Propongo la lettura d’un articolo apparso nell’aprile 2009 sulla rivista
Wired (che ho potuto leggere e trascrivere grazie alla foto gentilmente trasmessami da Decimo).
I nuovi vocaboli al vaglio dell’Accademia fiorentina
Scannerizzare & Co.
Scannerizzare non è parola nuova, ma la curiosità intorno al suo uso si rinnova continuamente. Esiste una costellazione di parole – scandire, scannare, scannerare, scannerizzare, scansionare, scansire – che indicano la stessa azione. Per suggerire una scelta non si può dimenticare il punto fondamentale: si tratta di tecnicismi ed è quindi rilevante che il termine adottabile sia il piú possibile univoco (un solo significato) e trasparente (la forma stessa della parola deve suggerirne il significato).
Scannare e scandire appaiono deboli; quanto a scansionare non è verbo ambiguo, ma la sua derivazione da scansione lo rende piú generico di scannerizzare. Quest’ultimo, fortemente legato al nome dell’oggetto tecnico scanner, è trasparente e nello stesso tempo univoco. Quanto a scansire e scannerare l’uso pare avere già deciso, vista la loro scarsa presenza su giornali, web e manuali tecnici. L’indicazione dei linguisti è quella della massima libertà; ma non è un caso che già nel 1994 Giovanni Nencioni, allora presidente dell’Accademia, avesse bene accolto il tecnicismo scannerizzare.
Marco Biffi (Accademia della Crusca)
Or dunque: il punto fondamentale è che i tecnicismi dovrebbero essere, per quanto possibile, univoci, o, per usare un tecnicismo – ché
univoco ha due accezioni e il lettore potrebbe rimaner confuso –,
monosemici. E non c’è nulla da obiettare, è vero che sarebbe preferibile che il linguaggio tecnico-scientifico fosse unireferenziale per evitare qualsiasi ambiguità. Nella pratica, però, vediamo che spesso cosí non è, e il vocabolario tecnico-scientifico abbonda di parole comuni polisemiche. Basterebbe citare, per la fisica,
forza, momento, capacità, densità, frequenza, lavoro, periodo, potenza, resistenza, e mille altre; per la matematica:
area, faccia, (poligono) funicolare, fuoco, nodo, origine, raggio, tangente, ecc.
Veniamo alla scansione e ai verbi che ne esprimono il processo.
Scanner, che l’inglese derivò dal verbo
to scan – adattato dal latino
scandĕre – è attestato in italiano sin dal 1974. Sebbene non avessimo propriamente scanditori negli anni ’60, avevamo già un’operazione simillima, riguardante la televisione, che si diceva italianamente
scandire: «‘in televisione, analizzare mediante un fascio elettronico tutti i punti in sequenza d’un’immagine da trasmettere’ (1959,
Diz. enc.).» (DELI) Che cosa fa lo scanditore se non analizzare con un fascio luminoso un’immagine da riprodurre? Ecco, ci siamo dimenticati, una volta ancora, d’una parola italiana per adottare un verbo costruito su base straniera. Vogliamo anche abbandonare
scansione (1959) a favore di
scannerizzazione?
Dove sia la «debolezza» d’uno
scandire non lo capisco proprio: era parola dell’uso tecnico in televisione e per l’informatica diventa debole? Strano ragionamento. Ancora:
scannerizzare è un intruso che viene a stravolgere la famiglia
scandire, scansione, scanditore, parole tutte registrate dai dizionari in senso informatico.
«L’indicazione dei linguisti è quella della massima libertà»: ecco dove, a mio parere, si sbaglia. Dire alla gente che può scegliere la parola che vuole senza dare una preferenza
sensatamente motivata per l’una o per l’altra è l’esatto opposto di ciò che la gente che chiede desidera: essa infatti vuole delle risposte chiare, affidabili, autorevoli: delle certezze.
Giustificare l’uso maggioritario è un conto; avallarlo senza apparente coscienza storica sarebbe, in definitiva e sempre a mio umile avviso, un atto di rinunzia alle possibilità espressive endogene della lingua. Per discutibilissimi motivi di presunto «modernismo».