"Mastruzzo"
Moderatore: Cruscanti
"Mastruzzo"
Non so se sia questo o "Dialetti" il filone giusto. Mi scuso sin d'ora se ho sbagliato.
Un opinionista del piu' diffuso quotidiano di Genova l'altro ieri, a proposito del riconteggio delle schede elettorali del 10 aprile 2006, ha scritto:
"Estendere questo esame a tutte le regioni [...] avrebbe senso solo se nelle sette citate venisse fuori qualche mastruzzo".
"Mastruzzo" in dialetto genovese significa "broglio", "manipolazione", "imbroglio".
Non l'ho mai visto usare in un testo in italiano. Si puo' accettarlo, visto che si e' accettato "inciucio"?
Un opinionista del piu' diffuso quotidiano di Genova l'altro ieri, a proposito del riconteggio delle schede elettorali del 10 aprile 2006, ha scritto:
"Estendere questo esame a tutte le regioni [...] avrebbe senso solo se nelle sette citate venisse fuori qualche mastruzzo".
"Mastruzzo" in dialetto genovese significa "broglio", "manipolazione", "imbroglio".
Non l'ho mai visto usare in un testo in italiano. Si puo' accettarlo, visto che si e' accettato "inciucio"?
- u merlu rucà
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Re: "Mastruzzo"
In un testo italiano standard non si può accettare.CarloB ha scritto:Non l'ho mai visto usare in un testo in italiano. Si puo' accettarlo, visto che si e' accettato "inciucio"?
In un giornale locale, per rendere più colorita un'espressione, sì.
Qualora il termine si dovesse diffondere nella lingua parlata fuori della Liguria, si potrebbe ammetterne l'uso nello scritto, com'è accaduto per inciucio.
In caso contrario la parola risulterebbe incomprensibile e verrebbe meno il fine principale del linguaggio: farsi capire.

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Scriverò ad Antonio Ricci, per vedere se il Gabibbo può mettersi a usare mastruzzo/mastruzzi/mastruzzare (grazie, U merlu rucà). In fondo anche inciucio da dove e' partito, se non dalla televisione?
Certo, concordo che al momento il vocabolo risulterebbe poco comprensibile fuori dell'ambito ligure. Aggiungo però che l'opinionista che lo ha usato, benche' a Genova da molti anni, proviene da un'altra regione e ne conserva l'accento ancora riconoscibile. Non ha usato un termine assimilato con il parlare domestico, ma uno scoperto (ed evidentemente apprezzato per l'efficacia espressiva) nella città di adozione.
Certo, concordo che al momento il vocabolo risulterebbe poco comprensibile fuori dell'ambito ligure. Aggiungo però che l'opinionista che lo ha usato, benche' a Genova da molti anni, proviene da un'altra regione e ne conserva l'accento ancora riconoscibile. Non ha usato un termine assimilato con il parlare domestico, ma uno scoperto (ed evidentemente apprezzato per l'efficacia espressiva) nella città di adozione.
Re: "Mastruzzo"
Quando una parola è sentita o letta per la prima volta può non essere trasparente (anche se il contesto aiuta molto nella decifrazione): pensiamo a parole opacissime come quelle inglesi che oggi dilagano (e ora tutti sanno, ahimè, cos’è un manager, ad esempio). Non mi par quindi ragionevole rinunciare a una parola nuova (se coniata bene, italianizzata, come nel caso di mastruzzo) in nome d’una possibile ma transeunte incomprensibilità iniziale, perché equivarrebbe a sbarrare la strada all’arricchimento lessicale della lingua.bubu7 ha scritto:In caso contrario la parola risulterebbe incomprensibile e verrebbe meno il fine principale del linguaggio: farsi capire.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
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Re: "Mastruzzo"
A me sembra che il paragone con un possibile traducente di un forestierismo non regga.Marco1971 ha scritto:Quando una parola è sentita o letta per la prima volta può non essere trasparente (anche se il contesto aiuta molto nella decifrazione): pensiamo a parole opacissime come quelle inglesi che oggi dilagano (e ora tutti sanno, ahimè, cos’è un manager, ad esempio). Non mi par quindi ragionevole rinunciare a una parola nuova (se coniata bene, italianizzata, come nel caso di mastruzzo) in nome d’una possibile ma transeunte incomprensibilità iniziale, perché equivarrebbe a sbarrare la strada all’arricchimento lessicale della lingua.bubu7 ha scritto:In caso contrario la parola risulterebbe incomprensibile e verrebbe meno il fine principale del linguaggio: farsi capire.
Mastruzzo è una parola dialettale italianizzata, tutt’alpiù un regionalismo, ma non è neanche un geosinonimo, e ha uno o più traducenti in italiano.
Secondo il suo ragionamento tutti noi potremmo scrivere, ad esempio in questo forum, utilizzando le forme italianizzate, assenti nei vocabolari, dei nostri dialetti.
A mio parere, l’efficienza della comunicazione avrebbe un tracollo.
Diverso è il caso, come dicevo, di un termine dialettale che si sia in qualche modo diffuso su tutto il territorio nazionale, sia esso già accolto o meno in un dizionario.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Certo, se ogni tre parole s’infilasse un dialettalismo non ci si capirebbe. Io parlavo del dialettalismo occasionale, magari chiosato le prime volte.bubu7 ha scritto:Secondo il suo ragionamento tutti noi potremmo scrivere, ad esempio in questo forum, utilizzando le forme italianizzate, assenti nei vocabolari, dei nostri dialetti.
A mio parere, l’efficienza della comunicazione avrebbe un tracollo.
E come si diffonde se non c’è mai una prima volta? I giornalisti aspettano forse che gli anglicismi siano nei vocabolari per usarli? Hanno riguardo per i lettori non anglofoni? A me sembra che avvenga il contrario: i dizionari aspettano che gli anglicismi appaiano nella stampa per registrarli.bubu7 ha scritto:Diverso è il caso, come dicevo, di un termine dialettale che si sia in qualche modo diffuso su tutto il territorio nazionale, sia esso già accolto o meno in un dizionario.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Sì, tutte le prime volte che parlo con una nuova persona.Marco1971 ha scritto: Certo, se ogni tre parole s’infilasse un dialettalismo non ci si capirebbe. Io parlavo del dialettalismo occasionale, magari chiosato le prime volte.
Oppure, nel caso del forum, tutte le volte che una nuova persona mi legge. A meno che non si accluda in calce a ogni intervento un proprio dizionario personale.
Vedo che non abbiamo lo stesso concetto di lingua.
Il contrario di cosa?Marco1971 ha scritto:E come si diffonde se non c’è mai una prima volta? I giornalisti aspettano forse che gli anglicismi siano nei vocabolari per usarli? Hanno riguardo per i lettori non anglofoni? A me sembra che avvenga il contrario: i dizionari aspettano che gli anglicismi appaiano nella stampa per registrarli.bubu7 ha scritto:Diverso è il caso, come dicevo, di un termine dialettale che si sia in qualche modo diffuso su tutto il territorio nazionale, sia esso già accolto o meno in un dizionario.
Questa è la dimostrazione che anche parlando in italiano non ci si capisce, figuriamoci se ognuno si mettesse a usare regolarmente qualche dialettismo locale. Perché di uso regolare si tratterebbe se avessimo intenzione di diffonderlo.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Non ho parlato di uso regolare, ma occasionale. E se quell’uso viene accolto, essendo stato spiegato una volta, poi la parola diventa nota e viene compresa.bubu7 ha scritto:Il contrario di cosa?
Questa è la dimostrazione che anche parlando in italiano non ci si capisce, figuriamoci se ognuno si mettesse a usare regolarmente qualche dialettismo locale. Perché di uso regolare si tratterebbe se avessimo intenzione di diffonderlo.
Il mio pensiero era questo: un giornalista adopera una parola nuova (indigena, coniata o forestiera) senza che questa sia nel dizionario (e questo avviene spessissimo per quanto riguarda gli anglicismi), e in poco tempo si diffonde, quindi il dizionario la registra. Se il giornalista si limitasse a quello che trova nel vocabolario, allora la lingua non si accrescerebbe piú lessicalmente. In altre parole, l’audacia di chi lancia una parola nuova, piú o meno comprensibile all’inizio, dà a tale parola la possibilità di attecchire (o no). Cosí entrano nei dizionari centinaia di anglicismi ogni anno; cosí potrebbero entrare, invece, in tali ospizi lessicografici, centinaia di risemantizzazioni, di neoformazioni o anche di adattamenti.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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