Uso aggettivale dei suffissi alterativi
Moderatore: Cruscanti
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Uso aggettivale dei suffissi alterativi
Sul Treccani ho trovato a lemma ino. Vorrei sapere com'è da considerare quest'uso aggettivale dei suffissi alterativi: legittimo? un abuso? possibilmente da evitare? Ve ne sono degli esempi in letteratura? E, nel testo, quale veste grafica bisognerebbe dargli (ino, -ino, ino)?
- Animo Grato
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Da quel che ho visto, l'uso di questo ino sottostà a un doppio vincolo: il registro familiare e la compresenza della forma completa del diminutivo (una casina ina [ina]). Date queste condizioni, non mi sembra che ci sia nulla da obbiettare.
Per gli esempi letterari, attenda Cruscanti più illustri.
Per gli esempi letterari, attenda Cruscanti più illustri.

«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
- Millermann
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Devo dire che ha sorpreso anche me trovare ino come lemma a sé stante, benché l'uso "colloquiale con funzione aggettivale" di -ino ma anche di -one, sia citato in diversi dizionari in linea. Allora, per curiosità, sono andato a controllare il mio vecchio Zingarelli, decima edizione del 1970
, e vi ho trovato a lemma non solo «ino», ma anche «accio» e «uccio» (non «one», però), tutti marcati come «tosc. fam.», e sempre col medesimo significato aggettivale di rafforzativo di un termine già precedentemente alterato.
Insomma, m'è venuto in mente «Ucci, ucci, sento odor di cristianucci!»
Riguardo al modo di scriverlo, ritengo che, essendo un lemma vero e proprio, si possa tranquillamente fare a meno di particolari "orpelli" e scriverlo semplicemente cosí com'è. Comunque, personalmente, non userei queste forme popolari nello scritto, se non allo scopo di riprodurre esattamente il parlato.

Insomma, m'è venuto in mente «Ucci, ucci, sento odor di cristianucci!»

Riguardo al modo di scriverlo, ritengo che, essendo un lemma vero e proprio, si possa tranquillamente fare a meno di particolari "orpelli" e scriverlo semplicemente cosí com'è. Comunque, personalmente, non userei queste forme popolari nello scritto, se non allo scopo di riprodurre esattamente il parlato.
In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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Concordo. Riporto anche ciò che dice il De Mauro s.v. «Ino»:Animo Grato ha scritto:Da quel che ho visto, l'uso di questo ino sottostà a un doppio vincolo: il registro familiare e la compresenza della forma completa del diminutivo (una casina ina [ina]). Date queste condizioni, non mi sembra che ci sia nulla da obbiettare.
colloq., usato in funzione di aggettivo, ha valore diminutivo, vezzeggiativo, in genere riferito a una parola precedentemente suffissata con -ino: un pezzettino, ma ino ino; un ragazzino ino ino
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