
Passaggio da vocale semiaperta a vocale semichiusa
Moderatore: Cruscanti
Passaggio da vocale semiaperta a vocale semichiusa
Chiedo venia per il titolo troppo generico dato al filone. Veniamo subito al dunque: mi sono accorto che le vocali semiaperte di alcune parole, come per esempio la e di ieri e la o di cosa, vengono pronunciate dal sottoscritto come vocali semichiuse allorché questi termini siano seguiti da altre parole, alle quali s'appoggiano perché —è proprio questa l'impressione che danno— privi d'accento. Esemplifico per meglio chiarire: io dico /'jɛri/ e /'kɔsa/ (a dir la verità, /'kɔza/
), ma /jeri'sera/ e /kozaˈvwɔi/. Come mai in questi casi si verifica il passaggio da una vocale semiaperta a una vocale semichiusa? Di quale tipo di fenomeno si tratta? Ma soprattutto, riguarda solamente alcune varietà d'italiano o tale fenomeno è estendibile alla penisola intera?

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Un motivo può essere che l'espressione viene sentita come un'unica parola e si va a formare un'unico accento, con una chiusura di tutte le altre vocali.
Secondo Canepari, in quei casi la parola tra le due che viene assorbita a livello di accenti e che quindi si trova a perdere l'apertura della tonica, ne conserva una traccia con una chiusura intermedia: [E] e [σ].
Personalmente, non mi pare di sentire questo timbro intermedio [1]: se sento la parola come unica, uso la chiusa; se la sento come due parole, uso l'aperta.
"Ieri sera" lo sento diviso, quindi dico/,jɛri'sera/, ma immagino che qualcuno possa sentire una parola sola. Mi risulta invece difficile ipotizzare un'unica parola per l'espressione "cosa vuoi".
[1] Non è da escludere che sia un mio limite percettivo. Tra l'altro ho il dubbio che le mie /ɛ/ e /ɔ/ non siano apertissime, ma più a metà strada tra /ɛ/ /ɔ/ e [E] [σ]. Se così fosse, avrei poco spazio per le vere medie che a me risulterebbero entro le soglie delle aperte.
Secondo Canepari, in quei casi la parola tra le due che viene assorbita a livello di accenti e che quindi si trova a perdere l'apertura della tonica, ne conserva una traccia con una chiusura intermedia: [E] e [σ].
Personalmente, non mi pare di sentire questo timbro intermedio [1]: se sento la parola come unica, uso la chiusa; se la sento come due parole, uso l'aperta.
"Ieri sera" lo sento diviso, quindi dico/,jɛri'sera/, ma immagino che qualcuno possa sentire una parola sola. Mi risulta invece difficile ipotizzare un'unica parola per l'espressione "cosa vuoi".
[1] Non è da escludere che sia un mio limite percettivo. Tra l'altro ho il dubbio che le mie /ɛ/ e /ɔ/ non siano apertissime, ma più a metà strada tra /ɛ/ /ɔ/ e [E] [σ]. Se così fosse, avrei poco spazio per le vere medie che a me risulterebbero entro le soglie delle aperte.
In merito a quel che scrisse una settimana fa, e cioè
*Non mi riferisco soltanto al tipo d'accento (acuto, grave) ma anche [e soprattutto] alla posizione. Capita, nella musica, di sentire pronunce anomale. Parole tronche possono diventare piane, quest'ultime sdrucciole e cosí via.
vorrei corroborare la mia tesi portando a esempio questo brano di Max Gazzè. Al secondo 00:10 sentirà /koza'krede/. Cosa s'appoggia a crede come fosse privo d'accento. È vero che non dovremmo fidarci ciecamente d'un pezzo musicale, ché entrano in gioco altri fattori (ritmo, melodia, ecc.) e le parole possono essere accentate diversamente per ottenere un certo effetto*. Soltanto mi premeva farLe ascoltare una realizzazione fonetica di tal tipo.valerio_vanni ha scritto: Mi risulta invece difficile ipotizzare un'unica parola per l'espressione "cosa vuoi".
*Non mi riferisco soltanto al tipo d'accento (acuto, grave) ma anche [e soprattutto] alla posizione. Capita, nella musica, di sentire pronunce anomale. Parole tronche possono diventare piane, quest'ultime sdrucciole e cosí via.
- Ferdinand Bardamu
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Mi permetto di farle notare — in uno spirito di correzione fraterna — che si può parlare d’accento acuto e grave solo in riferimento alla grafia. Quando ci si riferisce alla pronuncia, per /ɛ/ e /e/ (cosí come per /ɔ/ e /o/) si può parlare di vocali aperte e chiuse, cosa che fa, per esempio, il Serianni nella sua Grammatica. Per una definizione piú tecnica di /ɛ/, /e/, /ɔ/ e /o/, si può consultare il DiPI.Ivan92 ha scritto:Non mi riferisco soltanto al tipo d'accento (acuto, grave)…

Re: Passaggio da vocale semiaperta a vocale semichiusa
Mi scusi Ivan, perché la e di ieri e la o di cosa sarebbero semiaperte, ovvero perché sarebbero meno aperte della e di bello e della o di forte (esempi di /ɛ/ e /ɔ/ del DiPI)? È lei che le pronuncia così o sostiene che sia una differenza presente nell'italiano standard?Ivan92 ha scritto:[M]i sono accorto che le vocali semiaperte di alcune parole, come per esempio la e di ieri e la o di cosa...
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Re: Passaggio da vocale semiaperta a vocale semichiusa
Perché la e e la o «aperte» italiane [ɛ ɔ] sono vocali semiaperte in termini assoluti, cosí come le «chiuse» [e o] sono in realtà semichiuse… ma queste sono pignolerie del tutto superflue quando il discorso rimane circoscritto alla nostra lingua.Zabob ha scritto:Mi scusi Ivan, perché la e di ieri e la o di cosa sarebbero semiaperte…?
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E' vero, tra l'altro non c'è neanche secondo me una fuga d'accento. Dice abbastanza forte il "co-", sembra proprio che voglia dirlo chiuso.Ivan92 ha scritto:In merito a quel che scrisse una settimana fa, e cioèvorrei corroborare la mia tesi portando a esempio questo brano di Max Gazzè. Al secondo 00:10 sentirà /koza'krede/. Cosa s'appoggia a crede come fosse privo d'accento.valerio_vanni ha scritto: Mi risulta invece difficile ipotizzare un'unica parola per l'espressione "cosa vuoi".
È possibile che il proprio vernacolo possa incidere sulla realizzazione fonetica d'alcune parole? Il termine cosa considerato singolarmente, dalle mie parti e nel mio dialetto, rimane cosa, ma se inserito in una frase o in un'espressione come quella succitata —se è cioè seguito (o preceduto) da altre parole—, diventa cu (/ku'vvɔi/, /ku'ffai/, /ku'ddiʃi/, ecc.). Il fatto che nel vernacolo vi sia questo passaggio da vocale semiaperta [ɔ] a vocale chiusa (/'kɔsa/ [italiano] > /ku/ [dialetto]), non potrebbe aver (avuto) una qualche rilevanza sulla pronuncia di cosa vuoi colla vocale (semi) chiusa?
- Ferdinand Bardamu
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Mi sembra strano che, in un dialetto al di sotto di Ancona, il pronome interrogativo sia cosa e non che. Cu, anzi, mi pare proprio il continuatore del quod latino (anche se in latino classico il pronome interrogativo neutro era quid).Ivan92 ha scritto:È possibile che il proprio vernacolo possa incidere sulla realizzazione fonetica d'alcune parole? Il termine cosa considerato singolarmente, dalle mie parti e nel mio dialetto, rimane cosa, ma se inserito in una frase o in un'espressione come quella succitata —se è cioè seguito (o preceduto) da altre parole—, diventa cu (/ku'vvɔi/, /ku'ffai/, /ku'ddiʃi/, ecc.).
Lei dice bene, caro Ferdinand. Infatti s'usa anche che: /ke'vvɔi/, /ke'ffai/, /ke'ddiʃi/, ecc. Eppure, cu predomina. Sí, geograficamente siamo al di sotto d'Ancona, ma distiamo non piú di 25 chilometri dal capoluogo. Insomma, condividiamo diverse cose. Gli anconitani però dicono co invece che cu e la consonante non cogemina: /ko'vɔi/.
Gradirei alcune delucidazioni in merito alla seguente costatazione: bene viene pronunciata con e aperta, ma in Benevento e benedetto —nelle quali compare la parola bene— si ha la pronuncia con e chiusa. Mi son detto: sicuramente è per via dell'accento. In bene, esso cade sulla prima e —donde la pronuncia aperta della vocale—, mentre in Benevento e benedetto si sposta, rispettivamente, sulle e di vento e detto. Per quale oscuro motivo, allora, in mezzogiorno si ha /mɛʣʣoˈʤorno/ e non /me-/?
Ultima modifica di Ivan92 in data dom, 01 feb 2015 0:38, modificato 1 volta in totale.
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