Come promesso, ho recuperato il saggio del Lepschy citato da Gaeta alla voce «
parole enclitiche» dell’
Enciclopedia dell’Italiano Treccani (Giulio C. Lepschy, «Verbi causativi e percettivi seguiti da un infinito: competenza e esecuzione», in:
Saggi di linguistica italiana, Bologna 1978, «il Mulino», pp. 41–54). Saggio stimolante, come tutt’i lavori del Lepschy, e, come molti dei suoi saggi, ai limiti dell’eterodossia. Vale la pena citarne la premessa:
G.C. Lepschy, op. cit., p. 41, ha scritto:
Lavorando a una descrizione dell’italiano contemporaneo ho constatato che uno dei capitoli meno istruttivi nelle grammatiche correnti è quello dedicato alle costruzioni verbo + infinito, particolarmente per quanto riguarda la scelta del caso per il soggetto dell’infinito, e l’uso dei clitici.
Non si trattava dunque di controllare, in base alla mia conoscenza della lingua, quello che dicono le grammatiche, ma piuttosto di esaminare direttamente i fatti linguistici. Qui, come del resto in tanti altri punti della descrizione, era chiaro fin dall’inizio che non si poteva stare ad aspettare che gli esempi necessari, con il significato richiesto, saltassero fuori spontaneamente: avrei potuto passare tutto il resto della mia vita ad ascoltare conversazioni italiane, o a leggere i fondi italiani della British Library, senza riuscire, neanche lontanamente, a trovare il numero necessario di dati pertinenti. La co‑autrice del libro ed io abbiamo deciso di servirci di noi stessi come soggetti per controllare quello che si dice e quello che non si dice, e abbiamo confrontato i nostri risultati con quelli ottenuti interrogando altri italiani.
La (6a) non è in realtà presente direttamente nel saggio del Lepschy, ma vi si trova l’analoga per i verbi causativi (45). Poiché le restrizioni sintattiche cui soggiacciono i causativi sono maggiori di quelle che interessano i percettivi, possiamo dedurne che il Lepschy ritenga grammaticale anche la costruzione percettiva corrispondente (il Lepschy racchiude tra parentesi tonde le frasi che ritiene marginali o ai limiti dell’agrammaticalità). Vediamo quindi cosa ci dice in merito il linguista:
G.C. Lepschy, op. cit., pp. 49–50, ha scritto:
Verbi come
parlare a,
parlare di possono essere costruiti come gli intransitivi, e avere un soggetto all’accusativo, come in
- la ho fatta parlare a Ugo
- la ho fatta parlare di semiotica,
oppure come i transitivi, e avere un soggetto al dativo o all’agentivo, con le differenze di significato che abbiamo visto, come in
- le ho fatto parlare a Ugo
- le ho fatto parlare di semiotica
- gli ho fatto parlare da lei
- ne ho fatto parlare da lei;
dei contesti possibili possono indicare, per (42) che ho trovato un interlocutore, e per (43) che ho trovato un argomento per farla parlare; per (44) che la ho indotta a parlare dei suoi problemi con Ugo, e per (45) che la ho indotta parlare di semiotica; per (46) che lei era la persona piú adatta per parlargli, per (47) che ho trovato il relatore adatto per l’argomento in questione.