L’Avvenire, «De Mauro, viva l’italiano in parole povere»
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L’Avvenire, «De Mauro, viva l’italiano in parole povere»
Condivido con voi l’intervista al linguista Tullio De Mauro, uscita oggi sull’Avvenire.
Dopo aver lodato la Costituzione per la tersità di stile, passa a parlare della letteratura italiana contemporanea. Pare che al professore stia particolarmente a cuore che tutti, da chi redige le leggi al romanziere, adoperino «praticamente solo parole del vocabolario di base e […] periodi […] molto brevi», come fece don Milani nel suo Lettera a una professoressa. L’uso di «parole rare o dialettali» da parte degli scrittori di oggi è poi, secondo De Mauro, segno di «compiacimento».
Forse sono troppo severo, ma mal sopporto quest’insistenza su una semplicità che costeggia la povertà d’espressione. Se l’invito a parlar semplice è rivolto ai parlamentari che scrivono le leggi, allora sono d’accordo. Se è esteso anche agli insegnanti, dissento: lo stesso De Mauro riconosce che il settanta percento degli italiani fa fatica a capire un testo di media difficoltà, ma dubito che la soluzione sia abbassare ancor di piú l’asticella della lingua.
Dopo aver lodato la Costituzione per la tersità di stile, passa a parlare della letteratura italiana contemporanea. Pare che al professore stia particolarmente a cuore che tutti, da chi redige le leggi al romanziere, adoperino «praticamente solo parole del vocabolario di base e […] periodi […] molto brevi», come fece don Milani nel suo Lettera a una professoressa. L’uso di «parole rare o dialettali» da parte degli scrittori di oggi è poi, secondo De Mauro, segno di «compiacimento».
Forse sono troppo severo, ma mal sopporto quest’insistenza su una semplicità che costeggia la povertà d’espressione. Se l’invito a parlar semplice è rivolto ai parlamentari che scrivono le leggi, allora sono d’accordo. Se è esteso anche agli insegnanti, dissento: lo stesso De Mauro riconosce che il settanta percento degli italiani fa fatica a capire un testo di media difficoltà, ma dubito che la soluzione sia abbassare ancor di piú l’asticella della lingua.
Mi pare un ragionamento strano, quello dell'illustre professore. E se per rendere più comprensibile l'aritmetica ci fermassimo a imparare solo le addizioni a una cifra?
A volte leggo brani lunghi e resto stupito dalla chiarezza dello scrivente. Leggendo proposizioni brevi e nient’altro‚ ho l’impressione che lo scrittore si sia limitato a mettere assieme sei o settemila telegrammi per fare il suo libro.
A volte leggo brani lunghi e resto stupito dalla chiarezza dello scrivente. Leggendo proposizioni brevi e nient’altro‚ ho l’impressione che lo scrittore si sia limitato a mettere assieme sei o settemila telegrammi per fare il suo libro.
- marcocurreli
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Dipende da cosa intende, e da cosa intende Tullio De Mauro, per periodo breve e per periodo lungo.
Sta di fatto che la massima aspirazione per alcuni scrittori italiani (e per molti giornalisti aspiranti tali) è quella di riscrivere Guerra e pace in un unico periodo.
Sta di fatto che la massima aspirazione per alcuni scrittori italiani (e per molti giornalisti aspiranti tali) è quella di riscrivere Guerra e pace in un unico periodo.
Ultima modifica di marcocurreli in data mer, 19 nov 2014 1:13, modificato 1 volta in totale.
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- marcocurreli
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- Iscritto in data: ven, 25 set 2009 22:36
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Don Milani, Pavese, Sciascia, Calvino, Ginzburg.PersOnLine ha scritto:Una volta lessi un esempio di brano che secondo gli autori doveva essere ad "alta leggibilità"
Questi sono alcuni degli gli autori citati dal De Mauro. Non mi pare siano autori che rispondano al profilo che ha tracciato.
Tra l'altro nell'articolo il De Mauro rispondeva semplicemente a una domanda dell'intervistatore, che chiedeva di indicare degli esempi di buona letteratura in cui non comparissero periodi lunghi.
Molto spesso l'uso di periodi lunghissimi è fatto solo per dimostrare la propria bravura nello scrivere, ed è fine a se stesso.
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Il giusto sta nel mezzo. E soprattutto, come in tutte le Arti (nel senso medievale del termine), prima occorre impadronirsi dell'abilità nell'usare gli strumenti, poi si possono usare liberamente.
Il problema della comunicazione è che molti costruiscono precarie strutture di subordinate che si sorreggono su sfilze di pronomi relativi, solo per far vedere che "sanno scrivere", col risultato, se va bene, che chi legge si perde nel groviglio. Se va male, a cadere è lo scrittore, che finisce per correlare una frase a tutt'altro da ciò che voleva (o credeva).
Ma non credo che il rimedio a ciò sia lo scrivere singole frasi semplici: la cosa migliore, in certi casi, è lasciar perdere lo scrivere per mestiere. Ci sono tanti altri bei lavori!
Stesso ragionamento per la scelta dei vocaboli: va distinto l'uso scriteriato e doloso di termini complessi solo per apparire colti o volutamente incomprensibili, da quello motivato da effettive necessità di precisione.
Appiattire la lingua a pochi termini molto comuni può essere comodo nel parlato (in cui il contesto è presente sia all'emittente che al ricevente, e il linguaggio non verbale può fare la sua parte); ma nello scritto non funziona.
Si finisce per creare testi apparentemente semplici da leggere, ma che nei contenuti o sono così semplici da non dire nulla, oppure sono terribilmente imprecisi, e quindi inutili, se non dannosi.
Il problema della comunicazione è che molti costruiscono precarie strutture di subordinate che si sorreggono su sfilze di pronomi relativi, solo per far vedere che "sanno scrivere", col risultato, se va bene, che chi legge si perde nel groviglio. Se va male, a cadere è lo scrittore, che finisce per correlare una frase a tutt'altro da ciò che voleva (o credeva).
Ma non credo che il rimedio a ciò sia lo scrivere singole frasi semplici: la cosa migliore, in certi casi, è lasciar perdere lo scrivere per mestiere. Ci sono tanti altri bei lavori!
Stesso ragionamento per la scelta dei vocaboli: va distinto l'uso scriteriato e doloso di termini complessi solo per apparire colti o volutamente incomprensibili, da quello motivato da effettive necessità di precisione.
Appiattire la lingua a pochi termini molto comuni può essere comodo nel parlato (in cui il contesto è presente sia all'emittente che al ricevente, e il linguaggio non verbale può fare la sua parte); ma nello scritto non funziona.
Si finisce per creare testi apparentemente semplici da leggere, ma che nei contenuti o sono così semplici da non dire nulla, oppure sono terribilmente imprecisi, e quindi inutili, se non dannosi.
Il professor De Mauro ha piena e incontestata ragione quando parla della necessità di lingua limpida e chiara nei testi di legge e della pubblica amministrazione, con frasi brevi e vocabolario semplice. Tuttavia, nei testi artistici, non si capisce perché ci si dovrebbe limitare al lessico di base e a una sintassi povera. Vuole forse riscrivere la Divina Commedia adoperando solo le 1000 parole piú comuni? La letteratura è tale perché si distingue dall’uso medio della lingua per creare effetti e suscitare emozioni: non si tratta di pura comunicazione funzionale. Ma forse ho capito male io il senso dell’articolo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ne è ben sicuro?Scilens ha scritto:Per avere una lingua semplice e precisa basta usare termini calzanti, non importa se non son comuni.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Le leggi dovrebbero essere comprensibili a tutti, al livello più basso di semplicità.
Il linguaggio però si presta ad assolvere altri compiti nel corso della comunicazione. Procedo con un esempio. In un gruppo di persone‚ tra le quali sto lavorando‚ dico: ‟Questo problema è difficile‚ chi mi aiuta?‟ penso che tutti mi capiscano. Nella stessa situazione potrei sostituire la fase precedente con quest'altra: ‟Questo problema è ostico‚ chi mi aiuta?‟. In questo caso, con ‟ostico‟ elimino dalla comprensione tutte quelle persone che non sono mai uscite da una condizione di conoscenza molto limitata e che per cultura o per indole probabilmente non potrebbero essermi d’aiuto.
Il linguaggio però si presta ad assolvere altri compiti nel corso della comunicazione. Procedo con un esempio. In un gruppo di persone‚ tra le quali sto lavorando‚ dico: ‟Questo problema è difficile‚ chi mi aiuta?‟ penso che tutti mi capiscano. Nella stessa situazione potrei sostituire la fase precedente con quest'altra: ‟Questo problema è ostico‚ chi mi aiuta?‟. In questo caso, con ‟ostico‟ elimino dalla comprensione tutte quelle persone che non sono mai uscite da una condizione di conoscenza molto limitata e che per cultura o per indole probabilmente non potrebbero essermi d’aiuto.
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- Interventi: 1782
- Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09
In questo esempio, la sostituzione funziona. Però si tratta del sostituire un termine ricercato a uno più comune. E' un cambio di registro.
Ma se su una corriera dico "E' obbligatorio timbrare il biglietto", prima o poi becco quello con un biglietto col timbro di sua zia, che, a termini di legge "ha il biglietto timbrato" (esempio alla signor Veneranda, ma possono esserci casi molto più raffinati).
Dovrei dire "col timbro fatto dalla timbratrice a bordo) però escludo le timbrature a validità oraria con cambbio di mezzo, quindi "col timbro della ditta che gestisce la linea" (o punzonato etc.).
Inoltre, anche con timbro della giusta timbratrice, devo specificare che non sia scaduto, ovvero che non sia timbrato da più di un'ora etc. etc.
Potrei dire "convalidato", però non comprendo il concetto di scadenza della convalida, dato che si tratta di convalida a tempo... insomma, alla fine mi invento un termine specifico - obliterare, nel caso nostro, ma potrebbe anche essere un termine nuovo e di fantasia - e lo scrivo su tutte le timbratrici e i regolamenti.
Si fa prima a imparare una nuova parola, che non a discutere sul preciso significato di una più semplice!
Con questo, non significa che cosideri validi termini come "indicatore luminoso di arresto della circolazione" (l'ho visto su un cartello stradale): in questo caso, esiste già il termine preciso, tecnico e univoco, semaforo, che tutti abbiamo imparato senza troppi traumi...
Ma se su una corriera dico "E' obbligatorio timbrare il biglietto", prima o poi becco quello con un biglietto col timbro di sua zia, che, a termini di legge "ha il biglietto timbrato" (esempio alla signor Veneranda, ma possono esserci casi molto più raffinati).
Dovrei dire "col timbro fatto dalla timbratrice a bordo) però escludo le timbrature a validità oraria con cambbio di mezzo, quindi "col timbro della ditta che gestisce la linea" (o punzonato etc.).
Inoltre, anche con timbro della giusta timbratrice, devo specificare che non sia scaduto, ovvero che non sia timbrato da più di un'ora etc. etc.
Potrei dire "convalidato", però non comprendo il concetto di scadenza della convalida, dato che si tratta di convalida a tempo... insomma, alla fine mi invento un termine specifico - obliterare, nel caso nostro, ma potrebbe anche essere un termine nuovo e di fantasia - e lo scrivo su tutte le timbratrici e i regolamenti.
Si fa prima a imparare una nuova parola, che non a discutere sul preciso significato di una più semplice!
Con questo, non significa che cosideri validi termini come "indicatore luminoso di arresto della circolazione" (l'ho visto su un cartello stradale): in questo caso, esiste già il termine preciso, tecnico e univoco, semaforo, che tutti abbiamo imparato senza troppi traumi...
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