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Marco1971 ha scritto:Digitalis significa ‘delle dimensioni di un dito’, non ‘numerico’ o ‘cifrale’, come in inglese. Occorrono precisazioni
E allora? Non ha mai sentito parlare di estensione semantica? L'inglese ha preso digitalis e ne ha fatto digitale nel significato originario 'compiuto con le dita'; l'italiano ha sì fatto il calco da digital (e a lei i calchi piacciono tanto! come morbido :wink: ) ma al tempo stesso si è riallacciato alla fonte originaria. E lo conferma il Treccani:
digitale agg. [dal lat. digitalis, der. di digitus "dito"] - Del dito, delle dita; fatto, compiuto con le dita: impronte d.; percussione d.; esplorazione d. della prostata; numerazione d. e calcolo d. (v. Indigitazione)
Indigitazione s.f. [der. del latino digitus "dito"] - Sistema di numerazione strumentale, per mezzo delle dita della mano, usato soprattutto dai Romani, ma universalmente noto agli antichi popoli del bacino mediterraneo, e da essi lì trasmesso agli Arabi e ai Berberi, presso i quali ancora si riscontra: v. Digitazione, n. 4
ecc.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Bene, la lascio riflettere su codesto ragionamento, e ci risentiamo domani. Dolce notte. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Bene, la lascio riflettere su codesto ragionamento, e ci risentiamo domani. Dolce notte. :)
Io non ho bisogno di rifletterci, ci ho già riflettuto e adesso nelle prossime sei ore posso continuare il mio solito lavoro. Ma forse a lei la notte porterà consiglio.
:wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non mi dilungo, ché già assai parlòssene (;)). Il passaggio dal ‘dito’ alla ‘cifra’ s’è avuto in inglese, ma non in italiano. Ora, siamo d’accordo che è uno di quegli influssi meno perniciosi per la lingua, e quindi, al limite, è accettabile. Tuttavia, è preferibile attenersi a numerico (coi derivati numerizzare e numerizzazione – entrambi, tra l’altro, piú brevi e di piú agevole pronunzia di di-gi-ta-liz-za-re e di-gi-ta-liz-za-zio-ne). Cosí, il Dictionnaire de l’Académie française:
II. DIGITAL, -ALE adj. (pl. Digitaux, -ales). XXe siècle. Emprunté de l’anglais digital, dans digital computer, « ordinateur digital », dérivé de digit, « chiffre » (en tant qu’ils étaient primitivement comptés sur les doigts).
INFORM. TECHN. Qui utilise des nombres, numérique. Le terme Numérique doit être préféré.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Quello che mi risulta incomprensibile fra l'altro (ma non tanto) è perché lei vada a cercare nei dizionari spagnoli o francesi le conferme delle sue opinioni quando autorevoli dizionari della lingua italiana (siamo italiani, giusto?) non le si confanno. Ad esempio il Treccani a un certo punto nelle varie definizioni di digitale scrive "...sin. quindi di numerico". Mi pare che basti, insomma sono sinonimi, ossia hanno un significato sostanzialmente uguale anche se stratificato, ossia si usi l'uno o l'altro secondo i propri gusti e secondo il registro e il contesto, ma dire tout court "è da preferire numerico" senza specificare ulteriormente, è sbagliato; metta da parte quel dizionario francese almeno in questo caso o mandi una nota a compilatori segnalando che devono ampliare la definizione e cercare di essere un po' più flessibili.

Come nota a parte, non vedo alcun problema nella pronuncia di digitalizzare rispetto a numerizzare e sono certo che nessuno ce l'ha, cerchiamo di non arrampicarci sugli specchi, tanto non serve a niente.
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Quello che mi risulta incomprensibile fra l'altro (ma non tanto) è perché lei vada a cercare nei dizionari spagnoli o francesi le conferme delle sue opinioni quando autorevoli dizionari della lingua italiana (siamo italiani, giusto?) non le si confanno.
Incomprensibile? Ma se in Italia non esistono [piú] dizionari normativi, mi sembra giusto guardare a quegli esempi, che hanno autentiche istituzioni preposte alla tutela della lingua.
Freelancer ha scritto:...o mandi una nota a compilatori segnalando che devono ampliare la definizione e cercare di essere un po' più flessibili.
Ma scusi, cosa c’è da ampliare nella definizione? I termini sono sinonimi, punto. Poi si consiglia (come in Italia non si fa) di usare il termine piú in sintonia col lessico indigeno. Non ci vedo nessuna mancanza di flessibilità.
Freelancer ha scritto:Come nota a parte, non vedo alcun problema nella pronuncia di digitalizzare rispetto a numerizzare e sono certo che nessuno ce l'ha, cerchiamo di non arrampicarci sugli specchi, tanto non serve a niente.
Non c’è, oggettivamente, nessun problema nel pronunziare digitalizzazione, che contiene solo suoni italianissimi; ma – e questo è soggettivo – numerizzare risulta piú armonico al mio orecchio (e a quello di Marcri, che è qui accanto a me :)).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Marco1971 »

Vorrei aggiungere una postilla, che – sebben forse lontanamente –, si riallaccia al discorso di Francesco Sabatini sulla necessità d’una politica linguistica europea. Siccome in Italia la maggior parte dei parlanti pensa che non abbia alcuna importanza esprimersi in maniera approssimativa – se si ottiene dalla vita ciò che si vuole –, e poiché non esiste un’istituzione normalizzante, è piú che lecito interessarsi a quello che in altri paesi tali istituzioni, che esistono, fanno. Naturalmente, neanche in Francia e in Spagna le raccomandazioni sono unanimemente seguite, ma almeno ci sono, per chi voglia adeguarvisi. E i cultori della lingua vi si adeguano.

L’atteggiamento piú liberale delle opere di consultazione italiane (ma «liberale» solo da alcuni decenni, ché ancora il Devoto-Oli bivolume sul finire degli anni Ottanta segnalava come errata la costruzione ‘appropriarsi di’) impedisce agli utenti – quei pochi che sanno adoperare un vocabolario, s’intende – di riflettere e scegliere. Va bene (quasi) tutto, insomma, basta che circoli all’intorno.

Non è questo un modo d’operare fecondo, perché non stimola lo sviluppo personale e affida tutto all’evoluzione inconsapevole su magre basi (ricordiamo il livello di molti studenti iscritti a Lettere, per i quali è parso opportuno a qualche università istituire corsi d’italiano!). Il livellamento dal basso, che volutamente o no l’odierna lessicografia promuove, segna uno scadimento che si vuole spacciare per «studio scientifico». Ma, privo di guida e di possibilità di scelta, il parlante è lasciato in balía delle onde travolgenti dell’incultura.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Federico »

Federico ha scritto:non sarebbe stato meglio comorbosità, o al massimo comorbità?
O anche comorbilità, che differisce di una sola lettera da comorbidità.
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