«Isengard» e «Isenmonde»

Spazio di discussione semiseria sui traducenti di toponimi e antroponimi

Moderatore: Cruscanti

Luke Atreides
Interventi: 424
Iscritto in data: gio, 16 dic 2021 23:26

«Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di Luke Atreides »

Che cosa proporreste per tradurre in italiano Isengard e Isenmonde?

Isengard:
TOLKIENPEDIA - Una Wiki per Domarle Tutte ha scritto:Isengard, conosciuta anche come Angrenost, fu una delle fortezze costruite da Gondor per proteggere i confini occidentali e, cosa molto importante, custodiva nella torre di Orthanc uno dei sette Palantir del portati da Elendil nella Terra di Mezzo.
Isenmouthe:
TOLKIENPEDIA - Una Wiki per Domarle Tutte ha scritto:Isenmouthe o Carach Angren era un valico nel nord-ovest di Mordor. Il passo si trovana all'incontro tra gli speroni che si estendevano dalle catene dell'Ephel Dúath e degli Ered Lithui, lasciando solo uno stretto passaggio tra l'altopiano di Gorgoroth e la valle più piccola di Udûn a nord.
Secondo la Guide to the Names in The Lord of the Rings:
J. R. R. Tolkien, «Guide to the Names in The Lord of the Rings» ha scritto:Isengard and Isenmouthe. These names were intended to represent translations into the Common Speech of the Elvish names Angrenost and Carach Angren, but ones made at so early a date that at the period of the tale they had become archaic in form and their original meanings were obscured. They can therefore be left unchanged, though translation (of one or both elements in either name) would be suitable, and I think desirable when the language of translation is Germanic, possessing related elements. Isen is an old variant form in English of iron; gard a Germanic word meaning 'enclosure', especially one round a dwelling or group of buildings; and mouthe a derivative of mouth, representing Old English mūða from mūð 'mouth') 'opening', especially used of the mouths of rivers, but also applied to other openings (not parts of a body). Isengard 'the Iron-court' was so called because of the great hardness of the stone in that place and especially in the central tower. The Isenmouthe was so called because of the great fence of pointed iron posts that closed the gap leading into Udûn, like teeth in jaws (see III 197, 209). In the Dutch and Swedish versions Isengard is left unchanged. For Isenmouthe the Dutch uses Isenmonde, translating or assimilating to Dutch only the second element (a more complete translation to Ijzermonde would seem to me better). The Swedish renders it Isensgap, which is incorrect, since Isen is not a proper name but adjectival. The gard element appears in Old Norse garðr, whence current or dialectal Swedish gård, Danish gaard, and English garth (beside the original English form yard); this, though usually of more lowly associations (as English farmyard), appears for instance in Old Norse As-garðr, now widely known as Asgard in mythology. The word was early lost in German, except in Old High German mittin- or mittil-gart (the inhabited lands of Men) = Old Norse mið-garðr, and Old English middan-geard: see Middle-earth. Would not this old element in German form -gart be suitable for a translation or assimilation to German such as Eisengart? Of -mouthe the German equivalent appears to be Mün-dung (or in place-names -munde); in Scandinavian, Danish munding, Swedish mynning. Note. Whatever form is used in Isengard must also be used in the name of the River Isen, since the river-name was derived from Isengard, in which it had its source.
Ultima modifica di Luke Atreides in data gio, 01 feb 2024 19:27, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
Lorenzo Federici
Interventi: 884
Iscritto in data: sab, 27 ago 2022 16:50
Località: Frosinone

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di Lorenzo Federici »

Isengarda (come Midegarda) e Isemmonda possono andare? In un contesto italiano sarebbero più o meno giustificabili come adattamenti dal longobardo, quindi ci sarebbe l'idea di «adattamento talmente arcaico da non risultare comprensibile» e in un contesto italiano avrebbe anche più o meno senso.
Avatara utente
Carnby
Interventi: 5361
Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di Carnby »

Lorenzo Federici ha scritto: mar, 23 gen 2024 23:11 Isengarda (come Midegarda) e Isemmonda possono andare?
Sì, ma trattandosi di voce «culta» si potrebbe tollerare anche Isenmonda, probabilmente più accettabile. Non è molto peggio di voci di origine greca come mnemonico o di toponimi come Cimnago.
Avatara utente
G. M.
Interventi: 2436
Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di G. M. »

Secondo me si può tentare un calco più italiano, andando a tirar fuori qualche termine antico e/o regionale per 'ferro'. In alternativa, se non si trova nulla d'adatto, si può usare qualche forma anticheggiante di acciaio: Isengard > Cintacciaro? Troppo trasparente?

PS. TLIO: acaio, açaro, acciaio, acciajo, acciar, acciaro, acé, aciaio, aciero, aczarus, azaru, azzaio, 'ciaro.

Cintazzaio, Cintazzaro... il fiume Azzaio...
Luke Atreides
Interventi: 424
Iscritto in data: gio, 16 dic 2021 23:26

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di Luke Atreides »

G. M. ha scritto: mer, 24 gen 2024 0:34 Cintazzaio, Cintazzaro... il fiume Azzaio...
Secondo me è meglio la proposta di Lorenzo: Isengarda (come Midegarda) e Isenmonda.
brg
Interventi: 514
Iscritto in data: mer, 12 gen 2022 20:53

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di brg »

Qui si giunge al problema che indicavo nella discussione su "Baggins": che la costruzione linguistica, che tiene insieme e connette l'universo fantastico tolkienano (o tolchinano) all'ambiente familiare al lettore, traballa e crolla se si pretende di adattarla parzialmente o se si pretende di estraniarla dal mondo a cui si appoggia, di carattere bucolico inglese. Nella finzione il mondo linguistico della Terra di Mezzo viene trasfigurato tramite un esercizio di filologia germanica; nella realtà, però, è avvenuto l'esatto contrario: l'artificio linguistico serve a giustificare l'esistenza della Contea, proiezione fiabesca della campagna inglese, in una versione romanzata ed eclettica dell'epica germanica ambientata nella Terra di Mezzo, un mondo alieno. O si accetta che quel mondo è descritto da un sistema linguistico germanico o si deve giuocoforza pensare a come trasporre tutto il materiale in una ambientazione differente, che giustifichi una differente architettura linguistica.
Lorenzo Federici ha scritto: mar, 23 gen 2024 23:11 Isengarda (come Midegarda) e Isemmonda possono andare? In un contesto italiano sarebbero più o meno giustificabili come adattamenti dal longobardo [...]
In longobardo "ferro" doveva dirsi "isarn", o qualcosa del genere, e non "isen", altrimenti in italiano non avremmo avuto "arnese".
Avatara utente
Lorenzo Federici
Interventi: 884
Iscritto in data: sab, 27 ago 2022 16:50
Località: Frosinone

Re: [FT] «Arnese»

Intervento di Lorenzo Federici »

Fuori tema
Arnese non deriva da *īsarną secondo il Vichizionario, mentre secondo il Pianigiani sì. Non so quale delle due origini sia più attendibile, aspetto altri commenti più esperti.
domna charola
Interventi: 1646
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di domna charola »

brg ha scritto: mer, 24 gen 2024 15:02 Qui si giunge al problema che indicavo nella discussione su "Baggins": che la costruzione linguistica, che tiene insieme e connette l'universo fantastico tolkienano (o tolchinano) all'ambiente familiare al lettore, traballa e crolla se si pretende di adattarla parzialmente o se si pretende di estraniarla dal mondo a cui si appoggia, di carattere bucolico inglese. Nella finzione il mondo linguistico della Terra di Mezzo viene trasfigurato tramite un esercizio di filologia germanica; nella realtà, però, è avvenuto l'esatto contrario: l'artificio linguistico serve a giustificare l'esistenza della Contea, proiezione fiabesca della campagna inglese, in una versione romanzata ed eclettica dell'epica germanica ambientata nella Terra di Mezzo, un mondo alieno. O si accetta che quel mondo è descritto da un sistema linguistico germanico o si deve giuocoforza pensare a come trasporre tutto il materiale in una ambientazione differente, che giustifichi una differente architettura linguistica.
Nì... cioè, un po' sono d'accordo e un po' no.
Da un lato, trasporre tutto in salsa ciociara, o padana o quale altra italica campagna si voglia scegliere, non ha senso, nel senso che si verrebbe a creare un'altra saga, che non sarebbe più - per spirito, ambientazione, immaginario etc.- quella di Tolkien.
Dall'altro, molti nomi hanno effettivamente un significato legato direttamente alla natura del personaggio e del luogo, quindi il tradurlo, pur mantenendo una certa fascinazione esotica, serve a rendere pienamente senso e carattere di luoghi e personaggi.
Ad esempio, il poco sotto discusso Dunland: una traduzione del tipo Terrafosca fa già immaginare a cosa si andrà incontro, così come probabilmente agli anglosassoni suggerisce un'idea del medesimo tipo; Dunland invece resta per noi un semplice insieme di suoni, che potrebbe rappresentare anche un luogo ameno e solatio, oppure addirittura - per un certo istinto a cercare radici note in nomi sconosciuti, allo scopo di decifrarli - un luogo sabbioso e pieno di dune.
Chiaro che è operazione da farsi con il cesello, non per niente ci sono traduttori specializzati che hanno affrontato l'opera letteraria di Tolkien, facendo di volta in volta scelte diverse, dalle quali magari vale la pena di partire, eventualmente per discuterle e proporre altro.

Tornando a Isengard: l'adattamento è la cosa più innocua, non sempre in fondo i toponimi sono così chiari e decifrabili nemmeno da noi (qualcuno si è mai chiesto perché il Comune di Bulgarograsso si chiama così?... :) ). Certo che sottolineare l'idea di "fortezza di ferro", imprendibile, che è insito nel nome, accentuerebbe la sua caratterizzazione. Il punto è riuscire a farlo senza rendere il toponimo ridicolo, e senza trasferirlo in Maremma.
Avatara utente
Lorenzo Federici
Interventi: 884
Iscritto in data: sab, 27 ago 2022 16:50
Località: Frosinone

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di Lorenzo Federici »

Fuori tema
Perché il comune di Strangolagalli si chiama così? Deriva dal germanico e significherebbe palizzata circolare o altrimenti bosco circolare. Stessa cosa.
Rimane comunque oscuro ai più. Volendo, potremmo fare Arnesgarda e Arnesmonda incrociandoli con arnese ma comunque rimarrebbe oscuro, non meno del banale adattamento.
domna charola
Interventi: 1646
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di domna charola »

Lorenzo Federici ha scritto: gio, 25 gen 2024 15:32
Fuori tema
Perché il comune di Strangolagalli si chiama così? Deriva dal germanico e significherebbe palizzata circolare o altrimenti bosco circolare. Stessa cosa.
Rimane comunque oscuro ai più. Volendo, potremmo fare Arnesgarda e Arnesmonda incrociandoli con arnese ma comunque rimarrebbe oscuro, non meno del banale adattamento.
Appunto, è quello che dicevo sopra. Nei toponimi, dato che il loro significato primario è indicare un luogo, raramente si pretende la trasparenza di significato, o addirittura nemmeno la si cerca, come si vede bene da numerosi esempi: anche Strangolagalli rimane oscuro ma nessuno se ne fa un problema, né pensa che sia rischioso portarvi il proprio pennuto, e alla medesima maniera Isengard può rimanere Isengarda, oscuro nel significato, e in questo caso a maggior ragione suggestivo.
Oppure può palesare direttamente nel nome le sue caratteristiche di fortezza imprendibile, ma allora questa "traduzione" va fatta rispettando il tono della narrazione, cosa che non sempre risulta facile.
A quel punto, meglio l'adattamento più vicino all'originale, secondo me, rispetto a tentativi di chiarimento non comprensibili comunque.
Avatara utente
Carnby
Interventi: 5361
Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Re: [FT] «Arnese», «Bulgarograsso», «Strangolagalli»

Intervento di Carnby »

Fuori tema
Lorenzo Federici ha scritto: mer, 24 gen 2024 20:32 Arnese
Arnese deriva dal francese antico harnais (cfr. inglese harness), di origine germanica. Un buon consiglio è quello di ignorare totalmente quello che dice il Pianigiani.
domna charola ha scritto: gio, 25 gen 2024 9:45 Bulgarograsso
Bulgarograsso è di origine incerta: può derivare da burgālis e burgulus (Serra) o deriva da bulgarus, etnonimo, e grasso, in relazione alla fertilità del terreno (Olivieri).
Lorenzo Federici ha scritto: mer, 24 gen 2024 20:32 Strangolagalli
Strangolagalli è di origine antroponimica e deriva quindi da un soprannome; non ha fondamento l’ipotesi di un etimo germanico. Non fidatevi delle etimologie guichipediane. Ogni tanto le correggo, ma non posso correggere seimila toponimi, frazioni escluse.
domna charola
Interventi: 1646
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: [FT] «Arnese», «Bulgarograsso», «Strangolagalli»

Intervento di domna charola »

Fuori tema
Carnby ha scritto: gio, 25 gen 2024 17:11 Arnese deriva dal francese antico harnais (cfr. inglese harness), di origine germanica. Un buon consiglio è quello di ignorare totalmente quello che dice il Pianigiani.
Così il Ducange alla voce

"HARNASCHA, Armatura, lorica, thorax ; sed proprie apparatus omnis bellicus : German. Harnas, Harnasch, Anglis Harnisch, Gallis Harnois, Italis Arnese. Radevicus lib. 3. cap. 26 [...]

HARNESIUM. Eadem notione ; cujus vocis etymon frustra a Latinis et Græcis quærunt Pergaminus, Castelvetrus ad Bembum, et alii. Nec mirum, si fides D. Lud. le Pelletier ; est enim prisca vox Britannica, Hoarn, et Haiarn, quæ ferrum sonat ; unde Harnés lorrica ferrea, et Harnésa loricam induere. "

http://ducange.enc.sorbonne.fr/HARNASCHA
Avatara utente
G.B.
Interventi: 879
Iscritto in data: gio, 15 ago 2019 11:13

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di G.B. »

brg ha scritto: mer, 24 gen 2024 15:02 Qui si giunge al problema che indicavo nella discussione su "Baggins": che la costruzione linguistica, che tiene insieme e connette l'universo fantastico tolkienano (o tolchinano) all'ambiente familiare al lettore, traballa e crolla se si pretende di adattarla parzialmente o se si pretende di estraniarla dal mondo a cui si appoggia, di carattere bucolico inglese. Nella finzione il mondo linguistico della Terra di Mezzo viene trasfigurato tramite un esercizio di filologia germanica; nella realtà, però, è avvenuto l'esatto contrario: l'artificio linguistico serve a giustificare l'esistenza della Contea, proiezione fiabesca della campagna inglese, in una versione romanzata ed eclettica dell'epica germanica ambientata nella Terra di Mezzo, un mondo alieno. O si accetta che quel mondo è descritto da un sistema linguistico germanico o si deve giuocoforza pensare a come trasporre tutto il materiale in una ambientazione differente, che giustifichi una differente architettura linguistica.
Io una cosa non ho capito. Perdonate l'ignoranza. Le parole foggiate da Tolkien «alla germanica» sono parole delle lingue da lui create oppure rese, trasposizioni anglosassoni di parole delle lingue del suo universo? Voglio dire: la facies germanica e, specificamente, anglosassone dell'onomastica usata nei libri di Tolkien è una scelta stilistica e un omaggio al carattere germanico delle storie narrate oppure è la conseguenza del fatto che una o piú lingue del suo universo si fondano s'una serie di radici germaniche, apparendo se non piú o meno intelligibili, almeno «piú o meno inglesi» a un pubblico anglofono di lettori, il quale vi coglie una certa impressione di antichità?

Forse che, nella finzione narrativa, l'antico inglese sia il continuatore, nel nostro mondo, di una tra le lingue della razza degli uomini, nella quale sono state scritte le storie che Tolkien ci ha narrato e, dunque, i vari Baggins, Isengard, Dunland siano, semplicemente, ciò che resta di una facies arcaica di quelle storie, ossia, in sostanza, dei libri dell'autore? Mi sembra centrale, ma non ho davvero il tempo di studiare a fondo la questione. :(
G.B.
Avatara utente
G. M.
Interventi: 2436
Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di G. M. »

Nell'universo di Tolkien si parlano lingue immaginarie che, in generale, non hanno collegamenti visibili con le lingue del nostro mondo (nel senso che non s'intende che siano "storicamente" o lessicalmente collegate; naturalmente nel crearle Tolkien si è anche ispirato ai suoni di questa o quella lingua reale).

In soldoni, nella finzione narrativa per cui il libro è scritto in inglese, Tolkien «traduce» molti elementi di queste lingue immaginarie in inglese, o in forme antiche o strane d'inglese, per replicare più o meno, per il lettore inglese, le sensazioni e le evoluzioni —talvolta trasparenti, talvolta opache— di questi elementi linguistici nel suo mondo rispetto alla «lingua comune» parlata dai personaggi principali nella finzione (resa con l'inglese nella «traduzione»).

Se vuole fare un salto in biblioteca, il tutto è spiegato nell'appendice F del Signore degli Anelli, in particolare la parte II, sulla traduzione. Ne riporto qualche brano:
The language represented in this history by English was the Westron or ‘Common Speech’ of the West-lands of Middle-earth in the Third Age. In the course of that age it had become the native language of nearly all the speaking-peoples (save the Elves) who dwelt within the bounds of the old kingdoms of Arnor and Gondor […]

The Westron was a Mannish speech, though enriched and softened under Elvish influence. It was in origin the language of those whom the Eldar called the Atani or Edain, ‘Fathers of Men’, being especially the people of the Three Houses of the Elf-friends who came west into Beleriand in the First Age, and aided the Eldar in the War of the Great Jewels against the Dark Power of the North. […]

The Hobbits of the Shire and of Bree had at this time, for probably a thousand years, adopted the Common Speech. They used it in their own manner freely and carelessly; though the more learned among them had still at their command a more formal language when occasion required. […]

In presenting the matter of the Red Book [= Il Signore degli Anelli], as a history for people of today to read, the whole of the linguistic setting has been translated as far as possible into terms of our own times. Only the languages alien to the Common Speech have been left in their original form; but these appear mainly in the names of persons and places.
The Common Speech, as the language of the Hobbits and their narratives, has inevitably been turned into modern English. In the process the difference between the varieties observable in the use of the Westron has been lessened. Some attempt has been made to represent varieties by variations in the kind of English used […]

Translation of this kind is, of course, usual because inevitable in any narrative dealing with the past. It seldom proceeds any further. But I have gone beyond it. I have also translated all Westron names according to their
senses. When English names or titles appear in this book it is an indication that names in the Common Speech were current at the time, beside, or instead of, those in alien (usually Elvish) languages.
The Westron names were as a rule translations of older names: as Rivendell, Hoarwell, Silverlode, Langstrand, The Enemy, the Dark Tower. Some differed in meaning: as Mount Doom for Orodruin ‘burning mountain’, or Mirkwood for Taur e-Ndaedelos ‘forest of the great fear’. A few were alterations of Elvish names: as Lune and Brandywine derived from Lhûn and Baranduin.
This procedure perhaps needs some defence. It seemed to me that to present all the names in their original forms would obscure an essential feature of the times as perceived by the Hobbits (whose point of view I was
mainly concerned to preserve): the contrast between a wide-spread language, to them as ordinary and habitual as English is to us, and the living remains of far older and more reverend tongues. All names if merely transcribed would seem to modern readers equally remote: for instance, if the Elvish name Imladris and the Westron translation Karningul had both been left unchanged. But to refer to Rivendell as Imladris was as if one now was to speak of Winchester as Camelot, except that the identity was certain, while in Rivendell there still dwelt a lord of renown far older than Arthur would be, were he still king at Winchester today.
The name of the Shire (Sûza) and all other places of the Hobbits have thus been Englished. This was seldom difficult, since such names were commonly made up of elements similar to those used in our simpler English place-names; either words still current like hill or field; or a little worn down like ton beside town. But some were derived, as already noted, from old hobbit-words no longer in use, and these have been represented by similar English things, such as wich, or bottle ‘dwelling’, or michel ‘great’.
In the case of persons, however, Hobbit-names in the Shire and in Bree were for those days peculiar, notably in the habit that had grown up, some centuries before this time, of having inherited names for families. Most of these surnames had obvious meanings (in the current language being derived from jesting nicknames, or from place-names, or – especially in Bree – from the names of plants and trees). Translation of these presented little difficulty; but there remained one or two older names of forgotten meaning, and these I have been content to anglicize in spelling: as Took for Tûk, or Boffin for Bophîn. […]

Having gone so far in my attempt to modernize and make familiar the language and names of Hobbits, I found myself involved in a further process. The Mannish languages that were related to the Westron should, it seemed to me, be turned into forms related to English. The language of Rohan I have accordingly made to resemble ancient English, since it was related both (more distantly) to the Common Speech, and (very closely) to the former tongue of the northern Hobbits, and was in comparison with the Westron archaic. In the Red Book it is noted in several places that when Hobbits heard the speech of Rohan they recognized many words and felt the language to be akin to their own, so that it seemed absurd to leave the recorded names and words of the Rohirrim in a wholly alien style.
In several cases I have modernized the forms and spellings of place-names in Rohan: as in Dunharrow or Snowbourn; but I have not been consistent, for I have followed the Hobbits. They altered the names that they heard in the same way, if they were made of elements that they recognized, or if they resembled place-names in the Shire; but many they left alone, as I have done, for instance, in Edoras ‘the courts’. For the same reasons a few personal names have also been modernized, as Shadowfax and Wormtongue.1 […]

1 This linguistic procedure does not imply that the Rohirrim closely resembled the ancient English otherwise, in culture or art, in weapons or modes of warfare, except in a general way due to their circumstances: a simpler and more primitive people living in contact with a higher and more venerable culture, and occupying lands that had once been part of its domain.
brg
Interventi: 514
Iscritto in data: mer, 12 gen 2022 20:53

Re: «Isengard» e «Isenmonde»

Intervento di brg »

G.B. ha scritto: ven, 26 gen 2024 10:09[…] [L]a facies germanica e, specificamente, anglosassone dell'onomastica usata nei libri di Tolkien è una scelta stilistica e un omaggio al carattere germanico delle storie narrate oppure è la conseguenza del fatto che una o piú lingue del suo universo si fondano s'una serie di radici germaniche, apparendo se non piú o meno intelligibili, almeno «piú o meno inglesi» a un pubblico anglofono di lettori, il quale vi coglie una certa impressione di antichità?
La risposta è complessa.
G. M. ha scritto: ven, 26 gen 2024 11:02In soldoni, nella finzione narrativa per cui il libro è scritto in inglese, Tolkien «traduce» molti elementi di queste lingue immaginarie in inglese, o in forme antiche o strane d'inglese, per replicare più o meno, per il lettore inglese, le sensazioni e le evoluzioni —talvolta trasparenti, talvolta opache— di questi elementi linguistici nel suo mondo rispetto alla «lingua comune» parlata dai personaggi principali nella finzione (resa con l'inglese nella «traduzione»).
Sì, ma il problema è come trattare questa finzione in traduzione.

Per farmi capire meglio, e visto che siamo nella famigerata sezione dell'onomastica, tenterò di spiegare il problema con Occhi di Gatto. La trama di Occhi di Gatto è lineare, sebbene a tratti melodrammatica: un pittore e collezionista d'arte viene ucciso, in un finto incidente, dai suoi collaboratori che mirano ad impadronirsi della sua collezione; le tre figlie del pittore giurano di vendicarsi ri-rubando tutta la collezione ora dispersa e rivenduta; una delle tre si fidanza con un ispettore di polizia che indaga sui suoi furti, complicando tutta l'impresa. Questa è la finzione. Nella realtà, però, l'autore si è inventato la storia di una ladra e di un poliziotto e, poi, si è inventato la storia del padre tradito per dare giustificazione all'attività ladresca della protagonista e difenderne la caratterizzazione morale positiva.
Tornando a Tolkien, è vero che egli giustifica la lingua inglese del romanzo come una semplice traduzione della koinè della Terza Era, in cui sono scritti i fantomatici documenti in suo possesso; l'antico inglese di Rohan ed il norreno dei Nani come tentativi di rendere idea delle relazioni linguistiche tra questi e la suddetta koinè; tuttavia nella realtà è avvenuto il contrario. La passione per l'epica anglosassone gli ha fatto creare i cavallereschi abitanti di Rohan, l'amore per la campagna inglese gli ha fatto creare gli Hobbit, il desiderio di riempire i vuoti dell'antica mitologia inglese gli ha ispirato le avventure di un mondo popolato di elfi, uomini, nani e mille altre creature fantastiche; poi ha cercato il modo di inserire tutti questi elementi in un'opera coerente e verosimile, nella sua finzione, e quindi si è inventato la storia della traduzione con tutti i suoi arzigogoli filologici.
Tuttavia la finzione lì, essendo praticamente il lavoro di una vita, si sviluppa su più strati, sovrapposti e mischiati al tempo stesso.
Al livello più basso abbiamo i singoli elementi, come la Contea od il regno di Rohan. Nella finzione è solo un caso che siano state tradotte in inglese moderno le avventure di un gruppetto di pacifici campagnoli, amanti del tè, appassionati fumatori di pipa davanti al caminetto, goffi e cerimoniosi come (bada il caso, alle volte) delle caricature del buon inglese del contado. Ed è ancora un caso, nella finzione, che un popolo cavalleresco, organizzato come un potentato altomedioevale, sia descritto con un'onomastica da poema epico anglosassone.
Non lo è. Infatti ad un altro livello abbiamo il collegamento tra questo mondo fantastico e l'Inghilterra, che non è esplicito nel Signore degli Anelli, ma che ricorre continuamente nel materiale letterario pubblicato postumo, ma scritto precedentemente: gli antichi inglesi avrebbero avuto esperienza di questo mondo antidiluviano tramite l'incontro con gli ultimi degli elfi e da questa esperienza avrebbero tratto ispirazione per le loro composizioni letterarie.
Al livello più alto ed esteriore troviamo il gioco linguistico che incornicia il Signore degli Anelli e che, come il padre tradito e ucciso di Occhi di Gatto dà coerenza alla storia di una ladra moralmente degna, serve a dare coerenza interna a tutto il pot-pourri.

La finzione, così come viene presentata dall'autore, non deve però far perdere di vista la realtà del lavoro, quello che è e quello che è il suo argomento. Così come in Occhi di Gatto la storia principale, quella del tradimento e vendetta, è in realtà accessoria e posticcia a quello che nel racconto è un accidente, il romanzesco amore impossibile, che è il vero motore primo delle vicende, così nel Signore degli Anelli la traduzione della koinè terramezzana è finzione posteriore e secondaria alle celebrazioni della campagna inglese e della poesia epica anglosassone, nonché alle critiche verso la forza distruttrice e devastatrice della più gretta logica industriale, quasi di dickensiana memoria.

A mio avviso, il tradurre con leggerezza i nomi inglesi, perché nella finzione del romanzo sono essi stessi tradotti e così ha suggerito di fare l'autore stesso, trascura il problema non secondario, ma principale del romanzo, ovvero la sua ostentata "inglesicità". Come rapportarsi con questa "inglesicità" è il vero problema nella traduzione del Signore degli Anelli.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 0 ospiti