Zabob ha scritto:[D]a una parte si suggerisce di trasformare "modernamente" un iato in dittongo (/liˈato/→/ˈljato/), o comunque di mantenere invariato il dittongo quando è preceduto dall'art. determinativo (
l' + /ˈjato/→/ˈljato/); dall'altra parte, all'opposto, si consiglia di trasformare nella stessa situazione un dittongo in iato (
l' + /ˈjɛri/→/liˈɛri/), mentre conservare il dittongo è solo "tollerato".
(Refusi a parte) sarà forse perché
ieri è una parola [popolare] antichissima di ben altra frequenza [anche nella nostra letturatura e nella nostra tradizione poetica oltre che nella lingua comune] rispetto a un latinismo come
iato?
Zabob ha scritto:E sì che ci sono parole come
lieve,
lieto... (/ˈljɛve/, /ˈljɛto/...).
Erro
oooore!

La domanda che bisogna porsi non è se esistano sequenze come [ˈjɛ(ː)] in italiano, ma se la sequenza [ij] ([i
] non accentata) non tenda invece (sempre in italiano) a ridursi spontaneamente a [i
] (atona)… Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto richiamiamo con le parole di Piero Fiorelli la regola ortoepica tradizionale, che —sottolineiamolo—
riguarda esclusivamente le consonanti palatali.
Piero Fiorelli in Camilli & Fiorelli (1965:192, sottolineature mie) ha scritto:[L]’i semiconsonante iniziale [j-], nell’uso prevalente a Firenze, si muta quasi sempre in vocale sillabica [i-] se nella frase è preceduto da una consonante (quindi l’ieri [l iɛːri], un iettatore [un iettatoːre]), e anzi non può mai rimanere semiconsonante [j-] se la consonante che lo precede è palatale (come in gl’iettatori [ʎ iettatoːri]).
E negli altri casi? Vediamo cosa ci dice sempre il Fiorelli.
Piero Fiorelli in Camilli & Fiorelli (1965:56, sottolineature mie) ha scritto:Un i- prevocalico iniziale, pur essendo di regola semiconsonante, può diventar vocale quando nella frase sia preceduto da una consonante: es. d’ieri [d jɛːri, d iɛːri], d’iodio [d jɔːdĭo, d iɔːdĭo] {[ĭ] = [i] o [j] (NdI)}. Nel secondo esempio la pronuncia vocalica è giustificata anche dall’origine greca; ma quella che la può determinare di fatto nella maggior parte dei casi non è certo la coscienza etimologica, è piuttosto la rarità del gruppo [dj] iniziale di parola (si tende a fare trisillabo d’iodio allo stesso modo che si tende a fare trisillabo diaspro {…}), e soprattutto la difficoltà e la poca stabilità del gruppo [ij] (come il teorico [imvijaːmo] si riduce a [imviaːmo] {inviamo; qui [m] = [ɱ] e [m] (NdI)}, cosí [di jɔːdĭo] si può ridurre facilmente a [d iɔːdĭo] {…}).
È proprio questo il punto (…e la risposta alla domanda che si sarebbe dovuto porre

): cosí come diciamo
inviamo e
obliamo con [i
] semplice e non con una teorica sequenza [ij] ([-i] del tema verbale + [j-] della desinenza di 1ª plurale),
né con [j] (almeno a ritmo lento), cosí piú naturalmente (e
coerentemente) ridurremo [di ˈjɛːɾi] a [diˈɛːɾi] (e non a un poco italiano [ˈdjɛːɾi]).