"Femminicidio"

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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

E il caro (si fa per dire), vecchio uxoricidio, lo mettiamo nella naftalina?
Copio dal Treccani:
uxoricìdio (non com. ussoricìdio) s. m. [comp. del lat. uxor -oris «moglie» e -cidio]. – In senso propr., il delitto di chi uccide la propria moglie; per estens., in senso ampio, uccisione del coniuge.
Si sarebbe potuto conservarlo e caso mai estendere il significato anche a fidanzate, "compagne" e così via. Forse la grande colpa di uxoricidio è che per il "grande pubblico" - quello per cui si confezionano i programmi di "approfondimento" con tanto di modellini e interviste al panettiere della vittima - risulta poco trasparente.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Femminicidio sembra avere una connotazione propagandistica, se cosí vogliamo dire. Il suo significato proprio è limitato a vicende storiche particolari – come quelle ricordate da domna charola – e alle loro (si spera) improbabili riproposizioni moderne.

Eppure, oltre ad avere una sua forza espressiva volutamente esagerata, la parola non manca di centrare almeno parte della verità. Non voglio prender le parti di nessuno riguardo a quest’uso; tuttavia, non si può non notare, con la Maraini, che «[l]e statistiche ci dicono che […] ogni due giorni muore una donna per mano di un uomo, che spesso è anche suo marito o suo compagno di vita».

Che questi delitti siano originati da un consapevole e deliberato odio di genere, non credo ci sia qualcuno sano di mente che possa pensarlo. Però si può pensare che questa violenza nei confronti delle donne affondi le radici in una certa mentalità persistente, che ripropone un rapporto di forza tra i sessi ancora legato a un supposto predominio dell’uomo.

In questo senso, la carica espressiva di femminicidio serve a coinvolgere l’opinione pubblica e a additare quel che è percepito come un problema di rapporti tra uomo e donna, non come una semplice questione di passionalità amorosa.

Dunque, a dispetto d’improprietà ed esagerazioni, la parola è comunicativamente efficace, come dimostra il fatto che siamo qui a discutere non della sua grammaticalità, ma dell’opportunità di adoperarla.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Concordo.
E' risaputo, ad esempio, che molti comportamenti sociali sono percepiti diversamente e hanno una sanzione diversa a seconda che siano compiuti da un maschio o da una femmina.
Di conseguenza, lo stesso crimine può avere valenza diversa in base al sesso.
Così, un maschio che uccide una femmina per gelosia, molto spesso agisce - ed è talvolta in parte giustificato dall'opinione pubblica - in base al principio di possesso, ovvero all'idea subconscia che una donna "non deve" dare adito a sospetti del genere. Viceversa, molti considerano leciti i medesimi comportamenti da parte di un maschio. In questo caso, si arriva all'uccisione della femmina proprio in quanto, come femmina, non doveva fare ciò di cui viene imputata dall'assassino.
Analogamente i casi di violenza, che sono scatenati dal principio che una donna possa essere presa.
Insomma, senza rendercene conto, sono molte le situazioni di effettiva discriminazione nella valutazione, che sfociano poi nell'omicidio. Che, quando è compiuto in base alla inconscia scelta di genere, resta secondo me un "femminicidio".

Detto in parole povere: se uccido la moglie per gelosia, parto già dal principio che una donna in quanto tale non possa "guardarsi attorno". Molto spesso invece la donna che uccide il marito per gelosia è percepita dalla stampa come una pazza isterica ed esagerata.
Quindi, la percezione dei due omicidi risulta effettivamente diversa e diversamente è giudicata.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Se n’è occupata anche l’Accademia della Crusca.
marmaluott
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Intervento di marmaluott »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Femminicidio sembra avere una connotazione propagandistica, se cosí vogliamo dire. Il suo significato proprio è limitato a vicende storiche particolari – come quelle ricordate da domna charola – e alle loro (si spera) improbabili riproposizioni moderne.

Eppure, oltre ad avere una sua forza espressiva volutamente esagerata, la parola non manca di centrare almeno parte della verità. Non voglio prender le parti di nessuno riguardo a quest’uso; tuttavia, non si può non notare, con la Maraini, che «[l]e statistiche ci dicono che […] ogni due giorni muore una donna per mano di un uomo, che spesso è anche suo marito o suo compagno di vita».

Che questi delitti siano originati da un consapevole e deliberato odio di genere, non credo ci sia qualcuno sano di mente che possa pensarlo. Però si può pensare che questa violenza nei confronti delle donne affondi le radici in una certa mentalità persistente, che ripropone un rapporto di forza tra i sessi ancora legato a un supposto predominio dell’uomo.

In questo senso, la carica espressiva di femminicidio serve a coinvolgere l’opinione pubblica e a additare quel che è percepito come un problema di rapporti tra uomo e donna, non come una semplice questione di passionalità amorosa.

Dunque, a dispetto d’improprietà ed esagerazioni, la parola è comunicativamente efficace, come dimostra il fatto che siamo qui a discutere non della sua grammaticalità, ma dell’opportunità di adoperarla.
Ha ragione, ma vede, proprio la connotazione propagandistica dovrebbe sconsigliare l’uso del termine. Il tema è molto delicato, senza dubbio. A mio avviso, l’introduzione di «femminicidio» non è un fenomeno semplicemente linguistico, ma neolinguistico in senso orvelliano (il rimando a Wikipedia è solo per completezza).

È arduo contestare quanto lei scrive: «il suo significato proprio è limitato a vicende storiche particolari […] e alle loro […] improbabili riproposizioni moderne». E ancora: «che questi delitti siano originati da un consapevole e deliberato odio di genere, non credo ci sia qualcuno sano di mente che possa pensarlo».

Per contro, «si può» certamente «pensare che questa violenza nei confronti delle donne affondi le radici in una certa mentalità persistente, che ripropone un rapporto di forza tra i sessi ancora legato a un supposto predominio dell’uomo». In questo caso siamo però già di fronte a una scelta ideologica della cui giustificazione è lecito dubitare.

L’osservazione della Maraini ‒ «[l]e statistiche ci dicono che […] ogni due giorni muore una donna per mano di un uomo, che spesso è anche suo marito o suo compagno di vita» ‒, ad esempio, è forse degna di nota ma del tutto decontestualizzata e vaga. Fonti piú scrupolose, e non sospette, leggono i dati statistici in modo assai diverso.

Sapendola molto sensibile all’uso corretto di questo forum le assicuro che la mia non è una battaglia politica, ma eminentemente linguistica. La discutibilità dei concetti si riflette pesantemente sulle parole, che sono poi l’unico mezzo pratico per dar loro vita: non nascondiamoci dietro all’intramontabile dito.

In omaggio al discutibile concetto di «femminicidio», calato in un apposito lemma, abbiamo assistito all’introduzione di norme penali probabilmente, almeno in parte, indegne di un paese civile (veda al riguardo il citato articolo di Mazzola).

In questo modo la lingua viene messa al servizio di un progetto politico, piú o meno chiaro. Tutto ciò equivale a snaturamento della (funzione della) lingua, non a caso propedeutico a quello del diritto.

È un orrore che trascende l’orrore già indicibile del suono della parola, almeno per orecchie avvezze a una miglior considerazione della donna (senza dimenticare l’offesa indiretta all’uomo).
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sono d’accordo con Lei. La delicatezza del tema richiederebbe senz’altro parole meno controverse; la parola femminicidio, con la sua smaccata parzialità, può avere cittadinanza solo in uno scontro senza quartiere tra fazioni opposte. Cosí si apre la strada a soluzioni «gordiane»: tutto il contrario di un dibattito equilibrato e razionale.

Ciò detto, la violenza di genere esiste. Ma, per porvi rimedio, alla propaganda sarebbe meglio opporre il buon senso, che si ritrova nelle parole dell’articolista da Lei citato: «La violenza di genere merita grande attenzione ma soprattutto rigore ed equilibrio. Non con la pancia ma con la mente. […] Soprattutto si deve intervenire culturalmente sull’educazione tanto dell’uomo quanto della donna, inculcando la cultura del non possesso, dell’accettazione del rifiuto, del dominio delle proprie pulsioni, della vera parità tra i sessi, sopprimendo qualsiasi intento prevaricatore.»
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Dico en passant anche la mia. Trovo il termine femminicidio abbastanza ridicolo, per il semplice fatto che un neologismo ha motivo d’esistere soltanto quando designa un concetto nuovo, aggiuntivo; in breve, quando c’è effettivamente «bisogno» di quel neologismo. Ora: se il concetto designato è quello d’«uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica della donna», non si capisce secondo quale logica un tale omicidio vada distinto dagli altri. Un omicidio è un omicidio. Se il termine non piace perché suona «maschilista», si potrà proporre qualcosa come *umanicidio, ma non femminicidio. Se si conia quest’ultimo, significa che si considera l’uccisione d’una donna sostanzialmente diversa dalle altre uccisioni. In attesa d’una teoria etica che lo dimostri, faccio solo notare che allo stesso modo si dovrebbero coniare anche *ebreicidio, *gaycidio, *nericidio, *maschioparticolarmentegracileeindifesicidio… A meno che le donne non si percepiscano come la categoria discriminata per eccellenza, il che andrebbe parimenti dimostrato. Se invece il concetto designato è quello d’«annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale», mi chiedo come si possa coniar un termine per definir un concetto cosí confuso, fumoso e, sotto sotto, sgradevole: parlare d’annientamento morale della donna e del suo ruolo sottintende, a rigore, che la donna debba avere una prospettiva morale e un ruolo sociale. (Come si fa ad «annientare» qualcosa che non esiste univocamente?) Sinceramente, non capisco come delle femministe possano propugnar una visione cosí, be’, maschilista (fino a volerla concretizzare nella lingua) — o, meglio, lo capisco, ma forse dovrebbero farsi qualche domanda. :D
domna charola
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Intervento di domna charola »

Secondo me il problema non è nella parola in sé, ma nell'uso che se ne fa (come al solito, del resto).

In questi mesi se ne è abusato, senza collegare il cervello prima di parlare (come al solito, del resto, nei mezzi di comunicazione).

In tal modo, qualsiasi parola diventa "politica" e "ideologica", ovvero un mezzo per inculcare un'idea di parte.

Non tutti gli omicidi di donne sono femminicidi. Diventa ideologico utilizzare il secondo termine come equivalente del primo.

Ma, se voglio sottolineare che un omicidio è avvenuto proprio in base a una visione distorta della vittima da parte dell'assassino, il quale in base a tale visione si sente spinto ad agire, allora può avere senso usarlo.

Teoricamente, vale per tutte le categorie. Nella Germania prima della Guerra, spesso l'uccisione di un ebreo non era un semplice "omicidio", ma una deliberata scelta di sopprimere proprio un ebreo; siccome lì tale crimine era divenuto legale e consigliato, si è arrivati al termine "genocidio". Concettualmente però la distinzione fra le due forme di crimine ha senso: non avrei problemi ad accettare "ebreicidio" nel caso di un ebreo soppresso in quanto appartenente a tale gruppo umano.

Può essere utile, in determinati contesti, specificare che la vitima era una femmina discriminata in quanto femmina, e quindi uccisa solo in base a queste motivazioni. Il punto, come detto all'inizio, è nel non abusare del termine, come soluzione di comodo per attirare l'attenzione.

Non c'è secondo me discriminazione nell'uso del termine, la discriminazione è a monte, nell'atto in sé, e come tale viene denunciata; personalmente non trovo nulla di discriminante nell'evidenziare la discriminazione praticata - consciamente o inconsciamente - da altri. Se in certi casi si parlasse di semplice "omicidio", personalmente lo sentirei come una pietosa coperta per coprire un'azione discriminatoria, equiparandola a qualsiasi soppressione di essere umano.
"Infanticidio", ad esempio, è usato correntemente, e porta con sé delle implicazioni in più, rispetto a "omicidio". Analogamente, può essere per "femminicidio" nei casi in cui l'assassinio è avvenuto proprio perché la vittima era una femmina.
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