Posteriorità nel discorso indiretto
Moderatore: Cruscanti
Posteriorità nel discorso indiretto
Salve, per esprimere un'azione proiettata al futuro, in un discorso indiretto con reggente al passato, sarebbe preferibile usare un condizionale passato o un imperfetto?
- Animo Grato
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- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Intendevo, più precisamente, una proposizione indiretta con reggente al passato in cui un'azione posteriore viene introdotta dal se.Animo Grato ha scritto:Intende una frase come disse che sarebbe tornato l'indomani? Se è così, ho già risposto.
Esemplificando: chiedeva se sarebbe tornato/tornasse.
Che io sappia, entrambi i modi possono ritenersi corretti, vorrei soltanto capire quale, tra i due, sia quello preferibile.
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Ho capito. Anche in questo caso, la posteriorità è espressa solo dal condizionale (passato nella norma attuale, presente nell'uso manzoniano). Il congiuntivo imperfetto si usa per la contemporaneità.Lutor ha scritto:Esemplificando: chiedeva se sarebbe tornato/tornasse.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
- Animo Grato
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- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
"Nella lingua letteraria (perlomeno fino alla fine dell’Ottocento) si nota l’uso del congiuntivo imperfetto in luogo del condizionale passato".Animo Grato ha scritto:Qualche esempio (possibilmente d'autore)?
Questo è quanto riporta la Treccani nella sezione della concordanza dei tempi.
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Grazie del riferimento, tuttavia l'argomentazione di quella pagina non mi convince del tutto.
Partiamo dal caso più chiaro e "pacifico": in Manzoni, per indicare la posteriorità, non si trova mai una frase come Don Abbondio in vece non sapeva altro se non che l’indomani sarebbe stato giorno di battaglia , ma solo Don Abbondio in vece non sapeva altro se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia. Nulla da dire: tutti noi, da studenti al primo incontro coi Promessi Sposi, siamo stati colpiti da quest'uso e abbiamo imparato presto a capirne la logica e a farci l'abitudine.
Mi sembra però "contestabile" affiancargli l'altro caso (Chi avrebbe creduto che le cose potessero [e non: avrebbero potuto] arrivare a questo segno?). La parte che contesto non è la correttezza della frase (ché anzi mi suona meno "esotica" dell'altra, e più in linea con l'uso attuale) ma l'interpretazione di posteriorità. Io la sento, sintatticamente, come un caso di contemporaneità (perfettamente conforme all'uso moderno, esemplificato nella tabella 1) anche se, semanticamente, si spinge nel futuro: è la versione stilisticamente sorvegliata del più "basso" e colloquiale Chi avrebbe creduto che le cose potevano andare così?. La presenza di un verbo come potere, che già di suo sfuma i contorni temporali e rimanda indefinitamente il passaggio dalla potenza all'atto, rafforza quest'idea, ma lo stesso esempio della citata tabella 1, anche senza potere, casca a fagiolo: avrei creduto che egli riuscisse è chiaramente una previsione e quindi, semanticamente, un caso di posteriorità.
Quella stessa pagina mi ha fatto venire in mente altre questioni, alle quali non so rispondere e che la stessa pagina non approfondisce.
Al di là della compatibilità con la spiegazione "moderna" (che, in mancanza di elementi contrari, diamo per buona), perché Manzoni opta per Chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno?? Il suo abituale "futuro del passato" è il condizionale presente: ha forse preferito, in una dipendente da una principale a sua volta al condizionale, la variatio del congiuntivo? O forse non s'è trattato di una scelta occasionale, ma il suo sistema di concordanze gli vietava lo scarto dal condizionale passato della principale al condizionale presente della subordinata, obbligandolo alla "contemporaneità sintattica" con valore di posteriorità? Il che vorrebbe dire che, nel sistema manzoniano, in un caso del genere non c'era modo di distinguere sintatticamente la contemporaneità dalla posteriorità...
La parola agli esperti. Come ho detto all'inizio, il caso tipico del disse che la domenica successiva farebbe saltava agli occhi (e agli orecchi) di qualunque studente, ma quello di un'eventuale sistematicità di avrebbe creduto che le cose potessero, senza alternative, passa inosservato proprio per la sua non estraneità all'uso corrente, a meno che uno non decida di prestarci una particolare attenzione.
Partiamo dal caso più chiaro e "pacifico": in Manzoni, per indicare la posteriorità, non si trova mai una frase come Don Abbondio in vece non sapeva altro se non che l’indomani sarebbe stato giorno di battaglia , ma solo Don Abbondio in vece non sapeva altro se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia. Nulla da dire: tutti noi, da studenti al primo incontro coi Promessi Sposi, siamo stati colpiti da quest'uso e abbiamo imparato presto a capirne la logica e a farci l'abitudine.
Mi sembra però "contestabile" affiancargli l'altro caso (Chi avrebbe creduto che le cose potessero [e non: avrebbero potuto] arrivare a questo segno?). La parte che contesto non è la correttezza della frase (ché anzi mi suona meno "esotica" dell'altra, e più in linea con l'uso attuale) ma l'interpretazione di posteriorità. Io la sento, sintatticamente, come un caso di contemporaneità (perfettamente conforme all'uso moderno, esemplificato nella tabella 1) anche se, semanticamente, si spinge nel futuro: è la versione stilisticamente sorvegliata del più "basso" e colloquiale Chi avrebbe creduto che le cose potevano andare così?. La presenza di un verbo come potere, che già di suo sfuma i contorni temporali e rimanda indefinitamente il passaggio dalla potenza all'atto, rafforza quest'idea, ma lo stesso esempio della citata tabella 1, anche senza potere, casca a fagiolo: avrei creduto che egli riuscisse è chiaramente una previsione e quindi, semanticamente, un caso di posteriorità.
Quella stessa pagina mi ha fatto venire in mente altre questioni, alle quali non so rispondere e che la stessa pagina non approfondisce.
Al di là della compatibilità con la spiegazione "moderna" (che, in mancanza di elementi contrari, diamo per buona), perché Manzoni opta per Chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno?? Il suo abituale "futuro del passato" è il condizionale presente: ha forse preferito, in una dipendente da una principale a sua volta al condizionale, la variatio del congiuntivo? O forse non s'è trattato di una scelta occasionale, ma il suo sistema di concordanze gli vietava lo scarto dal condizionale passato della principale al condizionale presente della subordinata, obbligandolo alla "contemporaneità sintattica" con valore di posteriorità? Il che vorrebbe dire che, nel sistema manzoniano, in un caso del genere non c'era modo di distinguere sintatticamente la contemporaneità dalla posteriorità...
La parola agli esperti. Come ho detto all'inizio, il caso tipico del disse che la domenica successiva farebbe saltava agli occhi (e agli orecchi) di qualunque studente, ma quello di un'eventuale sistematicità di avrebbe creduto che le cose potessero, senza alternative, passa inosservato proprio per la sua non estraneità all'uso corrente, a meno che uno non decida di prestarci una particolare attenzione.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
L’esempio treccaniano fornito, quello di Manzoni, non è probante per illustrare la possibilità del congiuntivo imperfetto di esprimere la posteriorità in luogo del condizionale composto, perché (1) siamo in un’interrogativa indiretta (in cui concorre, come ricordato da Animo Grato, l’indicativo imperfetto) e (2) la frase dipende da un verbo (credere) che seleziona, di norma, il congiuntivo.
Mi sembra dunque che si possa riassumere la questione in modo semplice:
(1) La posteriorità si può sempre (tranne rari casi) esprimere col condizionale composto;
(2) La posteriorità si può anche esprimere col congiuntivo imperfetto ma solo in dipendenza da un verbo che seleziona il congiuntivo.
L’esemplificazione è facile :
(1) Mi disse che sarebbe tornato prima di mezzanotte.
(2) *Mi disse che tornasse prima di mezzanotte. [agrammaticale]
(3) Speravo che sarebbe tornato prima di mezzanotte.
(4) Speravo che tornasse prima di mezzanotte.
Insomma, nell’esempio (4) non v’è assolutamente nulla di letterario, è un uso normale a tutt’oggi.
Mi sembra dunque che si possa riassumere la questione in modo semplice:
(1) La posteriorità si può sempre (tranne rari casi) esprimere col condizionale composto;
(2) La posteriorità si può anche esprimere col congiuntivo imperfetto ma solo in dipendenza da un verbo che seleziona il congiuntivo.
L’esemplificazione è facile :
(1) Mi disse che sarebbe tornato prima di mezzanotte.
(2) *Mi disse che tornasse prima di mezzanotte. [agrammaticale]
(3) Speravo che sarebbe tornato prima di mezzanotte.
(4) Speravo che tornasse prima di mezzanotte.
Insomma, nell’esempio (4) non v’è assolutamente nulla di letterario, è un uso normale a tutt’oggi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Quindi desumo, se ho ben compreso, che la possibilità di esprimere la posteriorità mediante il congiuntivo imperfetto non può considerarsi totalmente errata, tuttavia tale opzione riposa nella facoltà del verbo principale di reggere il congiuntivo (pensare, credere, volere, supporre ecc.) , giusto?
"Pensavo/credevo/volevo/supponevo che tornasse presto"
"Pensavo/credevo/volevo/supponevo che tornasse presto"
Desume bene e ben ha compreso. 
L'indicazione del sito Treccani sarebbe per questo fuorviante, senza tale precisazione. E ribadisco che l'uso del congiuntivo imperfetto in questi casi nulla ha di letterario.

L'indicazione del sito Treccani sarebbe per questo fuorviante, senza tale precisazione. E ribadisco che l'uso del congiuntivo imperfetto in questi casi nulla ha di letterario.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Re: Posteriorità nel discorso indiretto
- Spererei che venisse.
- Spererei che venga.
- Spererei che verrebbe.
Con i verbi di volontà e desiderio solitamente non si può utilizzare il condizionale, e il verbo sperare mi sembra che ne faccia parte.
Re: Posteriorità nel discorso indiretto
Troppo facile, perfino per me, rispondere che no, non è accettabile.Enzo ha scritto: ven, 12 mag 2023 20:07Sono tutte accettabili? Io mio dubbio riguarda l'ultima.
- Spererei che verrebbe.

Vediamo però, se in qualche raro caso non si possa dire:
— Con le tue modifiche, cosa mai spereresti di ottenere?
— Spererei che verrebbe accettato.
e la parola passa agli esperti.
Gli Usa importano merci ed esportano parole e dollàri.
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- Interventi: 429
- Iscritto in data: ven, 30 lug 2021 11:21
Re: Posteriorità nel discorso indiretto
Ma se sottintendessimo una frase ipotetica (Spererei che verrebbe, se fosse invitato), il condizionale presente sarebbe comunque da respingere?
Chi c’è in linea
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