«Talking drum», «kalangu»
Moderatore: Cruscanti
«Talking drum», «kalangu»
Oggi alla radio ho sentito l'inizio d'un programma dedicato al talking drum («o kalangu, come lo chiamano nella maggior parte delle regioni dell'Africa occidentale dove è diffuso»), uno strumento musicale africano. «Si tratta di un tamburo a due pelli tenute insieme appunto a clessidra da una serie di lacciuoli che vengono tenuti sotto l'ascella sinistra e percosso, questo strumento, con una bacchetta. Stringendo e allargando il braccio si può ottenere un diverso suono, tanto che ben suonato può sembrare addirittura... la parola, qualcuno che stia parlando».
A un certo punto il conduttore s'è lasciato sfuggire un «tamburo parlante» (6:56 circa), sùbito glossato da «il talking drum». Non conosco lo strumento né l'àmbito né ho fatto ricerche al riguardo (ho solo visto che nella IATE in inglese talking drum non c'è), mi limito a segnalare il forestierismo.
A un certo punto il conduttore s'è lasciato sfuggire un «tamburo parlante» (6:56 circa), sùbito glossato da «il talking drum». Non conosco lo strumento né l'àmbito né ho fatto ricerche al riguardo (ho solo visto che nella IATE in inglese talking drum non c'è), mi limito a segnalare il forestierismo.
- Millermann
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Re: «Talking drum», «kalangu»
Sulla guichipedia compare proprio sotto la voce «tamburo parlante», e il nome italiano è usato anche nel testo, con riferimento all'uso da parte di artisti italiani. 
Inoltre, gugolando, non occorre nemmeno scriverlo tra virgolette per trovare numerosi risultati, a dimostrazione che il nome italiano è abbastanza noto.

Inoltre, gugolando, non occorre nemmeno scriverlo tra virgolette per trovare numerosi risultati, a dimostrazione che il nome italiano è abbastanza noto.

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Re: «Talking drum», «kalangu»
Dovrebbe essere il cosiddetto "tam-tam".
Re: «Talking drum», «kalangu»
Il Treccani lo definisce così:
Mi sembra molto diverso dal talking drum come descritto sopra, e invece mi sembra coincidere collo slit drum.Caratteristico tamburo africano, costruito interamente in legno, con una cavità interna comunicante all’esterno attraverso una fessura, adoperato nell’Africa centr., in Indonesia, Oceania e America Merid. soprattutto come mezzo per trasmettere a distanza notizie, segnali e messaggi, secondo complessi codici linguistici e di percussione. [...]
- Millermann
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Re: «Talking drum», «kalangu»
Concordo, si tratta di oggetti usati per scopi simili, ma differenti. Se ne parla piú estesamente sulla guichipedia inglese, distinguendo tra i [vari tipi di] talking drum, caratterizzati dalla forma di clessidra, che non possono essere uditi a grande distanza, e gli slit gongs o message drums, di legno cavo e dotati di una fessura che amplifica il suono, consentendo di trasmetterlo fino a diversi chilometri di distanza. 
Da quel che ho capito, il tam-tam è semplicemente un esempio di questa tipologia di strumento (c'è un'immagine che lo raffigura, nella pagina citata), che per antonomasia è passato a indicare l'intero gruppo di quelli che, in italiano, sono detti anche (piú correttamente, penso) «tamburi a fessura».

Da quel che ho capito, il tam-tam è semplicemente un esempio di questa tipologia di strumento (c'è un'immagine che lo raffigura, nella pagina citata), che per antonomasia è passato a indicare l'intero gruppo di quelli che, in italiano, sono detti anche (piú correttamente, penso) «tamburi a fessura».

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Re: «Talking drum», «kalangu»
Perché non adattarlo direttamente in calango? Sarebbe un'unica parola, ricavata secondo un procedimento che nella nostra lingua si è sempre usato, e che potrebbe avere il pregio - anche per gli anglofili - di restituire l'oggetto alla sua cultura di appartenenza, anziché dargli un nome mediato attraverso la percezione e la lingua dei bianchi colonialisti… potrebbe diventare la carta vincente, almeno per una volta…
Re: «Talking drum», «kalangu»
Perché ciascun villaggio praticamente ha il suo, spesso del tutto simile agli altri, altre volte significativamente diverso, col suo specifico nome. Non è nemmeno come il caso, che so, delle "chiacchiere" o "frappe" o "stracci", che sono sinonimi: qui si hanno proprio nomi totalmente differenti, con significati differenti ed ogni adattamento di nome locale sarebbe totalmente arbitrario in italiano.
Per questo dar loro un nome come "tamburi parlanti", o qualcosa del genere, sarebbe più corretto. Magari "tamburi parlanti africani", visto che ne esistono di simili almeno in Asia, ma la ulteriore specificazione non è generalmente importante.
Storicamente con "tam-tam" sono stati spesso indicati tutti i tamburi tribali usati anche per comunicare. Come in questo articolo del bollettino della società geografica italiana del 1887:
D'altra parte il Trésor per la lingua francese riporta:[…] si mettono in circolo, mentre tre o quattro tam-tam o tamburi, di forma diversa a seconda dei paesi, e consistenti per lo più in un tronco scavato colle estremità chiuse da una pelle tesa […].
Sospetto che il ridurre il "tam-tam", a parte l'originale gong asiatico entrato nell'uso musicale europeo da tempo, ad una particolare categoria di tamburi sia un esempio della tendenza ipertecnicista contemporanea.B. 2. Tambour africain fait généralement de bois creux recouvert ou non d'une peau tendue et servant à rythmer chants et danses ou à transmettre un message.
Non sono d'accordo con questa impostazione. Mi pare naturale che, quando l'idea di un oggetto e più ancora di una categoria o concetto, passa in un'altra cultura, per il solo fatto di aver subito questo passaggio, venga mediata attraverso la sensibilità e la percezione di chi ha effettuato la mediazione, divenendo, di fatto, una nuova idea; simile e legata alla prima, certo, ma differenziata dal contesto storico, culturale e sociale nel quale viene traslata. Ciò può meritare o meno un nome nuovo, ma questa valutazione può essere esclusivamente fatta dall'elemento mediatore.domna charola ha scritto: lun, 11 nov 2024 23:29 Sarebbe un'unica parola […] che potrebbe avere il pregio - anche per gli anglofili - di restituire l'oggetto alla sua cultura di appartenenza, anziché dargli un nome mediato attraverso la percezione e la lingua dei bianchi colonialisti…
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Re: «Talking drum», «kalangu»
Sì, concordo su queste considerazioni. La mia era solo una valutazione rispetto alle persone che dovrebbero adottare il termine italiano sostituendolo a quello straniero. Attualmente ci troviamo a lottare contro un'indiscutibile preferenza per le parole esotiche, non tradotte, e quindi una buona scusa, abbastanza credibile per "vendere" l'equivalente italiano rendendolo appetibile, è sottolineare che "in fondo usando questo termine anziché quello inglese si rispettano le cultura altre". Concetto che, beninteso, resta una pietosa scusa per inzuccherare il boccone e farlo passare.brg ha scritto: mar, 12 nov 2024 10:49 Non sono d'accordo con questa impostazione. Mi pare naturale che, quando l'idea di un oggetto e più ancora di una categoria o concetto, passa in un'altra cultura, per il solo fatto di aver subito questo passaggio, venga mediata attraverso la sensibilità e la percezione di chi ha effettuato la mediazione, divenendo, di fatto, una nuova idea; simile e legata alla prima, certo, ma differenziata dal contesto storico, culturale e sociale nel quale viene traslata. Ciò può meritare o meno un nome nuovo, ma questa valutazione può essere esclusivamente fatta dall'elemento mediatore.
Se siamo ridotti a fare questi ragionamenti, non è colpa mia… personalmente penso che il fine giustifichi i mezzi, e per una parola in italiano in più, inventerei qualsiasi rigiro di concetti, in perfetto stile pubblicitario. Ha presente il "così bianco che più bianco non si può?". Ma chi lo ha lanciato, pensiamo che ci credesse veramente? però ha funzionato, le massaie compravano…

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