l'italiano abbia mai posseduto il termine abbaino nel senso del materiale né in quello delle lastre lavorate. Inoltre, oltre al fatto - già chiarito - che l'abbaino non si chiama così in genovese, non risulta che esistesse "esportazione" di forza lavoro quali muratori, men che meno per installare ardesia o costruire abbaini . . . Il traffico riguardava le merci, non gli umani . . .
Esiste anche l'ipotesi di una possibile derivazione dal francese, ma non possiedo la competenza per poterla valutare.
Comunque, ognuno può pensare come meglio ritiene. O anche pensare ad altro . . .

Chi c’è in linea
Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 2 ospiti