bubu7 ha scritto:A ulteriore integrazione di quanto dicevamo sulle limitazioni dell’uso della d eufonica, mi sembra interessante riportare la posizione di Luciano Canepari. Visto che parliamo di eufonia, sentiamo il parere di un professore di fonetica!
bubu7 ha scritto:A ulteriore integrazione di quanto dicevamo sulle limitazioni dell’uso della d eufonica, mi sembra interessante riportare la posizione di Luciano Canepari. Visto che parliamo di eufonia, sentiamo il parere di un professore di fonetica!
Queste osservazioni però rischiano di essere rese inutili dalla distribuzione affatto diversa rispetto alla norma (soprattutto) delle e aperte e chiuse nei parlanti (e scriventi) settentrionali; inutili ai fini dell'interpretazione dell'uso della d eufonica negli scritti, intendo.
Può comunque essere interessante provare ad applicarle: ad esempio, Freelancer, il revisore che le ha aggiunto molte d «eufoniche» l'ha fatto solo perché convinto che vadano messe ovunque sia possibile o può darsi che c'entri una diversa pronuncia delle e?
Federico ha scritto:
Può comunque essere interessante provare ad applicarle: ad esempio, Freelancer, il revisore che le ha aggiunto molte d «eufoniche» l'ha fatto solo perché convinto che vadano messe ovunque sia possibile o può darsi che c'entri una diversa pronuncia delle e?
Non credo che la pronuncia c'entri, dato che si tratta sempre di testi scritti per la sola lettura. Né parlavo di un solo revisore, bensì del fatto che ho più volte osservato che vari revisori delle mie traduzioni inseriscono sempre la d eufonica quando si incontrano due vocali diverse.
Penso che la sua intuizione sia corretta: la maggior parte delle persone ritengono che esista una regola in merito; ma non sono in grado di dimostrarlo.
bubu7 ha scritto:A ulteriore integrazione di quanto dicevamo sulle limitazioni dell’uso della d eufonica, mi sembra interessante riportare la posizione di Luciano Canepari. Visto che parliamo di eufonia, sentiamo il parere di un professore di fonetica!
bubu7 ha scritto:Non le sarà però sfuggita la piccola integrazione rispetto a quanto lì scriveva (Canepari).
Se uno ha i «sacri testi» sottomano [e tempo a volontà], va da sé che è sempre «meglio» (= [marginalmente] piú istruttivo e piú filologicamente corretto) riportare il passo originale, e di questa sua acribia la ringraziamo. Tuttavia, in questo caso l’integrazione è appunto «piccola», e non sostanziale…
bubu7 ha scritto:Non le sarà però sfuggita la piccola integrazione rispetto a quanto lì scriveva (Canepari).
Se uno ha i «sacri testi» sottomano [e tempo a volontà], va da sé che è sempre «meglio» (= [marginalmente] piú istruttivo e piú filologicamente corretto) riportare il passo originale, e di questa sua acribia la ringraziamo. Tuttavia, in questo caso l’integrazione è appunto «piccola», e non sostanziale…
Ma infatti, quell'integrazione era, più che altro, un gioco.
Se si controlla l'ultima edizione emendata del MaPI (par. 5.1.1) non la si troverà perché è una primizia.
In questa postilla, Luciano continua a togliersi un bel po’ di sassolini dalle scarpe: ci sono alcune affermazioni che non mancheranno di entusiasmare alcuni di noi… A Marco regalo súbito in anteprima questa:
LuCa ha scritto:È inutile dire che la lingua s’evolve [notare l’elisione (NdI)] per cercare di giustificare simili corbellerie… Non è bello «esser liberi d’essere schiavi»!
Freelancer ha scritto:Non credo che la pronuncia c'entri, dato che si tratta sempre di testi scritti per la sola lettura.
Ho capito, ma nell'improbabile ipotesi che applichino (anche senza conoscerli direttamente) i consigli di Migliorini, Canepari e Satta (quest'ultimo ribadisce che l'unico sistema per decidere se serve una d è pronunciare la frase) la loro pronuncia potrebbe influire, e quindi prenderla in considerazione servirebbe a verificare le affermazioni di bubu7. Che però continuo a ritenere troppo ottimistiche.
Infarinato ha scritto:In questa postilla, Luciano continua a togliersi un bel po’ di sassolini dalle scarpe: ci sono alcune affermazioni che non mancheranno di entusiasmare alcuni di noi…
In un contesto formale (nella lingua scritta o nel parlato piú sostenuto), se non sarebbe sbagliato né cacofonico scrivere «a opera (di)» [{almeno credo} perché nei vocabolari che ho consultato non è {sempre} presente la ‘d’ eufonica {...e a me pare fluisca meglio…}], sarebbe (per caso) un «errore di registro»?
Il fatto è che nei libri ho trovato la locuzione solo nella grafia «ad opera di»…
Il DOP non la riporta fra i casi in cui la preposizione semplice ‘a’ ricorre quasi sempre nella forma ‘ad’.
Ringrazio anticipatamente!
Gianluca ha scritto:In un contesto formale (nella lingua scritta o nel parlato piú sostenuto), se non sarebbe sbagliato né cacofonico scrivere «a opera (di)» [...], sarebbe (per caso) un «errore di registro»?
Assolutamente no: il GRADIT mette a lemma la forma senza ‘d’ a, per opera di. I puristi – e io con loro – preferiscono per opera di.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Marco1971 ha scritto: Assolutamente no: il GRADIT mette a lemma la forma senza ‘d’ a, per opera di. I puristi – e io con loro – preferiscono per opera di.
La ringrazio molto, gentilissimo Prof. Marco!
Il dizionario Sàndron lo segnala: meno bene ad opera di.
Al riguardo, il Serianni non è preciso (almeno non lo è G. Patota, perché la citazione è tratta dal glossario): il complemento di mezzo e strumento è «[...] Può essere introdotto dalle preposizioni con, per, a, di, mediante, tramite, attraverso e dalle locuzioni preposizionali per mezzo di, ad opera di, grazie a. [...]»
Perché è preferibile la locuzione «per opera di»?
P.S. Credo che convenga aprire un filone...
Perché è questa la forma tradizionale in sette secoli di letteratura, e in per opera di il ‘per’ vale propriamente ‘attraverso’, ‘grazie a’. A opera invece significa[va] «operato, per lo piú riccamente (un tessuto, un abito). – Per simil. Decorato, intarsiato, mosaicato (un pavimento).» (Battaglia)
La preposizione ‘a’ tende a sostituire le proprie sorelle; ricordiamo anche a mezzo di (spesso addirittura con omissione del ‘di’) in luogo del corretto per mezzo di.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non m’è chiara questa netta presa di posizione. Ch’io sappia l’unico caso in cui la d [caco, eu, dis]fonica è obbligatoria, è in ad esempio; o sbaglio?...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.