«Cervinia», «Le Breuil»

Spazio di discussione semiseria sui traducenti di toponimi e antroponimi

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Lorenzo Federici
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Re: «Cervinia», «Le Breuil»

Intervento di Lorenzo Federici »

Faccio notare che già ora, spostandosi un po' più verso oriente e uscendo dall'Italia, si raggiunge Fiume, non Rijeka.

Immagine

E, in generale, mi sembra di aver capito che la segnaletica bi o trilingue in questa stessa città sia in lavorazione da un po'. Forse non è l'esempio migliore che potessi fare, ma sicuramente è un caso da considerare essendo particolarmente recente.

Partendo dal fatto che personalmente, almeno sui cartelli, farei mettere ovunque Bergamo/Bèrghem, Venezia/Venesia, Milano/Milan, Napoli/Napule, Frosinone/Frusenone e così via, iniziare con le lingue riconosciute già adesso sarebbe già un grande passo avanti.

In effetti, abbiamo già:
  • «Sto andando a Fiume» in italiano;
  • «Idem u Rijeku» in croato.
Così come abbiamo:
  • «Sto andando a Frosinone» in italiano;
  • «Stong'a ì a Frusenone» in ciociaro.
Ma questo è l'abbiccì del bilinguismo, così come possiamo dire «Vado a Londra» e «I'm going to London». L'unica differenza è che avremmo nomi in entrambe le lingue ufficiali del posto che sarebbero coniati o recuperati, se mancanti, da una qualche accademia (la Crusca?) che avrebbe effettivamente potere normativo.

Sinceramente, non sarei contrario a dire «I'm going to Frusinon» (/fɹʌ̍zɪnən/) e «Je vais a Frousenon» (/fʁuzənɔ̃/) e così via, ma è ovvio che non tutti i singoli paeselli potrebbero avere una denominazione in più lingue se non c'è una comunità di parlanti che usa attivamente quel termine: già Leghorn s'è perso per Livorno. Sarebbe però a discrezione dei parlanti e dunque dell'accademia che se n'occupa — sempre in un mondo ideale — un'eventuale traduzione del nome.

Può succedere anche che l'esonimo italiano sparisca e prenda il suo posto quello locale, l'importante è che sia fonotatticamente e possibilmente anche nell'origine nostro. Certo che è comunque meglio mantenere il nome nostrano (es. Cervinia), ma se proprio se ne dovesse sentire il bisogno è meglio così (es. *Il Broglio) che mantenerlo invariato (es. Le Breuil).
Avatara utente
G. M.
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Re: «Cervinia», «Le Breuil»

Intervento di G. M. »

domna charola ha scritto: ven, 01 dic 2023 19:25 [...] senza bisogno di introdurre colori diversi, che non sarebbero probabilmente a norma europea, e che comunque non sono mai stati scelti per le segnaletiche in quanto poco visibili.
Era solo un'idea! :mrgreen: Ovviamente non è centrale per la questione. Per la comprensione e individuazione delle informazioni, mi sembrava più immediato l'uso dei due colori rispetto a un "muro di testo" monocromatico.
domna charola ha scritto: ven, 01 dic 2023 19:25 Personalmente recupererei i nomi italiani per le zone al confine francese. Il fatto che Salice d'Ulzio si debba chiamare Sauze d'Oulx, per giunta impronunciabile, mi dà fastidio oltre ad essere antistorico. Quei territori sono stati "occitani", poi sabaudi, poi piemontesi, poi italiani... ogni volta il nome è stato reso nella lingua corrente. E' la storia, che piaccia o no. Restano italiani tutt'oggi, il Ventennio ormai è lontano e se proprio si temono rigurgiti, guarderei altrove; non sono certo i nomi quelli che mi turbano. O meglio, c'è nome e nome: chiaro che Littoria o un'eventuale Benitia (su modello delle Alessandria sparse per l'orbe terracqueo) non sono accettabili, perché fanno riferimento diretto a elementi di quel regime, ma la semplice italianizzazione di un nome preesistente non ha lo stesso peso, né lo stesso portato emozionale e politico.
Ahimé, Domna Charola, temo che lei sia troppo ottimista... In un paese linguisticamente sano, o anche solo "normale", cioè senza tutte le paranoie e involuzioni che ci sono da noi, la cosa sarebbe così e non ci sarebbe nemmeno bisogno di discuterne, sarebbe fatta (...sarebbe già stata fatta) spontaneamente. Da noi invece è proprio l'italianizzazione in sé che è tacciata di fascismo "a prescindere", in qualunque àmbito, in qualsiasi modalità e con qualsiasi intenzione avvenga. Temo che Salice d'Ulzio, Ponte San Martino, Brussone e altri nomi "innocentissimi" non farebbero eccezione; ma potrebbero farlo se si concedesse qualcosa in cambio, anche solo simbolicamente, alla lingua coufficiale.
domna charola ha scritto: ven, 01 dic 2023 19:25 In fondo, è quello che vorremmo si facesse con tutti i toponimi indiscriminatamente, no?
:wink::D
Lorenzo Federici ha scritto: ven, 01 dic 2023 20:46 [...] Ma questo è l'abbiccì del bilinguismo, così come possiamo dire «Vado a Londra» e «I'm going to London». L'unica differenza è che avremmo nomi in entrambe le lingue ufficiali del posto che sarebbero coniati o recuperati, se mancanti, da una qualche accademia (la Crusca?) che avrebbe effettivamente potere normativo.

Sinceramente, non sarei contrario a dire «I'm going to Frusinon» (/fɹʌ̍zɪnən/) e «Je vais a Frousenon» (/fʁuzənɔ̃/) e così via, ma è ovvio che non tutti i singoli paeselli potrebbero avere una denominazione in più lingue se non c'è una comunità di parlanti che usa attivamente quel termine: già Leghorn s'è perso per Livorno. Sarebbe però a discrezione dei parlanti e dunque dell'accademia che se n'occupa — sempre in un mondo ideale — un'eventuale traduzione del nome.
Concordo; sono più in dubbio sul resto (il plurinomismo sui cartelli indiscriminato mi fa venire le preoccupazioni di Domna Charola).
Fra l'altro oggi, con la globalizzazione, i mezzi di trasporto velocissimi ed economici, e l'Interrete colle sue risorse multilingui e la possibilità di far arrivare a tutti ovunque le informazioni in un istante, mettere in uso e conservare in forma stabile nomi anche minori è immensamente più facile —dal punto di vista tecnico— di quanto sia mai stato prima nella storia umana.
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