Un qualcosa, come mostrano gli esempi qui sotto, trova il suo miglior impiego quando s’intenda «una cosa difficile da definire». Nella frase proposta, farei a meno di un, perché manca qualsiasi aura filosofica o intellettuale: è solo qualcosa da approfondire, che nulla ha d’indefinibile in sé.
Volete solamente che, da Firenze, a preferenza dell’altre città d’Italia, si deva prender qualcosa: un qualcosa, del resto, indefinito e indefinibile, perché repugna che da una teoria contradittoria si possano dedurre norme chiare e precise... (Manzoni, Sulla lingua italiana, 1843)
Ma può anch’essere che la reminiscenza risorgente sia così indeterminata, da non rappresentarmi se non un qualcosa a cui avevo pensato, senza nemmeno permettermi di riconoscere, se la cosa era o no distinta da me. (Bernardino Varisco, Scienza e opinioni, 1901)
Quanto a me, confesso che ciò che sempre mi ha suscitato interesse è il momento della particolarità, laddove l’unità mi è parsa quasi un sottinteso, un qualcosa che va da sé (come pensare che l’Universo sia due o più, e non uno? Uno dev’essere!), un qualcosa che non offre altre difficoltà se non quelle che provengono dalla particolarità mal compresa e mal connessa nelle sue forme. (B. Croce, Conversazioni critiche, 1950)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
È precisamente l'anteposizione dell'articolo a conferire dignità sostantivale a qualcosa, altrimenti semplice pronome indefinito. Pertanto mi pare non ci sia « meglio o peggio », bensí « necessario o no » al proprio fine comunicativo.