Zabob ha scritto:Mi chiedo se non sia talora lecito un rafforzamento in situazioni non previste dalle regole della fonosintassi: nella fattispecie, mi sembra che raddoppiare la consonante iniziale di una parola, in certi contesti, possa servire a dare enfasi e "colore" al discorso.
No capisco bene cosa c’entri con quanto s’è detto finora, ma siamo sempre in tema, quindi proseguiamo pure…
Zabob ha scritto:Ho pensato a ciò guardando un vecchio film:
a un certo punto l'attrice (o, più probabilmente, una doppiatrice) esclama «
siete ccapre, siete ppecore!».
Sí, qui ci troviamo difronte forse piú a dei [kʰ, pʰ] che a dei veri [kː, pː], ma, certo, ortologicamente/pragmaticamente «ci stanno».
Zabob ha scritto:Altri esempi che mi vengono in mente sono «
pezzo di mm***a», «
vieni (subito) qqui», «
ti (o
te lo)
ggiuro»: non trovate che rafforzare una consonante contribuisca, secondo i casi, a rafforzare la veemenza dell'insulto, l'imperiosità dell'ordine o l'assertività del giuramento?
Qui, invece, non siamo punto d’accordo. Codesti sono raddoppiamenti tipici d’un italiano che potremmo definire genericamente centromeridionale (
Toscana esclusa), segnatamente della pronuncia «regionale» romana (il primo, che è estraneo all’italiano toscano anche lessicalmente, è una «pregeminazione» espressiva ormai lessicalizzata; il secondo una pregeminazione etimologicamente giustificata [all’interno del diasistema centromeridionale non toscano]; il terzo, invece, è un esempio di «autogeminazione» centromeridionale del [ʤ] intervocalico, che colpisce anche il [
b], laddove il toscano avrebbe un [ʒ] scempio).
Ci abbiamo ormai fatto un po’ «il callo» a questi «raddoppiamenti impropri», visto che molti attori e doppiatori sono romani, ma è bene sottolineare che essi
non fanno parte dell’italiano neutro, né tradizionale né «moderno» (
cfr. MªPI &
DiPI).