Primizie di stagione: nei prossimi giorni è destinata a
fare molto rumore un'
intervista concessa da una nota politica italiana, europea e - forse - veneta (in ordine cronologico di poltrone occupate). Limitandomi all'analisi della forma e rifuggendo da inutili commenti sui contenuti (come impone il secondo articolo del Decalogo del Buon Cruscone), noto, colla soddisfazione del ricercatore, che l'illustre
ecclesiazusa non si risparmia, dispensando subito, con signorile prodigalità, qualche perlina di valore minore. Ma il vero "carico" lo piazza a 3:29, con
ladylike. E non si accontenta di sfoggiare l'inutile parola inglese, ma si premura anche di tradurla: «uno stile
ladylike, cioè uno stile "che deve piacere"». Forse è stata tratta in inganno da quel suffisso,
-like, che ha confuso coi
"like" che rastrella sulla sua pagina di
facebook. Mentre si tratta semplicemente del
suffisso usato in inglese per indicare ciò che assomiglia o ha le caratteristiche tipiche di qualcosa (indicato dalla parola a cui il
-like si lega). Quindi lo «stile
ladylike» è lo stile
da signora o, se preferite,
muliebre. Lo sfondone è stato ripetuto, a stretto giro di posta, in un
salotto televisivo, dove qualcuno (onore alla sua onestà intellettuale) ha candidamente ammesso di non avere la più vaga idea del possibile significato di questo
ladylike, ma altri sono prontamente intervenuti a colmare la lacuna, fornendo l'inappuntabile traducente:
"piaciona".
Ma se l'inglese non lo sa nessuno, perché lo parlano tutti?