«Una sonno»
Moderatore: Cruscanti
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«Una sonno»
Non di rado sento la parola sonno usata al femminile («Ho una sonno...» - dove sembra quasi un accorciamento per 'sonno[lenza]'), cosa si può sull'origine di quest'uso?
Si può dire che è completamente errato e che forse è un uso dialettale (parrebbe, da una gugolata, che sia normale a Brescia), o gergale. L’ipotesi d’un accorciamento di sonnolenza mi pare poco probabile poiché non si usa dire Ho una sonnolenza! e la parola sonno fa parte del lessico fondamentale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Purtroppo questo orrore (*una sonno) è 'immortalato' in alcuni libri.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Per la maggior parte sono refusi. Nel quarto esempio del suo collegamento, è una citazione, che mi fa proprio pensare a un’origine settentrionale dialettale (Certo che voi di Bologna).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Confermo l'origine dialettale nordica. Contrariamente a Fausto pero` trovo che non si tratti di un orrore, bensi` di un interessante arricchimento linguistico locale. In mantovano, dunque immagino per estensione in molti dialetti del nord, "sonno" e` maschile quando significa sonno vero e proprio, femminile quando ha il significato - semanticamente diverso - di sonnolenza, come nella frase "avere sonno".
In particolare l'espressione grossomodo cristallizzata e` per l'appunto "ho una sonno..."
"A g'ho 'na son c'a crödi", ("ho un sonno tale da farmi rischiar di cadere come corpo morto cade") dira`opportunamente la gentildonna mantovana alle 2 di notte dopo una serata di bunga bunga ad Arcore
In particolare l'espressione grossomodo cristallizzata e` per l'appunto "ho una sonno..."
"A g'ho 'na son c'a crödi", ("ho un sonno tale da farmi rischiar di cadere come corpo morto cade") dira`opportunamente la gentildonna mantovana alle 2 di notte dopo una serata di bunga bunga ad Arcore
Grazie a Bue e a Chiara, che confermano l’origine settentrionale. Seppure non ve ne dovrebbe essere bisogno, sottolineo che una sonno rimane italiano regionale, e che nella lingua normale non è adoperabile.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
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Re: «Una sonno»
Anche nella bassa modenese si usa "una sonno". Raccapricciante!
Re:
A distanza di dieci anni, da parmigiano confermo di non averlo mai sentito (ne ho scoperto l'esistenza solo con questo filone): almeno qui in zona, per ora, non si è diffuso.chiara ha scritto: mer, 19 gen 2011 22:19 Posso testimoniare un'ampia prevalenza dell'espressione "ho una sonno" a Reggio Emilia, mentre in altre province emiliane, come Parma e Ferrara non l'ho mai sentito dire.

Re: «Una sonno»
Ma c’è un motivo per cui in certi parti del Nord(e) il sostantivo è diventato femminile? Intendo dire, succede anche in altri casi simili?
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Re: «Una sonno»
Io ho sentito "*la coma", al centro e non al nord. Ma non c'erano composizioni di mezzo, semplicemente la persona aveva dedotto il genere dalla -a finale.
Re: «Una sonno»
Scrivo da Belluno, ma non sono bellunese. Sono capitato nel forum nel tentativo di capire perché quassù tutti dicono una sonno. Espressione vedo ben più diffusa di quanto immaginassi!
Re: «Una sonno»
Confermo che a Reggio Emilia è diffusissima colloquialmente la forma al femminile (che mi fa storcere il naso ogni volta).
Visto che nel dialetto locale sono frequenti le vocali prostetiche (per es. reggiano → arzân; domani → edmân; orologio → arlòj), è possibile ipotizzare una sorta di italianizzazione spontanea del dialetto che da un asōn genera *una sonno?
Visto che nel dialetto locale sono frequenti le vocali prostetiche (per es. reggiano → arzân; domani → edmân; orologio → arlòj), è possibile ipotizzare una sorta di italianizzazione spontanea del dialetto che da un asōn genera *una sonno?
Re: «Una sonno»
Il quesito, per come è stato posto, non può che ricevere una risposta negativa.AmorEst ha scritto: lun, 13 giu 2022 11:12 Confermo che a Reggio Emilia è diffusissima colloquialmente la forma al femminile (che mi fa storcere il naso ogni volta).
Visto che nel dialetto locale sono frequenti le vocali prostetiche (per es. reggiano → arzân; domani → edmân; orologio → arlòj), è possibile ipotizzare una sorta di italianizzazione spontanea del dialetto che da un asōn genera *una sonno?
Infatti, pone a confronto due "categorie" che non risultano confrontabili. Nella prima si tratta di bisillabi, la cui seconda sillaba inizia(va) per consonante. E il fenomeno linguistico, comunque si desideri definirlo, s'è verificato del tutto indipendentemente da aspetti di fonosintassi. Il secondo caso equivale a confrontare tra loro una zucchina e dei cocomeri, dal momento che "sonno" - in molti dialetti settentrionali - risulta monosillabo e, pertanto, non può "ambire" ai passaggi evolutivi emiliani che hanno caratterizzato voci appartenenti alla prima delle due classi distinte. In entrambe venne tralasciata la vocale finale di parola, ma un "povero monosillabo" (come il corrispondente di "sonno" nei dialetti emiliani) ha necessariamente l'unica vocale propria accentata e non ne possiede un'altra - non accentata - per potersi "prestare" alle modalità evolutive sopra descritte.
Le quali, per altro, non rappresentano affatto processi fonosintattici, ma sono intervenute nell'ambito ben delimitato delle singole voci emiliane nel lungo percorso dell'evoluzione dalla lingua latina.
Mentre, in generale, le vocali accentate - pur potendo cambiare di timbro - rimangono al loro posto, altrimenti non avremmo assistito - nei secoli - a un'evoluzione - che i dotti definiscono "dialetto" -, ma a una vera e propria distruzione del lessico ...


P.S.: non è che venissero impiegate vocali "prostetiche" a caso. Si fece in quanto, dopo la riduzione allo zero fonico di fonemi vocalici non accentati e non finali di parola, nessi iniziali quali /rz-/, /dm-/, /rl-/ ecc. riuscivano poco agevoli da pronunciarsi, ma in "son(n)(o)" - come sopra chiarito - ciò non si sarebbe mai potuto verificare. Tolta la vocale finale, ne resta unicamente una ...
P.P.S.: infatti, i dialetti emiliani risultano ricchi anche di vocali "epentetiche". E per la stessa ragione. Se noi pronunciamo senza difficoltà voci quali, ad es., carne, forno, merlo, vetro, magro e infinite altre, nei dialetti dell'Emilia si fece ricorso all'epentesi vocalica - i singoli fonemi, per altro, differiscono a seconda delle località - a seguito della "perdita" della vocale finale di parola. Per la stessa motivazione già enunciata in precedenza - determinata dalla pronuncia più scorrevole -. Gli atlanti linguistici riferiscono molte di queste varianti locali.
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