12xu ha scritto: gio, 02 feb 2023 11:52
Il punto è che, come scritto sopra, è una questione generazionale storicamente ben definita. Con ciò non intendo dire che sia una cosa nuova, gli scontri generazionali esistono dai tempi di Saturno e i suoi figli

Ma è una questione generazionale in senso identitario. Nessun giovane vuole essere un neo-sessantottino: vuole essere una cosa a sé, con le proprie idee, il proprio linguaggio, i propri motti e le proprie parole. E in effetti, per quanto ci siano delle sovrapposizioni, è evidente che delle differenze ci sono: non si attacca (sol)tanto il moralismo delle generazioni precedenti (ormai la libertà sessuale è abbastanza sdoganata), quanto il loro eccessivo benessere; l'ambiente ha un ruolo molto più centrale di quanto non lo avesse nel Sessantotto; il comunismo ha perso la sua presa ideologica, e ci si identifica più nelle socialdemocrazie liberali ed europee che non nei regimi asiatici (URSS e Cina) e sudamericani; più che "l'immaginazione al potere", si chiede un ritorno della ragione al potere.
Quindi no, dalla prospettiva giovanile il movimento del 68 non si butta alle ortiche, semplicemente si lascia lì dov'è e si cerca di partire dai suoi risultati per andare avanti.
Fuori tema
A parte che quello di moralismo, comunismo e immaginazione sono un po' le facili etichette appicciate a qualcosa di molto più complesso, e che anche il mettersi in abiti usati e conciati era un rifiuto di un benessere sin troppo ostentato da quelli che erano venuti fuori dalla guerra e dai tempi precedenti...
Appunto, stiamo dicendo più o meno la medesima cosa. Il termine generazionale è legato strettamente al suo significato generazionale, quindi quando si collega direttamente a una critica a quella precisa visione del mondo, mi va bene e occorre il traducente specifico.
Il fatto è che sempre più spesso viene usato semplicemente come sinonimo di antiquato, senza alcuna coscienza o riferimento a un contenuto ideologico proprio di una precisa generazione.
Quando dico a mio nipote che il latino è ancora importante come materia di studio, e lui mi dà del "boomer" per questo - tanto per fare un esempio - non si sta riferendo alla mia ideologia di post-sessantottina d'accatto (all'epoca le mie manifestazioni erano solo contro il lesso nel piatto e lo "a letto dopo Carosello"), bensì al fatto che la mia proposta in sé gli appare fuori tempo... non mi sta dando dell'appartenente alla generazione postbellica, bensì più banalmente a una generica generazione del passato.
12xu ha scritto: gio, 02 feb 2023 11:52
Credo di aver ripetuto abbastanza spesso perché «matusa» non può essere un traducente efficace, quindi pongo una domanda: perché i giovani anglosassoni non hanno adoperato l'esistente «fogey» o «fuddy-duddy» (il loro
matusa) invece di «boomer»? E anche, perché gli anglosassoni hanno la libertà di poter adoperare un termine così specifico, mentre gli italofoni devono riutilizzare «fogey»? Dal mio punto di vista questa questione è differente da quella di «cringe», anche se intimamente collegate: se «cringe» è sintomo dell'appiattimento lessicale italiano (quindi l'uso di poche parole che, combinate in delle perifrasi, trasmettono lo stesso significato di una singola parola desueta), «boomer» è sintomo della carenza creativa dei suoi parlanti.
Concordo sul ragionamento; però, come dicevo sopra, solo nel momento in cui ci si riferisca proprio a quella visione del mondo. Nell'uso generalizzato che viene fatto del termine - cioè semplicemente con riferimento a idee ormai superate - il traducente esoste già.
Tirando le somme, ci sono due usi del termine, secondo me, che vanno distinti:
- necessità di indicare con precisione una specifica generazione, riferendosi propriamente alla sua visione del mondo: occorre il traducente preciso per ogni generazione (e ovviamente, saperlo usare );
- necessità di appellare una persona come antiquata: vista da un giovane, essa rimane tale indipendentemente dalla generazione a cui appartiene. E' antiquata, e basta.
Tutte cose peraltro già dette.