«Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario»

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Arnoldas
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«Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario»

Intervento di Arnoldas »

Cari amici, qualche tempo fa ho letto in Internet la frase "Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario". Ma che c'entra il Condizionale in questo caso (piacerebbe)?! Non c'è nessuna condizione! Se scrivo, p.es., "Mi piacerebbe lavorare come bibliotecario se potessi" allora tutt'OK. No? Secondo la regola grammaticale quando nella proposizione principale esprimiamo opinione personale, dubbio, paura, incertezza ecc. allora nella proposizione subordinata deve essere o il Congiuntivo o il Futuro e non il Condizionale. Mi pare che la frase "Penso che mi PIACEREBBE lavorare come bibliotecario" non sia corretta. Che ne dite voi? Forse nella grammatica italiana qualcosa è cambiato? Grazie.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

In attesa del parere dei piú navigati, posso soltanto dirle che la frase è corretta. Il congiuntivo è inespresso ma sottinteso. Esemplifico: penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario [se solo ne avessi la possibilità].
Arnoldas
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Intervento di Arnoldas »

Forse sono molto stupido però non sono d'accordo... Il Suo esempio "Mi PIACEREBBE lavorare come bibliotecario se solo ne AVESSI la possibilità" va benissimo!!! Però se scrivo "Penso che" (senza "se solo ne avessi...") dopo "che" dovrebbe essere o il Futuro o il Congiuntivo (Luca Serianni. Grammatica italiana). Allora secondo il prof. Luca Serianni dovrebbe essere: "Penso che mi piaccia/mi piacesse lavorare come bibliotecario" o "Penso che mi piacerà lavorare come bibliotecario". Ripetto: senza "se solo ne avessi..." che non c'entra niente.
Avatara utente
Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Caro Arnoldas, tra le funzioni del condizionale c'è anche quella di esprimere un desiderio in una forma più sfumata rispetto all'indicativo. Ai bambini, ad esempio, si insegna che non è buona educazione dire «Voglio il gelato», ma è preferibile (o, meglio, seguendo lo stesso principio, sarebbe preferibile) dire «Vorrei il gelato» (veda anche qui, al punto 2.1).
Nel caso da Lei proposto, la frase "originale" è «Mi piacerebbe lavorare come bibliotecario» (un desiderio espresso con garbo). Il verbo pensare (che qui introduce la proposizione oggettiva) consente di mantenere il tempo e il modo della frase di partenza.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
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Arnoldas
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Intervento di Arnoldas »

Gentile Animo Grato, grazie della spiegazione. Non ho capito solo che cosa significa "mantenere il tempo e il modo della FRASE DI PARTENZA". E poi. Si può dire che la proposizione "Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario" infatti (almeno teoricamente) siano due proposizioni indipendenti (Penso. Mi piacerebbe lavorare...)? No? Se è così allora tutto è chiaro. Eppure... La regola grammaticale dice che dopo "Penso/mi pare/mi sembra/spero che" nella PROPOSIZIONE SUBORDINATA deve essere o il Congiuntivo o il Futuro e non il Condizionale.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Io ho l'impressione che le regole grammaticali nascano perché abbiamo bisogno di loro... cioè di inquadrare in maniera sistematica i problemi, classificare le strutture, categorizzare il molteplice. Serve al cervello per avere a portata di mano dei "cassetti" in cui trovare risposta agli infiniti casi reali che gli si presenteranno nella comunicazione, ma che non può avere già studiato - tutti - a memoria.

In effetti, accanto alle "regole" esistono quasi sempre le espressioni idiomatiche, cioè tutte quelle frasi che non si riescono a spiegare con nessuna regola, ma che funzionano, e basta, nel senso che il parlante le usa, le sa usare, capisce perfettamente il loro uso da parte di altri.

Del resto, se torniamo indietro nella storia delle lingue, si vede che in genere prima nasce la comunicazione (è una necessità primaria), poi si tenta di "normarla" in modo da renderne stabili le forme, e quindi condivisibili da un maggior numero di utenti e per tempi più lunghi.
Viceversa, lingue studiate "a tavolino" e poi immesse nel mondo hanno sempre attecchito a fatica (tipo l'esperanto, che esiste, ma pochi lo usano).

Istintivamente, sento differenza fra:

- penso che mi piacerà lavorare -> è un pensiero molto concreto, legato alla realtà: so che domani andrò a lavorare, e penso che questo mi piacerà;

- penso che mi piacerebbe lavorare -> è un pensiero che resta ipotesi: non so se realmente riuscirò a lavorare, ma se questo accadesse, penso che mi piacerebbe. Non ho nessuna certezza, quindi l'ipoteticità è implicita nel senso che voglio esprimere, nella mia realtà di fatto, indipendentemente che la forma grammaticale e la frase lo sottintendano o lo esprimano.

- penso che mi piaccia lavorare -> è un pensiero, concreto, nell'attuale: sto lavorando e penso che mi piaccia. Grammaticalmente corretto, però se stessi correggendo un tema, un commentino glielo farei: "deciditi!". Perché a logica se sto facendo una cosa, mi vien da pensare che la valuto e basta: mi piace / non mi piace. Suona strano questo indugio: sto lavorando, quindi dovrei avere un'idea ben precisa, a meno che veramente non stia ancora valutando e cercando di capire il mio gradimento verso le azioni che svolgo. Insomma, è un po' amletico, e limitato a situazioni particolari: azione in atto e dubbio su di essa, o giudizio sospeso.

Sceglierei una delle tre a seconda della singola situazione, perché hanno sensi precisi e diversi.
Credo che sia la differenza intercorrente fra il madre-lingua e l'ottimo parlante "di scuola" (alla medesima maniera, faticherò sempre a discernere cosa usare in inglese fra frasi apparentemente simili... solo che con l'inglese ci tranquillizziamo pensando "è una lingua primitiva che non ha grammatica... poverini...") :wink: .
Arnoldas
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Intervento di Arnoldas »

Cari amici, grazie mille per le vostre cortesi spiegazioni! Lo sapete, la lingua lituana che proviene dirittamente dal sanscrito è molto arcaica ed è molto diversa da quella italiana e, poi, ha le regole grammaticali molto rigide e perciò io, un lituano, a volte non posso capire le espressioni italiane... Grazie ancora a voi tutti anche della vostra pazienza!
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Arnoldas ha scritto:Gentile Animo Grato, grazie della spiegazione. Non ho capito solo che cosa significa "mantenere il tempo e il modo della FRASE DI PARTENZA". E poi. Si può dire che la proposizione "Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario" infatti (almeno teoricamente) siano due proposizioni indipendenti (Penso. Mi piacerebbe lavorare...)? No? Se è così allora tutto è chiaro. Eppure... La regola grammaticale dice che dopo "Penso/mi pare/mi sembra/spero che" nella PROPOSIZIONE SUBORDINATA deve essere o il Congiuntivo o il Futuro e non il Condizionale.
In realtà nella subordinata oggettiva può comparire anche il condizionale:

Oltre che col congiuntivo e con l’indicativo un’oggettiva in rapporto di contemporaneità o di anteriorità con la reggente può costruirsi col condizionale quando coincida con l’apodosi di un periodo ipotetico («credo che avremmo commesso un errore tragico se in passato non avessimo tempestivamente affermato una posizione critica» A. Natta, intervista alla «Repubblica», 3.2.1987); oppure, in genere, là dove si userebbe il condizionale in una frase enunciativa: «penso che faresti bene a parlargli». (Luca Serianni, Italiano, Milano: «Garzanti», 2000, § XIV. 54)

Nella nostra frase, «Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario», il condizionale è interpretabile, come è stato già detto, come apodosi di un periodo ipotetico, con protasi sottintesa (es. «… se ne avessi l’occasione» e sim.).
Avatara utente
Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Il mitico Ferdinand scova sempre il passo più acconcio alla bisogna! :wink:
Sulla conclusione (la legittimità del condizionale) siamo tutti d'accordo; sull'interpretazione, io la vedo più come uno di quei casi in cui "si userebbe il condizionale in una frase enunciativa" (era quello che tentavo di dire coll'infelice espressione "frase di partenza", che giustamente ha suscitato la perplessità di Arnoldas): una garbata preferenza nella frase di Arnoldas, un invito poco pressante nell'esempio di Serianni. In ogni caso il risultato non cambia, perciò de gustibus... :wink:
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Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Tanto per essere completi, riporto ciò che dice Serianni circa il concetto di «frase sottintesa» applicato al condizionale:

Il valore di protasi condizionale potrebbe essere invocato anche in assenza di apodosi (ad esempio: «vorrei un caffè»; sottinteso: «se non ti dispiace» […]). Tuttavia è preferibile non dilatare eccessivamente i confini sintattici del periodo ipotetico ricorrendo troppo spesso a una categoria di così incerta delimitazione come quella di «frase sottintesa». Se è vero che il condizionale implica di norma l’idea di un qualche condizionamento reale o virtuale […], è anche vero che esso può semplicemente servire a connotare un’azione nel senso della soggettività e della relatività; potremmo dire — ricorrendo a una metafora — che il condizionale è il modo della penombra e delle luci smorzate, laddove l’indicativo, negli stessi contesti, diffonderebbe una piena luce solare. (Ibidem, § XI. 393)
Arnoldas
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Intervento di Arnoldas »

Grazie carissimi!!! Ho capito. Buona giornata a voi tutti! :lol:
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