«Nero, negro e di colore»
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«Nero, negro e di colore»
Un convincente articolo della Crusca sull’uso di negro, nero e di colore. Di là dalle pur utili considerazioni sul termine piú opportuno da usare, rimane il buon senso della chiusa:
Il punto vero, infatti, è che – al di là di opzioni più o meno accettate – sarebbe meglio specificare il colore della pelle solo se effettivamente necessario ai fini della comprensione del messaggio o dell’informazione che si vuole trasmettere. Non certo per nascondere una caratteristica fisica; semmai – al contrario – per non rimarcarla quando non serve. Come si fa, d’altronde, comunemente con tutte le altre pigmentazioni: quante volte ci è realmente capitato, o ci capita – e la domanda è retorica – di dover specificare che qualcuno è "bianco", o appartiene al gruppo dei "bianchi"?
Il punto vero, infatti, è che – al di là di opzioni più o meno accettate – sarebbe meglio specificare il colore della pelle solo se effettivamente necessario ai fini della comprensione del messaggio o dell’informazione che si vuole trasmettere. Non certo per nascondere una caratteristica fisica; semmai – al contrario – per non rimarcarla quando non serve. Come si fa, d’altronde, comunemente con tutte le altre pigmentazioni: quante volte ci è realmente capitato, o ci capita – e la domanda è retorica – di dover specificare che qualcuno è "bianco", o appartiene al gruppo dei "bianchi"?
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Re: «Nero, negro e di colore»
Ma cosa c'entra questa domanda? La risposta dovrebbe essere «Mai!»? Non sono d'accordo.Ferdinand Bardamu ha scritto:[Q]uante volte ci è realmente capitato, o ci capita – e la domanda è retorica – di dover specificare che qualcuno è "bianco", o appartiene al gruppo dei "bianchi"?
Prima di tutto per il contesto nel quale il signor Faloppa si aspetta che venga posta e in secondo luogo perché capita, eccome se capita!
A parte "il punto vero", nella parte precedente alla domanda, che condivido, il resto mi pare un resoconto piú storico che linguistico (anche se lo è), e in quest'ultimo campo non dà certezze in merito e lascia libero arbitrio allo “sventurato” che ha una seria necessità di dover definire questa specificazione.
Insomma, in questo caso, la Consulenza linguistica dell'AdC non mi sembra abbia fornito una risposta "convincente" e neppure lodevole.
Naturalmente è solo una mia impressione.
Io penso che l'equivalenza negro ↔ nigger non tenga; quella giusta è negro ↔ negro (un tempo si diceva, senza intenzioni offensive, negro spirituals) e negraccio ↔ nigger. In effetti nigger, a cui si deve gran parte dello stigma di negro in italiano, nasce da una deformazione peggiorativa di negro, di origine ispano-portoghese, che poi, in forma alterata, ha conosciuto nuova fortuna presso gli afroamericani che spesso si apostrofano tra di loro come nigga.
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Caro Marco, io penso, invece, che la precisazione di certe caratteristiche fisiche non sia cosí rilevante: a parte nei ritratti segnaletici, quando è davvero indispensabile sapere di che colore è la pelle di una persona? Allo stesso modo, è inusuale, se si eccettuano, appunto, particolari fatti di cronaca, descrizioni fisiche, e simili, specificare che una certa persona è bionda, rossa, castana, brizzolata, calva, albina, parrucchinata, nasuta, gobba, ecc.
Ciò detto, come ha ricordato Carnby, l’influenza dell’inglese ha fatto sí che negro diventasse un peggiorativo, di conseguenza, qualora fosse davvero necessario fare riferimento al colore della pelle, oggi le uniche possibilità socialmente accettabili sono nero e di colore.
Ciò detto, come ha ricordato Carnby, l’influenza dell’inglese ha fatto sí che negro diventasse un peggiorativo, di conseguenza, qualora fosse davvero necessario fare riferimento al colore della pelle, oggi le uniche possibilità socialmente accettabili sono nero e di colore.
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Ferdinand Bardamu ha scritto:Caro Marco, io penso, invece, ...


Devo dedurne che non ha capito il mio intervento?
E mi perdoni ancora una volta, dove sta scritto che l'influenza dell'inglese debba prevalere sul significato e sulla semantica dei nostri lemmi e quindi sul nostro linguaggio e la nostra lingua? Ciò non mi è molto chiaro.Ferdinand Bardamu ha scritto:Ciò detto, come ha ricordato Carnby, l’influenza dell’inglese ha fatto sí che negro diventasse un peggiorativo, di conseguenza, qualora fosse davvero necessario fare riferimento al colore della pelle, oggi le uniche possibilità socialmente accettabili sono nero e di colore.
Che negro poi sia divenuto un termine peggiorativo se ne potrebbe disquisire ampiamente, mi basti dire che il termine nero non è da meno, anzi, quest'ultimo ha molte piú accezioni in tal senso.
Quando parla di "possibilità socialmente accettabili" intende forse dire che dovremmo esprimerci con eufemismi?

Infine, una curiosità: ha mai utilizzato i diversi termini qui citati di fronte a loro? Oppure, gliene ha mai parlato chiedendo come la pensano loro su quest'argomento?
Non intendo assolutamente essere polemico in alcun modo, voglio solo capire meglio le ragioni che La spingono a considerare sensate le affermazioni di cui sopra, e perché sarebbero sbagliate le mie.

Per completezza diciamo che in origine di colore non voleva dire esclusivamente ‘nero’: per gli etnografi e antropologi dei secoli passati di scuola tedesca o anglosassone essere di colore significava ‘più scuro della pigmentazione media dell'Europa centro-settentrionale’. In questo senso, anche popolazioni come gli Italiani erano talvolta considerate di colore.Ferdinand Bardamu ha scritto:Ciò detto, come ha ricordato Carnby, l’influenza dell’inglese ha fatto sí che negro diventasse un peggiorativo, di conseguenza, qualora fosse davvero necessario fare riferimento al colore della pelle, oggi le uniche possibilità socialmente accettabili sono nero e di colore.
- Ferdinand Bardamu
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Grazie, Carnby, della precisazione. 
Questo nuovo stato di cose si può vedere nella lingua dei giornali, qualora avesse proprio bisogno di una riprova. Se ancora nel 1989 si poteva leggere negro usato senz’alcuna connotazione spregiativa:
Con «socialmente accettabili» volevo dire che oggi, nella lingua italiana, negro è avvertito come spregiativo, perciò è inutilizzabile in qualunque dibattito pubblico che non trascenda in uno scambio d’insulti volgare e razzista. Non credo di dover portare prove a sostegno della mia affermazione.
Riguardo alla sua seconda domanda, assumendo che con «loro» lei intenda le persone di pelle nera: no, non gliel’ho mai chiesto. Ma che c’entra? Non mi sembra una domanda rilevante per la discussione che stiamo facendo.

Negare l’influenza dell’inglese, in questo come in altri campi, significa negare l’evidenza. Di fatto, negro non ha piú la connotazione neutra che aveva fino a qualche decennio fa: tanta parte in questa mutazione semantica l’ha il doppiaggio, che ha reso l’originale nigger con negro, anche per via della sincronizzazione del labiale.Marco Treviglio ha scritto:E mi perdoni ancora una volta, dove sta scritto che l'influenza dell'inglese debba prevalere sul significato e sulla semantica dei nostri lemmi e quindi sul nostro linguaggio e la nostra lingua? Ciò non mi è molto chiaro.
Questo nuovo stato di cose si può vedere nella lingua dei giornali, qualora avesse proprio bisogno di una riprova. Se ancora nel 1989 si poteva leggere negro usato senz’alcuna connotazione spregiativa:
- Don Giovanni, negro e aitante, si sbatte tutte le ragazze che incontra (il catalogo, proiettato da Leporello, è simile ai calendarietti che facevano la gioia dei barbieri, o un catalogo di sex-shop). Leporello, negro anche lui, lo imita a dovere. (La Repubblica, 17 novembre 1989)
- Esiste un fondo pulsionale, acefalo — letteralmente "senza testa" — della lotta politica che prevale sulla dimensione socratica del confronto aperto e del dialogo critico. L'insulto ha lo stesso statuto dell'allucinazione psicotica; "verme", "negro", "troia", "ladro", "frocio" tagliano corto, fratturando ogni possibile dialettica critica. (La Repubblica, 30 settembre 2015)
Caro Marco, mi piacciono le discussioni franche, ma eviti, per cortesia, di mettermi in bocca parole che non ho mai detto né intendo dire. Il mio intervento voleva soltanto descrivere uno stato di fatto, senz’alcuna intenzione normativa: quel «dovremmo esprimerci…» è una sua arbitraria conclusione.Marco Treviglio ha scritto:Quando parla di "possibilità socialmente accettabili" intende forse dire che dovremmo esprimerci con eufemismi?Indende forse dire "socialmente accettabili" per “noi bianchi”, per la “nostra” società?
Con «socialmente accettabili» volevo dire che oggi, nella lingua italiana, negro è avvertito come spregiativo, perciò è inutilizzabile in qualunque dibattito pubblico che non trascenda in uno scambio d’insulti volgare e razzista. Non credo di dover portare prove a sostegno della mia affermazione.
Non mi è ben chiaro lo scopo e il senso della sua domanda. Con «loro» a chi si riferisce? Se mi chiede se ho mai apostrofato una persona con «nero» o «negro», no, non mi è mai capitato e non mi capiterà in futuro, per lo stesso motivo per cui non chiamo nessuno «biondo» o «rosso».Marco Treviglio ha scritto:Infine, una curiosità: ha mai utilizzato i diversi termini qui citati di fronte a loro? Oppure, gliene ha mai parlato chiedendo come la pensano loro su quest'argomento?
Riguardo alla sua seconda domanda, assumendo che con «loro» lei intenda le persone di pelle nera: no, non gliel’ho mai chiesto. Ma che c’entra? Non mi sembra una domanda rilevante per la discussione che stiamo facendo.
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Il punto non è "come la pensano loro", o meglio, non è solo quello.
Una parola è un insieme di suoni a cui una comunità di parlanti attribuisce un significato convenzionale.
Se anche mi piacesse un termine, e pensassi di usarlo per definirmi, dovrei comunque confrontarmi con il significato che a quel termine viene dato - anche nelle sfumature emotive - dalla comunità di parlanti con cui interagisco.
Ad esempio, se mi chiamassi Simona, potrei trovare delizioso il diminutivo Mona (l'ho sentito usare da qualche mammina ignara) ma non lo userei mai trovandomi nel nordest italiano, e mi darebbe fastido che mi chiamassero così, in tale area.
Una parola è un insieme di suoni a cui una comunità di parlanti attribuisce un significato convenzionale.
Se anche mi piacesse un termine, e pensassi di usarlo per definirmi, dovrei comunque confrontarmi con il significato che a quel termine viene dato - anche nelle sfumature emotive - dalla comunità di parlanti con cui interagisco.
Ad esempio, se mi chiamassi Simona, potrei trovare delizioso il diminutivo Mona (l'ho sentito usare da qualche mammina ignara) ma non lo userei mai trovandomi nel nordest italiano, e mi darebbe fastido che mi chiamassero così, in tale area.
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Anzitutto, i giornali sono molto portati al “politicamente corretto” (o, in realtà, «eufemismi»), se si fida ciecamente del linguaggio giornalistico faccia come meglio crede; il mio consiglio, nel caso dovesse utilizzare una delle locuzioni facenti parte del titolo di questo filone, è di usare «negro» o «negroide».
Va beh, il doppiaggio poi...
)
Sull'inglese... ancora non m'è chiaro.
Questa è la seconda volta in questo filone che travisa le mie parole: dove avrei scritto che "Lei ha detto..."?
Io non ho dato né espresso alcuna conclusione.
Ho scritto semplicemente una domanda con all'interno di essa un "forse" e un condizionale "dovremmo": piú di cosí... O non avrei dovuto chiedere chiarimenti al riguardo?
Mi sembra che non La imbocchi di nulla e, d'altronde, qui non si scappa: tutto è scritto e controllabile, non siamo mica al circolo dove le parole volano e non è facile riacchiapparle.
Quindi, mi guardo bene dal mettere parole che non sono state dette in bocca alle persone, sia qui che nella vita di tutti i giorni.


Va beh, il doppiaggio poi...

Sull'inglese... ancora non m'è chiaro.
Ferdinand Bardamu ha scritto:Caro Marco, mi piacciono le discussioni franche, ma eviti, per cortesia, di mettermi in bocca parole che non ho mai detto né intendo dire. Il mio intervento voleva soltanto descrivere uno stato di fatto, senz’alcuna intenzione normativa: quel «dovremmo esprimerci…» è una sua arbitraria conclusione.

Io non ho dato né espresso alcuna conclusione.
Ho scritto semplicemente una domanda con all'interno di essa un "forse" e un condizionale "dovremmo": piú di cosí... O non avrei dovuto chiedere chiarimenti al riguardo?
Mi sembra che non La imbocchi di nulla e, d'altronde, qui non si scappa: tutto è scritto e controllabile, non siamo mica al circolo dove le parole volano e non è facile riacchiapparle.
Quindi, mi guardo bene dal mettere parole che non sono state dette in bocca alle persone, sia qui che nella vita di tutti i giorni.
Sono d'accordo solo se tale lemma venisse usato assolutamente o con un'intonazione giudicabile come inidonea.Ferdinand Bardamu ha scritto:Con «socialmente accettabili» volevo dire che oggi, nella lingua italiana, negro è avvertito come spregiativo, perciò è inutilizzabile in qualunque dibattito pubblico che non trascenda in uno scambio d’insulti volgare e razzista. Non credo di dover portare prove a sostegno della mia affermazione.
Naturalmente alle persone di ceppo negroide. A chi altri se no?Ferdinand Bardamu ha scritto:Non mi è ben chiaro lo scopo e il senso della sua domanda. Con «loro» a chi si riferisce?

Ma per favore! Lo sappiamo entrambi che non è la stessa cosa. Avrei compreso di piú un «giallo», questo sí che per me è da evitare.Ferdinand Bardamu ha scritto:Se mi chiede se ho mai apostrofato una persona con «nero» o «negro», no, non mi è mai capitato e non mi capiterà in futuro, per lo stesso motivo per cui non chiamo nessuno «biondo» o «rosso».
Almeno ci provi, intendo con qualcuno colto, tanto per “confronto di idee”.Ferdinand Bardamu ha scritto:Riguardo alla sua seconda domanda, assumendo che con «loro» lei intenda le persone di pelle nera: no, non gliel’ho mai chiesto. Ma che c’entra? Non mi sembra una domanda rilevante per la discussione che stiamo facendo.

- Ferdinand Bardamu
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L’intervento di Domna Charola ha riassunto benissimo il mio pensiero, e ha ben descritto la problematica sociolinguistica dell’uso di questo e di altri termini. Non ho nulla da aggiungere, e credo non ci sia null’altro da aggiungere.domna charola ha scritto:Il punto non è "come la pensano loro", o meglio, non è solo quello.
Una parola è un insieme di suoni a cui una comunità di parlanti attribuisce un significato convenzionale.
Se anche mi piacesse un termine, e pensassi di usarlo per definirmi, dovrei comunque confrontarmi con il significato che a quel termine viene dato – anche nelle sfumature emotive – dalla comunità di parlanti con cui interagisco.
Ad esempio, se mi chiamassi Simona, potrei trovare delizioso il diminutivo Mona (l'ho sentito usare da qualche mammina ignara) ma non lo userei mai trovandomi nel nordest italiano, e mi darebbe fastidio che mi chiamassero così, in tale area.
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Ma certo!Ferdinand Bardamu ha scritto:L’intervento di Domna Charola ha riassunto benissimo il mio pensiero, e ha ben descritto la problematica sociolinguistica dell’uso di questo e di altri termini. Non ho nulla da aggiungere, e credo non ci sia null’altro da aggiungere.
Io, invece, tengo a sottolineare che il lemma «negro» non è paragonabile al lemma «giallo» (nell'accezione etnologica).
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