Coerenza linguistica e opportunità del calco

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brg
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Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di brg »

12xu ha scritto: sab, 18 mag 2024 0:44 L'ignoranza linguistica di cui lei parla è trasversale: non limitata alle classi semicolte, ma estesa davvero fino alle più istruite.
Su questo punto sfonda una porta aperta. Siamo in piena beotocrazia.
12xu ha scritto: sab, 18 mag 2024 0:44 Una delle ragioni è che la lingua inglese è molto più intuitiva e alla mano: se ho presente addiction, mi è più spontaneo passare ad addictive e poi addictivity, che non da dipendenza a che crea dipendenza; che porta peraltro a un vicolo cieco: come traduco addictivity? Le parafrasi saranno pure equivalenti, ma talvolta mi è molto più intuitivo dire come una cosa è, che non dire cosa fa: così ad esempio mi è più intuitivo dire Tizio è è una brava persona che non Tizio è una persona che fa cose buone; o di nuovo, mi è più facile dire la bontà di Tizio che non la qualità di Tizio, che è buono.
Le lingue differiscono non solo in vocabolario e grammatica, ma anche nel modo di esprimere i concetti. Quella è una delle ragioni, molto pedagogiche, per cui un tempo al liceo classico facevano le traduzioni dal greco al latino. Il latino, come l'italiano, tende a ricercare la precisione di significato nei complementi, mentre il greco nei verbi; per cui una frase greca che suona come "gli uomini sbagliano grandi cose", in italiano va tradotta con "gli uomini fanno grandi sbagli". Quindi evitiamo di calcare alla cieca altre lingue, che hanno modi di esprimersi diversi dall'italiano. Non è che, invento, siccome in tedesco "fronte unito dei lavoratori" si dice "Arbeitereinheitsfront", allora in italiano devo tirar fuori una parola per esprimere lo stesso concetto: molto probabilmente non sarebbe più italiano.
12xu ha scritto: sab, 18 mag 2024 0:44 Perché mai dovrei scegliere la tassa sulle bevande zuccherate piuttosto che la Sugar Tax? Perché è più chiaro, va bene, ma una volta convenuti che quel nome significa quella cosa, è molto più comodo usare l'inglese; senza contare che l'equivalente inglese spesso non crea grandi equivoci.
Allora tanto varrebbe chiamarla, che so, "sgnafuz" e poi concordarsi sul fatto che "sgnafuz" significa "tassa sulle bevande zuccherate". Se in inglese la "sugar tax" non la chiamano "sugar tax", perché dovremmo farlo in italiano? In Inghilterra hanno la "Soft Drinks Industry Levy", in Canada la "Sugar Sweetened Beverage Tax", negli Stati Uniti, dove la gente è più pragmatica, la "Sweetened Beverage Tax", noi invece dobbiamo accontentarci di un'espressione che sembra, e lo è, uscita dalla testa di qualche pubblicitario d'assalto. Se siamo al bar a fare discorsi da bar, tanto per rimanere in tema, possiamo anche accontentarci di un linguaggio gergale, ma quando si fa informazione, si fa politica, si fa diplomazia, si fa letteratura, si fa educazione e formazione bisogna usare una lingua chiara, precisa e regolare.
12xu ha scritto: sab, 18 mag 2024 0:44 La questione non è solo di brevità, ma anche di immediatezza: si parla di cattiveria e non di grinta perché il primo aggettivo a cui penso è cattivo, non grintoso, quest'ultimo praticamente mai usato nel parlato quotidiano.
Quello è un problema, perché la cattiveria è tutta un'altra cosa. A me verrebbe in mente di dire "grinta", "tenacia", "determinazione", "impegno", "ardore", financo "furore" o "irriducibilità", prima che il completamente fuori luogo "cattiveria". Così come quando sento il commentatore dire che il tal giocatore "fa male", per dire che "attacca", "colpisce", "affonda", oppure che "dà un grattacapo", "crea problemi", "impegna", "cimenta", mi cascano le braccia e tutto il resto. Quella non è naftalina, è dislessia bella e buona.
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

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Carnby ha scritto: sab, 18 mag 2024 11:27 Non è una questione di essere produttivi: barberia, barbieria o barbaria sono parole esistenti in italiano da secoli, come testimonia il GDLI.
Lo so bene: l'ho notato nell'intervento sopra. Ciò che dico è che a me questi filoni paiono comunque utili perché rafforzano la mia percezione di coerenza, ché uno dei maggiori problemi mi par proprio questo: l'ignoranza delle potenzialità della lingua. Il meccanismo che permette di passare da una parola ai suoi derivati nell'italiano è molto meno oliato che in inglese, e reputo che ciò sia uno dei diversi motivi all'uso degli anglismi. Questo meccanismo si olia con l'esperienza, provando per esempio che si può dire barbieria invece di negozio di barbiere.
brg ha scritto: sab, 18 mag 2024 12:34 Le lingue differiscono non solo in vocabolario e grammatica, ma anche nel modo di esprimere i concetti. Quella è una delle ragioni, molto pedagogiche, per cui un tempo al liceo classico facevano le traduzioni dal greco al latino. Il latino, come l'italiano, tende a ricercare la precisione di significato nei complementi, mentre il greco nei verbi; per cui una frase greca che suona come "gli uomini sbagliano grandi cose", in italiano va tradotta con "gli uomini fanno grandi sbagli". Quindi evitiamo di calcare alla cieca altre lingue, che hanno modi di esprimersi diversi dall'italiano. Non è che, invento, siccome in tedesco "fronte unito dei lavoratori" si dice "Arbeitereinheitsfront", allora in italiano devo tirar fuori una parola per esprimere lo stesso concetto: molto probabilmente non sarebbe più italiano.
Concordo con lei sulla necessità di non esagerare; ma se fatto in modo simile agli antichi romani che creavano calchi dal greco, mi par cosa utile. Ovviamente calcare "Arbeitereinheitsfront" non lo è; ma che male v'è nel creare il calco errandesìo per Wanderlust, o malgaudio per Schadenfreude? La produttività e la bellezza di una lingua son esaltate dal confronto con le altre.
brg ha scritto: sab, 18 mag 2024 12:34 Allora tanto varrebbe chiamarla, che so, "sgnafuz" e poi concordarsi sul fatto che "sgnafuz" significa "tassa sulle bevande zuccherate". Se in inglese la "sugar tax" non la chiamano "sugar tax", perché dovremmo farlo in italiano? In Inghilterra hanno la "Soft Drinks Industry Levy", in Canada la "Sugar Sweetened Beverage Tax", negli Stati Uniti, dove la gente è più pragmatica, la "Sweetened Beverage Tax", noi invece dobbiamo accontentarci di un'espressione che sembra, e lo è, uscita dalla testa di qualche pubblicitario d'assalto. Se siamo al bar a fare discorsi da bar, tanto per rimanere in tema, possiamo anche accontentarci di un linguaggio gergale, ma quando si fa informazione, si fa politica, si fa diplomazia, si fa letteratura, si fa educazione e formazione bisogna usare una lingua chiara, precisa e regolare.
Ovviamente si sceglie quale parole usare secondo un compromesso tra lunghezza e perspicuità. Faccio notare che lei ha riportato correttamente i nomi ufficiali delle imposte; ma anche nei media dei paesi anglofoni si parla di Sugar Tax: si vedano la BBC (non nel titolo ma riusato più volte nel corpo dell'articolo) e l'Irish Times. In italiano come dovremmo chiamarla senza usare il quadruplo delle sillabe? Se l'italiano fosse una lingua meno ingessata, usando una sorta di genitivo, si potrebbe benissimo dire tassa bibite.
brg ha scritto: sab, 18 mag 2024 12:34 Quello è un problema, perché la cattiveria è tutta un'altra cosa. A me verrebbe in mente di dire "grinta", "tenacia", "determinazione", "impegno", "ardore", financo "furore" o "irriducibilità", prima che il completamente fuori luogo "cattiveria". Così come quando sento il commentatore dire che il tal giocatore "fa male", per dire che "attacca", "colpisce", "affonda", oppure che "dà un grattacapo", "crea problemi", "impegna", "cimenta", mi cascano le braccia e tutto il resto. Quella non è naftalina, è dislessia bella e buona.
Comprendo meglio il suo punto. Reputo che i due problemi siano legati: una lingua innaftalinata porta a prediligere le parole secondo comunanza¹, ricavandone significati impropri. L'esigenza d'esprimersi nel modo più ordinario possibile porta a forzarne il significato e a impoverire la lingua. Il rischio di usare l'italiano propriamente è sempre quello di suonare come un personaggio dell'Armata Brancaleone o un sottoposto del gerarca Barbagli; sì si ricorre a perifrasi di parole comuni per non suonar ridicoli.

______________________

¹A riprova della ingessatura della lingua: in inglese, m'è naturalissimo dedurre commonness da common; in italiano, comunezza, il termine che m'è più naturale, non è attestato in alcun vocabolario a me accessibile. Ho dovuto optare per comunanza poco convintamente, incerto di poter forzare così il suo significato.
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di brg »

12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 13:34 […] ma che male v'è nel creare il calco errandesìo per Wanderlust, o malgaudio per Schadenfreude? […]
Che non è più lingua italiana quella. I francesi, che sono molto più protettivi e linguisticamente attivi di noi, non si sognerebbero mai di svigliaccare il proprio idioma con costruzioni aliene come quelle. Si accontentano di usare locuzioni espressive come "gioia maligna" o "spirito d'avventura".
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 13:34 […] una lingua innaftalinata porta a prediligere le parole secondo comunanza1, ricavandone significati impropri. […]
1A riprova della ingessatura della lingua: in inglese, m'è naturalissimo dedurre commonness da common; in italiano, comunezza, il termine che m'è più naturale, non è attestato in alcun vocabolario a me accessibile.
E meno male che non l'ha trovato, visto che non avrebbe senso. Il significato proprio di "comune" non è quello che ella le attribuisce, per cui le numerose parole derivate ("comunità", "comunanza", "comunicare") hanno correntemente tutt'altri significati. Avrebbe dovuto parlare di "frequenza" o di "consuetudine" o di "ordinarietà" (e poi ci sarebbero anche "diffusione" e "familiarità" e "uso").
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 13:34 […] anche nei media dei paesi anglofoni si parla di Sugar Tax: si vedano la BBC (non nel titolo ma riusato più volte nel corpo dell'articolo) e l'Irish Times. In italiano come dovremmo chiamarla senza usare il quadruplo delle sillabe?
Dovrebbe seguire l'esempio degli articoli che ha riportato. L'Irish Times usa l'espressione "sugar tax" solamente nel titolo, poi nel corpo dell'articolo usa prevalentemente la sola parola "tax", ma solamente dopo aver usato un paio di volte l'espressione informativa e chiarificatrice "tax on sugar-sweetened drinks" e citando una dichiarazione del governo che parla di "sugar-sweetened drinks tax". Similmente il lungo articolo della BBC usa l'espressione "sugar tax" senza altre specificazioni solo due o tre volte alla fine dell'articolo. In italiano si può chiamare "tassa sullo zucchero" e poi "tassa" e basta quando si sa di che si parla, se si vuole fare economia di inchiostro (virtuale) e carta (virtuale pure quella).
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 13:34 Se l'italiano fosse una lingua meno ingessata, usando una sorta di genitivo, si potrebbe benissimo dire tassa bibite.
La parola "tassabibite" ha già un altro significato in italiano. Se vogliamo chiamare gergalmente la tassa sulle bibite zuccherate il "tassabibite", lo si può fare. Quello che non si può fare è venire a parlare seriamente, in televisione, alla radio o sui giornali, di quella tassa chiamandola "sugar tax" o "tassabibite". Non è serio, non ho tre anni e non posso accettarlo.
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

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brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 19:13 Che non è più lingua italiana quella. I francesi, che sono molto più protettivi e linguisticamente attivi di noi, non si sognerebbero mai di svigliaccare il proprio idioma con costruzioni aliene come quelle. Si accontentano di usare locuzioni espressive come "gioia maligna" o "spirito d'avventura".
Non mi pare sia opinione comune che Dante abbia svigliaccato la propria lingua decidendo di creare neologismi; né che Cicerone abbia svigliaccato il latino calcando dal greco; o che Luzi abbia violentato l'italiano creando la parola (meravigliosa) acquilunio.
Se esistono malaugurio e malagio, nulla vieta la creazione di malgaudio. Se si preferisce gioia maligna va altrettanto bene; ma non vedo cosa renda meno legittima l'altra soluzione.
brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 19:13 E meno male che non l'ha trovato, visto che non avrebbe senso. Il significato proprio di "comune" non è quello che ella le attribuisce, per cui le numerose parole derivate ("comunità", "comunanza", "comunicare") hanno correntemente tutt'altri significati. Avrebbe dovuto parlare di "frequenza" o di "consuetudine" o di "ordinarietà" (e poi ci sarebbero anche "diffusione" e "familiarità" e "uso").
Grande Dizionario della Lingua Italiana ha scritto: comune:
5. Che tutti o i più seguono, condividono, accettano, approvano; che tutti usano, praticano, fanno (un’opinione, un parere, un vocabolo, un uso, una consuetudine, un modo di vivere, un mezzo, ecc.) ; che i più ripetono, diffondono (una voce, una diceria).
Dante, Conv., IV-vn-4: Oh, com’è grande la mia impresa in questa canzone, a volere ornai così trifoglioso campo sarchiare come quello de la comune sentenza, sì lungamente da questa cultura abbandonato! M. Villani
Come chiamo la qualità della sentenza comune di cui parla Dante? Ché le alternative da lei proposte mi paiono o improprie o imprecise. Che una lingua abbia un baco simile senza alcuna ragione pratica è, a mio vedere, inacettabile. Stonerà all'orecchio, ma l'italiano è uno strumento comunicativo; non una melodia.
brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 19:13 Dovrebbe seguire l'esempio degli articoli che ha riportato. L'Irish Times usa l'espressione "sugar tax" solamente nel titolo, poi nel corpo dell'articolo usa prevalentemente la sola parola "tax", ma solamente dopo aver usato un paio di volte l'espressione informativa e chiarificatrice "tax on sugar-sweetened drinks" e citando una dichiarazione del governo che parla di "sugar-sweetened drinks tax". Similmente il lungo articolo della BBC usa l'espressione "sugar tax" senza altre specificazioni solo due o tre volte alla fine dell'articolo. In italiano si può chiamare "tassa sullo zucchero" e poi "tassa" e basta quando si sa di che si parla, se si vuole fare economia di inchiostro (virtuale) e carta (virtuale pure quella).

La parola "tassabibite" ha già un altro significato in italiano. Se vogliamo chiamare gergalmente la tassa sulle bibite zuccherate il "tassabibite", lo si può fare. Quello che non si può fare è venire a parlare seriamente, in televisione, alla radio o sui giornali, di quella tassa chiamandola "sugar tax" o "tassabibite". Non è serio, non ho tre anni e non posso accettarlo.
Non ho affermato che usassero solo sugar tax; ho provato la falsità secondo cui gli anglosassoni rifuggono questa formula. Tassa bibite era una mezza provocazione: volevo proporre tassa soda sul modello francese ma sarebbe stato troppo evidente :mrgreen:
Ciò che mi premeva sottolineare è che anche il francese violenta la sua lingua e usa il più breve taxe soda alternatamente a taxe sur les boissons sucrées. E di nuovo, non si capisce quale necessità renda il francese più atto a soluzioni simili. Certo, qui si ricade nel solito dilemma "Che fai: se i tuoi amici si buttano in un pozzo, lo fai anche te?" :lol:
E concordo che la soluzione ideale sarebbe tassa sulle bibite o tassa sull'inzuccheramento. Ma violenza per violenza, preferisco una lingua capace di sopportare le storture come taxe soda che non una così rigida da richiedere gli anglismi acché non risulti prolissa.
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di brg »

12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 20:21 Non mi pare sia opinione comune che Dante abbia svigliaccato la propria lingua decidendo di creare neologismi; né che Cicerone abbia svigliaccato il latino calcando dal greco; o che Luzi abbia violentato l'italiano creando la parola (meravigliosa) acquilunio.
Il problema non è la coniazione di nuove parole, ma la coniazione di nuove parole incoerente con l'uso.
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 20:21 Se esistono malaugurio e malagio, nulla vieta la creazione di malgaudio.
Sì, ma non dimentichiamo che codeste sono contrazioni di espressioni precedentemente in uso.
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 20:21 Se si preferisce gioia maligna va altrettanto bene; ma non vedo cosa renda meno legittima l'altra soluzione.
"Maligno" qui è certamente termine più preciso ed espressivo di "malo". Per supporre la coniazione di "malgaudio" dovremmo supporre un uso di "mal(o) gaudio" come traduzione naturale di "Schadenfreude", tuttavia né "malo", né "gaudio" sono le traduzioni migliori. Migliori nel senso di più espressive e corrette nel rispetto del significato originario. Per cui "malgaudio" appare come, ed è senza dubbi, un costrutto artificioso.
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 20:21
Grande Dizionario della Lingua Italiana ha scritto: comune:
5. Che tutti o i più seguono, condividono, accettano, approvano; che tutti usano, praticano, fanno (un’opinione, un parere, un vocabolo, un uso, una consuetudine, un modo di vivere, un mezzo, ecc.) ; che i più ripetono, diffondono (una voce, una diceria).
Dante, Conv., IV-vn-4: Oh, com’è grande la mia impresa in questa canzone, a volere ornai così trifoglioso campo sarchiare come quello de la comune sentenza, sì lungamente da questa cultura abbandonato! M. Villani
Come chiamo la qualità della sentenza comune di cui parla Dante? Ché le alternative da lei proposte mi paiono o improprie o imprecise. Che una lingua abbia un baco simile senza alcuna ragione pratica è, a mio vedere, inacettabile.
Con uso.
Grande Dizionario della Lingua Italiana ha scritto: 11. Impiego, durante la conversazione o la stesura di testi scritti, di determinate forme linguistiche o di una determinata lingua.
[…] - In uso, di uso: (con valore aggett.): che è abitual­mente usato dai parlanti (una forma linguistica). […]
12. Maniera appropriata ed efficace di usare una forma linguistica, in partic. una parola.
[…]
13. Ling. Principio che determina, attraverso l’im­piego da parte dei parlanti e la successiva cristallizza­zione delle forme linguistiche, l’evoluzione e i carat­teri propri della lingua.
[…]
14. Maniera abituale di parlare o di scrivere e, con meton., parlata, linguaggio propri di una determinata regione, epoca, ambiente sociale, settore, ecc., o usati da una determinata persona (in partic. uno scrittore).
[…]
15. Nelle espressioni Uso comune, vivo, presente, o, assol., senza ulteriori specificazioni: il modo di parlare (rar. anche di scrivere) corrente e, con meton., la lingua usata dai parlanti medi nella comunicazione quoti­diana. […]
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 20:21 Non ho affermato che usassero solo sugar tax; ho provato la falsità secondo cui gli anglosassoni rifuggono questa formula.
Grazie tante, "sugar tax" significa letteralmente "tassa sullo zucchero", è quindi ovvio che in un contesto di variatio e di abbreviazione possa essere usato. Il punto però è che non usano né ufficialmente, né ufficiosamente un tale nomignolo, che pure nella loro lingua ha senso compiuto, per la tassa in questione, come invece si fa qui da noi. Noi abbiamo i comunicati di Confindustria che parlano di "sugar tax", abbiamo gli articoli giornalistici che parlano di "sugar tax" usando praticamente solo quell'espressione. Il problema è che noi ci comportiamo come se "sugar tax" fosse il nome proprio della tassa in questione, cosa che è falsa e che nemmeno nell'ultimo dei paesi anglofoni farebbero.
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di Carnby »

Se si seguisse la storia della lingua si potrebbe parlare di zuccheratico.
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Ferdinand Bardamu
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Concordo con Brg.
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 13:34Concordo con lei sulla necessità di non esagerare; ma se fatto in modo simile agli antichi romani che creavano calchi dal greco, mi par cosa utile. Ovviamente calcare "Arbeitereinheitsfront" non lo è; ma che male v'è nel creare il calco errandesìo per Wanderlust, o malgaudio per Schadenfreude? La produttività e la bellezza di una lingua son esaltate dal confronto con le altre.
Intendiamoci però sullo scopo del trovare un traducente per i forestierismi. Codeste proposte potrebbero andar bene tutt’al piú per un testo poetico (e pure in questo caso avrei dei dubbi); non sono certamente proponibili né per la lingua quotidiana né per quella dei media.

*Errandesio, in particolare, è particolarmente opaco per l’arbitrarietà della sua formazione. L’italiano non è l’inglese: la «macedonizzazione» è un modo di formazione delle parole marginale nella nostra lingua.
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Re: [FT] «Schadenfreude»

Intervento di Lorenzo Federici »

Fuori tema
brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 21:54
12xu ha scritto: dom, 19 mag 2024 20:21 Se si preferisce gioia maligna va altrettanto bene; ma non vedo cosa renda meno legittima l'altra soluzione.
Maligno qui è certamente termine più preciso ed espressivo di malo. Per supporre la coniazione di malgaudio dovremmo supporre un uso di mal(o) gaudio come traduzione naturale di Schadenfreude, tuttavia né malo, né gaudio sono le traduzioni migliori. Migliori nel senso di più espressive e corrette nel rispetto del significato originario. Per cui malgaudio appare come, ed è senza dubbi, un costrutto artificioso.
In quanto artificioso a prescindere, converrebbe formarlo nella maniera corretta: maligaudio, la «gioia del male», sulla base del già citato acquilunio, la «luna dell'acqua». Rimane comunque il problema che coniare nuove parole oggi è spesso difficile lato pratico, per cui sì, carino maligaudio, ma può uscire da questo foro o è destinato a rimanere qui?
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Re: [FT] «Schadenfreude»

Intervento di G. M. »

Fuori tema
Ricordo ai partecipanti che per Schadenfreude c'è un filone dedicato. :)
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Infarinato
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Re: [FT] «Schadenfreude»

Intervento di Infarinato »

Fuori tema
Lorenzo Federici ha scritto: lun, 20 mag 2024 10:14 [C]onverrebbe farlo bene: maligaudio, la «gioia del male»…
Ma non è ciò che vuol dire Schadenfreude! Per favore cerchiamo di restare in tema (e di ragionare prima d’intervenire). ;)
brg
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di brg »

Carnby ha scritto: dom, 19 mag 2024 22:32 Se si seguisse la storia della lingua si potrebbe parlare di zuccheratico.
Ecco. L'italiano è ricco di suffissi. Usiamoli.
Avatara utente
12xu
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Iscritto in data: mar, 20 dic 2022 21:54

Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di 12xu »

Ricapitolo brevemente la mia posizione, se non la si fosse compresa. La mia idea non è che dovremmo (noi chi peraltro?) coniare malgaudio per Schadenfreude, o errandesio per Wanderlust: è sacrosanto che ognuno si esprima secondo il proprio gusto e sapere, impegnandosi comunque a farlo con quanto più nitore. La mia idea è piuttosto che è ormai necessario consapevolizzare (lo riporto giacché siamo in tema: m'è più spontaneo scrivere *acconsciare :lol:) tutti i parlanti della potenzialità della lingua, e che pertanto ognuno si esprima come meglio reputa tenendo conto di questa capacità.

Il morbo anglico è, secondo me, in parte anche un sintomo d'una sorta di depressione che rende la nostra lingua improduttiva. Ora, è d'uopo chiedersi cosa abbia portato questa depressione. Una mia ipotesi è che la maggior parte dei parlanti subisce — anche inconsciamente — l'italiano come una sorta di latino, data la sua recente diffusione nazionale come lingua orale: ossia, come una lingua franca con un vocabolario ben definito e non ulteriormente ampliabile; e non come una lingua propria, capace di esprimere i concetti più complessi anche con parole nate istintivamente. Date le contingenze storiche, ne consegue che quando un italiano deve esprimere la qualità di ciò che è comune, piuttosto che arrischiare comunezza, dirà commonness come compromesso tra l'istinto e la necessità di non suonare ignorante. E così fa anche per misunderstanding, addictivity e simili anglismi perspicui.
Di nuovo, non reputo che ciò possa curare la nostra lingua dal morbo anglico che la sta corrompendo: ma aiuterebbe ad alleviarlo anche solo in minima parte.
brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 21:54 Il problema non è la coniazione di nuove parole, ma la coniazione di nuove parole incoerente con l'uso.
L'uso deve pur partire da qualcuno.
brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 21:54 "Maligno" qui è certamente termine più preciso ed espressivo di "malo". Per supporre la coniazione di "malgaudio" dovremmo supporre un uso di "mal(o) gaudio" come traduzione naturale di "Schadenfreude", tuttavia né "malo", né "gaudio" sono le traduzioni migliori. Migliori nel senso di più espressive e corrette nel rispetto del significato originario. Per cui "malgaudio" appare come, ed è senza dubbi, un costrutto artificioso.
Ferdinand Bardamu ha scritto: lun, 20 mag 2024 9:06 Intendiamoci però sullo scopo del trovare un traducente per i forestierismi. Codeste proposte potrebbero andar bene tutt’al piú per un testo poetico (e pure in questo caso avrei dei dubbi); non sono certamente proponibili né per la lingua quotidiana né per quella dei media.
*Errandesio, in particolare, è particolarmente opaco per l’arbitrarietà della sua formazione. L’italiano non è l’inglese: la «macedonizzazione» è un modo di formazione delle parole marginale nella nostra lingua.
I due termini da me proposti sono esempi come altri. La questione iniziale è: ha senso proporre delle alternative come barbieria a traducenti più evidenti come negozio di barbiere? Per me la risposta è sì, ché non vi è nulla di pericoloso per la lingua nel ricordare che l'italiano può produrre parole e che non ha bisogno sempre di ricorrere alle soluzioni più banali.
Uno scrittore potrebbe scrivere anche malagioia per Schadenfreude, o trovare un'alternativa al poetizzante errandesio per Wanderlust — che per quanto più naturale e perspicua, è una parola prettamente poetica come la grande maggioranza dei germanismi presunti intraducibili che non siano solo treni di parole. La mia perplessità è sul perché sia deprecabile, ché non vedo peccato nella creatività; poiché alla fine, qualunque sia l'autorità che consiglia il termine da usare, la diffusione dipende sempre dalla sensibilità dei parlanti.
brg ha scritto: dom, 19 mag 2024 21:54 Con uso.
Uso, diffusione e simili sono ottimi sinonimi; ma ancora non si capisce per quale ragione uno non dovrebbe derivare comunezza sì come si fa per tutti gli altri sostantivi deaggettivali che finiscono per -ezza. Anche perché comunezza non manca di attestazioni.
brg ha scritto: mer, 22 mag 2024 23:30 Ecco. L'italiano è ricco di suffissi. Usiamoli.
Dunque non capisco perché mai il prefissoide mal- o il suffisso -ezza siano piuttosto da disdegnare :wink:
brg
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Iscritto in data: mer, 12 gen 2022 20:53

Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di brg »

Di discussioni sulle ragioni della diffusione dei forestierismi, qui ce ne sono state molte.
Per non ripeterci e per non divagare troppo dall'argomento della presente discussione, faccio notare che un caso tipico dell'uso di una parola straniera avviene quando un parlante non riesce ad esprimere un certo concetto nella propria lingua. Tuttavia il soggetto parlante può non essere in grado di esprimere il concetto, perché effettivamente non c'è un modo consolidato di farlo, oppure perché il modo consolidato c'è ma non lo conosce il parlante. Qui, per semplicità, non affronto la questione della correttezza del termine straniero impiegato.
Parole come "commonness", "misunderstanding", "misleading" ecc. riguardano concetti che sono banalmente esprimibili in italiano. L'uso di tali parole pertanto non è scusabile, né è facilmente giustificabile il ricorso a neologismi, quando si ha già a disposizione un modo consolidato e preciso di esprimersi. Nessuno vieta l'utilizzo di parole come "comunezza", ma quel che deve essere chiaro è che la parola per esprimere quel concetto già esiste, già è usata e, pertanto, è preferibile di gran lunga ricorrere a quella parola, già di uso comune, piuttosto che a costruzioni più o meno fantasiose. Tra le altre ragioni, proprio per una questione di chiarezza di espressione e di precisione di linguaggio, che dovrebbero essere i principali obiettivi di chi parla: per le parole comuni, nel senso che già appartengono all'uso della comunità dei parlanti, il significato è già concordato, mentre per le nuove coniazioni ci potrebbero benissimo essere problemi di fraintendimento ed incomprensioni. Quello che, secondo lei, dovrebbe essere il significato ovvio di "comunezza" potrebbe non esserlo per qualcun altro e, quindi, sorgerebbe la necessità di spiegarsi ulteriormente, quando, impiegando una parola comprensibile e precisa, come "uso", tutti questi problemi non si avrebbero. Insomma, la preferenza per "uso" o "consuetudine" o "diffusione" rispetto a "comunezza" deriva dalle più basilari norme della comunicazione.
12xu ha scritto: gio, 23 mag 2024 13:34 La questione iniziale è: ha senso proporre delle alternative come barbieria a traducenti più evidenti come negozio di barbiere? Per me la risposta è sì, ché non vi è nulla di pericoloso per la lingua nel ricordare che l'italiano può produrre parole e che non ha bisogno sempre di ricorrere alle soluzioni più banali.
Intendiamoci: "negozio di barbiere" o "bottega di barbiere" non nascono per la necessità di tradurre qualcosa, ma sono espressioni presenti in italiano da molto tempo, anche se poco usate per la particolarità dell'italiano di preferire, in casi simili, il riferimento al lavoratore piuttosto che al luogo di lavoro. Si tratta inoltre di espressioni che piacciono al burocrate, che però ha ora deciso che la denominazione ufficiale di quei lavoranti è "acconciatori". Non è, quindi, che promuovendo "barbieria" si risolve il problema di coloro che scrivono "barber shop" o simili sulla propria insegna. Questo non è un problema di traduzioni.
Per il caso di "Schadenfreude" e "Wunderlast", invece, sì. Non è che il prefissoide "mal(o)" è da disdegnare: è da disdegnare il suo uso improprio. Il "gaudio", poi, non c'entra proprio niente. In italiano si può benissimo dire "gioia malvagia" senza lasciarsi andare a fregole onomaturgiche, sicuri di essere ben compresi e consapevoli di essersi bene espressi (o "benespressi"?).
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di 12xu »

brg ha scritto: gio, 23 mag 2024 23:59 Tuttavia il soggetto parlante può non essere in grado di esprimere il concetto, perché effettivamente non c'è un modo consolidato di farlo, oppure perché il modo consolidato c'è ma non lo conosce il parlante.
Aggiungo una terza circostanza: il parlante lo conosce ma allora non gli sovviene. Ed è qui che, secondo me, sta il busillis: la lingua è cosa istintiva; non solo quella parlata ma anche quella scritta, tanto più oggi che la scrittura è usata a rappresentare pensieri superificiali e immediati. E invero:
  • per intendere la qualità di ciò che è comune in inglese si parte da common, mentre in italiano si deve passare per i suoi sinonimi;
  • misunderstanding in inglese si forma come mille altre parole usando il prefisso mis-, mentre in italiano c'è fraintendimento senza che il parlante — colto o meno — sappia il perché di quel fra- messo a prefisso;
  • in inglese vi è misleading che si forma come misunderstanding, mentre in italiano vi è ingannevole ove inganno non è certo parola più perspicua di mislead: se fuorviare fosse stato un verbo più diffuso negli scritti giornalistici e nel parlato televisivo, misleading non sarebbe esistito come anglismo.
Il parlante non in malafede ricorre agli anglismi per semplice pigrizia. Non intendo scusare la pigrizia linguistica e mentale; ma che il parlante la assecondi è un fatto naturale che non si può combattere.
brg ha scritto: gio, 23 mag 2024 23:59 Intendiamoci: "negozio di barbiere" o "bottega di barbiere" non nascono per la necessità di tradurre qualcosa, ma sono espressioni presenti in italiano da molto tempo, anche se poco usate per la particolarità dell'italiano di preferire, in casi simili, il riferimento al lavoratore piuttosto che al luogo di lavoro. Si tratta inoltre di espressioni che piacciono al burocrate, che però ha ora deciso che la denominazione ufficiale di quei lavoranti è "acconciatori". Non è, quindi, che promuovendo "barbieria" si risolve il problema di coloro che scrivono "barber shop" o simili sulla propria insegna. Questo non è un problema di traduzioni.
Barber shop, certo, è usato per affettazione e non per mancanza di un traducente evidente a chiunque; e non reputo che barbieria convinca gli affettati ( :lol: ) a usare l'alternativa italiana all'anglismo. Tuttavia reputo che esempio dopo esempio si possa inculcare nella mente dei parlanti un po' di creatività — e perché no, d'anarchia — acché la lingua italiana ritorni a essere viva e ad evolvere e tramutare da sé in sé, e non fuori di sé.
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Re: Coerenza linguistica e opportunità del calco

Intervento di brg »

12xu ha scritto: lun, 27 mag 2024 12:09 Aggiungo una terza circostanza: il parlante lo conosce ma allora non gli sovviene.
Allora, in quel momento, non lo sa. È solamente un sottocaso di ignoranza. Se non lo sa, perché lo sapeva e se l'è dimenticato, perché non l'ha mai saputo oppure perché è alcolista anonimo e così soggetto a vuoti di memoria tanto repentini quanto selettivi, per me non fa differenza dal punto di vista analitico.
12xu ha scritto: lun, 27 mag 2024 12:09 [*] per intendere la qualità di ciò che è comune in inglese si parte da common, mentre in italiano si deve passare per i suoi sinonimi;
La proprietà di ciò che è comune è, correttamente, la comunanza.
12xu ha scritto: lun, 27 mag 2024 12:09 [*] misunderstanding in inglese si forma come mille altre parole usando il prefisso mis-, mentre in italiano c'è fraintendimento senza che il parlante — colto o meno — sappia il perché di quel fra- messo a prefisso;
Ci sono anche "incomprensione", che è trasparentissimo, ed "equivoco", che ha un etimo semplice quanto interessante. Se il parlante, di tre espressioni italiane banali, non gliene viene in mente manco una, non è colpa dell'italiano e non c'è bisogno di inventarsene un'altra in più.
12xu ha scritto: lun, 27 mag 2024 12:09 [*] in inglese vi è misleading che si forma come misunderstanding, mentre in italiano vi è ingannevole ove inganno non è certo parola più perspicua di mislead: se fuorviare fosse stato un verbo più diffuso negli scritti giornalistici e nel parlato televisivo, misleading non sarebbe esistito come anglismo.
Anche qui c'è abbondanza di scelte. Se uno non le fa, è perché non vuole o non è in grado. Inventare altre parole non risolverà quel problema.

Tutto ciò non è indicativo dello stato o dei problemi strutturali della lingua italiana, ma delle letture, delle visioni, delle frequentazioni, insomma, degli interessi degli italiani. Andare a cercare fantasmagoriche ricette per la neoformazione di parole, paroline, e paroloni non potrà risolvere il problema di una lingua corrente che è povera ed imprecisa. Che poi, a ben vedere, pure la lingua inglese che si diffonde non è certo quella di Milton o di Pope, ma quella dell'equivalente anglofono di qualche Fedez o chi volete voi (valgono anche ministri, giornalisti e virostar), cioè una lingua gergale e superficiale. Solo che, essendo gli italiani addirittura meno pratici di inglese, che di italiano, quest'ultimo punto si nota meno. In tutto ciò l'anti-intellettualismo, da sempre strisciante nella società americana, non aiuta a fornire modelli di lingua inglese che vadano oltre il parlare dell'imbonitore di strada, né traduzioni in italiano che possano essere qualcosa di diverso dall'imitazione del parlare dell'imbonitore di strada.
12xu ha scritto: lun, 27 mag 2024 12:09 Tuttavia reputo che esempio dopo esempio si possa inculcare nella mente dei parlanti un po' di creatività — e perché no, d'anarchia — acché la lingua italiana ritorni a essere viva e ad evolvere e tramutare da sé in sé, e non fuori di sé.
La lingua è viva. I parlanti sono creativi. Il fatto è che lo sono a livello del gergo e, in misura minore, in certe nicchie intellettuali. Il grosso della lingua borghese e della lingua delle classi colte, colte di cultura egemone, è questa: come don Abbondio usava il latinorum, questi usano l'itanglese. La differenza è che invece di chiedersi chi era Carneade, si chiedono chi fosse Tarricone o Alessia Merz.
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