G.B. ha scritto: ven, 26 gen 2024 18:08
Non so se sia cosí secondaria (ma ripeto, mi manca il quadro completo)[.]
Non voglio addentrarmi troppo in questioni che potrebbero portarci ben lontani dal semplice dato linguistico, ma il fatto è che Tolkien era un fanatico di filologia e quindi è abbastanza naturale che si lasciasse trasportare da questa sua profonda passione anche mentre esprimeva altro. È un po' come se ella interrogasse sulla poetica manzoniana un fanatico di Occhi di Gatto: quello troverebbe il verso di mettere le tre ladre pure in mezzo all'utile, al vero ed all'interessante. Non so se mi spiego.
Tolkien, presosi una qualche forma di bartonellosi tra le trincee della Prima Guerra Mondiale, dovette (leggasi: "ebbe la fortuna di") abbandonare i campi di battaglia e si ritrovò allettato e poi convalescente per mesi. In questo periodo di riposo forzato si mise a compilare le prime leggende del suo mondo immaginario, le mappe di tale mondo, la lingua elfica e l'alfabeto di quest'ultima. Tuttavia quando Tolkien iniziò a lavorare al Signore degli Anelli, dopo vent'anni che scriveva e riscriveva la sua mitologia di elfi, nani, uomini, draghi e via enumerando, aveva ben definito solamente le lingue degli elfi ed aveva iniziato a lavorare da poco, in concomitanza con la stesura dello Hobbit, a quelle nanesche. Buttò giù le altre lingue, inclusa la lingua in cui sarebbe stato scritto il fantomatico testo originale del Signore degli Anelli, solo dopo aver iniziato a lavorare al romanzo. Che questo lavoro filologico lo abbia motivato a completare l'opera, che lo abbia aiutato a definire meglio il suo mondo è tutto vero, ma l'architettura linguistica, inclusa l'idea della trasposizione, si è formata in corso di stesura e ci sono state anche ben altre ragioni discernibili per cui ha incluso quelle specifiche lingue, norreno e inglese antico, nel testo.
C'è infatti un altro punto che accomuna il Signore degli Anelli ad Occhi di Gatto (oh, ma allora è una fissazione!), ovvero che si tratta in un certo senso di due opere prime, perlomeno le rispettive prime opere di ampio respiro. In vita Tolkien ha visto pubblicati, della sua opera letteraria, solamente alcuni racconti, Lo Hobbit, che aveva scritto per intrattenere i suoi figli e che venne pubblicato un po' per caso, ed Il Signore degli Anelli. Di fatto, la richiesta di scrivere un seguito per lo Hobbit fu per Tolkien l'occasione della vita di poter esprimere tutte le idee, tutte le suggestioni, di poter affrontare tutti i temi, che gli giravano per la testa da trent'anni o giù di lì. Lo Hobbit e gli hobbit non erano stati inventati come elementi del suo universo mitologico, ma appena ebbe la possibilità di pubblicare quello che voleva, a patto che fosse un seguito del suo primo libro, non si fece problemi a ficcarceli a forza. Non è raro che, in un'opera prima, l'autore cerchi di racchiudere tutti i significati che sente di voler esprimere. Quindi la scelta di come tradurre il Signore degli Anelli, in cui le scelte linguistiche sono legate ed intrecciate ai temi del libro, è un po' la scelta di quali significati voler estrapolare dal testo: decidere se adattare o no, che cosa adattare e che cosa no, il come adattare sono tutte scelte che influiscono sulla resa dei vari significati dell'opera.