Etimologia

Spazio di discussione dedicato alla storia della lingua italiana, alla sua evoluzione e a questioni etimologiche

Moderatore: Cruscanti

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bubu7
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Intervento di bubu7 »

miku ha scritto:Gli scriva, troverà senz'altro stimolanti i problemi da lei sollevati.
L'ho già fatto (il 5 dicembre), all'indirizzo di posta elettronica specificato nel suo profilo del forum dell'Accademia della Crusca.
Forse non è più valido... posso riprovare tramite questo forum... :(
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
amicus_eius
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Intervento di amicus_eius »

Salutz!

In primo luogo mi scuso per la mia latitanza e per la mia lentezza a rispondere al cortese compellare di Bubu7, di Miku e di Infarinato, il cui intervento è davvero prezioso per documentazione e acribia e aggiunge ulteriori e più accurate informazioni per quanto attiene alle dinamiche recenziori di definizione della fisionomia della flessione nominale delle lingue romanze.

Sono tuttora rintracciabile all'indirizzo di posta elettronica da me fornito, ma da un po' latito anche dal controllare la posta. Sarà una reazione dovuta a iperesposizione alla rete nei mesi precedenti... :lol:

Quanto all'origine dei casi dell'indeuropeo, la questione è complessa. Se ho ben compreso, Bubu7 sembra abbracciare l'ipotesi che l'indeuropeo, nella sua fase originaria possedesse quattro casi e che in effetti alcuni di essi, come l'ablativo o lo strumentale, sono nati successivamente, in alcune aree ben definite.

Fondamentalmente giusta è l'idea che le lingue flessive derivino, per erosione fonetica, da lingue agglutinanti use a determinare i rapporti logici nella frase tramite l'univerbazione sistematica delle radici dei nomi e dei pronomi con posposizioni o preposizioni.

Molto perplesso mi lascia invece l'idea della non originarietà degli otto casi nominali dell'indeuropeo. La questione andrebbe esaminata con cura; dato però che per essere chiari est brevitate opus , esaminerò alcuni aspetti essenziali del problema, partendo proprio dagli elementi che sembrerebbero confutare la visione tradizionale di un sistema ad otto casi comune alla lingua madre.

In primo luogo l'apparente debolezza della distinzione fra genitivo e ablativo. In tutte le forme di declinazione ricostruibili, il genitivo singolare e l'ablativo paiono contrassegnati dalla stessa desinenza che si presenta (per apofonia) ora come *-s, ora come *-es/os (varianti diasistemiche). L'unica forma di flessione che distingua con desinenze di appariscente salienza fonica genitivo e ablativo nel singolare è quella dei maschili in *-os (la forma originaria della declinazione tematica maschile del sanscrito -tipo vrkah- e della seconda declinazione latina e greca (lykos e lupus, per limitarci alle lingue più "gloriose"). I maschili col tema in *-o- hanno un genitivo /*-osjo/ e un ablativo /*-o:d/. Sembrerebbe dunque che l'ablativo sia una "eccezione" dei maschili in *-o-, dovendosi ricondurre in generale il genitivo e l'ablativo a un'unica funzione logica originaria comune, l'appartenenza come sfumatura semantica della provenienza (ciò spiegherebbe per altro, sul piano sintattico, il genitivo del greco, con funzioni ablativali, e la diffusione universale dei genitivi partitivi).

In realtà il retroscena delle dinamiche che portano allo stato di genitivo e ablativo singolare nel cosiddetto "spaetindogermanisch" appare più complesso e articolato di quanto sembrerebbe a prima vista.

La desinenza /*-o:d/ dell'ablativo dei maschili in *-os deriva, secondo una ricostruzione molto accreditata, dalla contrazione della vocale *-o-/ *-e- (terminazione di radice poi risegmentata, estesa e trasformata in supporto vocalico della flessione), con la posposizione *ed, caratterizzata da funzione ablativale. Si tratterebbe dunque di uno degli ultimi relitti riconoscibili della struttura del protoindeuropeo preflessivo.

Ricordiamo che la declinazione atematica, più arcaica, caratterizzata dalla desinenza *-s di genitivo e ablativo, non è più altrettanto produttiva della declinazione tematica (rimane fortemente produttivo solo il suo "sottoprodotto" dei femminili in -a e -i -questi ultimi livellati in tutto o in parte, o ridimensionati fortemente, in molte lingue, come il latino e il greco, ad esempio). La declinazione più produttiva conserva la distinzione più chiara fra questi due casi. Dunque la distinzione fra ablativo e genitivo appare essere fondamentale, e verosimilmente si deve parlare, in origine, di una distinzione fra un possessivo (caso indicante non una generica appartenenza, ma una determinazione di proprietà) e un ablativo. L'erosione del possessivo sul piano fonetico ha determinato il riequilibrio del sistema, che ha sopperito al vuoto di funzioni generatosi in séguito alla perdita del caso del possesso, attuando due dinamiche parallele: l'ampliamento, sul piano semantico, della funzione dell'ablativo e il tentativo di recuperare il possessivo perduto, distinguendolo, in alcuni nomi, da un nuovo ablativo formato con l'univerbazione di *-ed alla radice. Così è venuta precisandosi una nuova categoria, all'interno della nozione del caso, quella del genitivo, che appunto contraddistingue il concetto di appartenenza inteso in origine come parte o oggetto, proveniente da un tutto o da una sfera di pertinenza.

Perché considerare in ogni caso l'ablativo come originario? In primo luogo, è una considerazione di ordine tipologico che ci spinge a preferire questa ipotesi all'altra, che il genitivo sia originario e l'ablativo un suo derivato. Lingue di struttura estremamente arcaica, come i dialetti dell'area caucasica (contigua o coincidente, se dobbiamo credere alla soluzione Ivanov-Gamkrelidze al'interrogativo 'Urheimat indogermanica, con la patria originaria, degli Indoerupei), sono caratterizzati da un enorme sviluppo di casi indicanti relazioni spaziali (un esempio è il tabassarano, in cui si riconoscono ben quarantasei casi distinti (!), dedicati a determinare con precisione le relazioni spaziali; un' altra situzione analoga è quella dell'urdu, con il suo ampio sviluppo di casi "spaziali", fra cui si distinguono un allativo, un ablativo e un locativo).
Inoltre, il genitivo non è l'unica categoria "astratta" di caso ricavabile in modo trasparente dallo scavo semantico di una precedente determinazione spaziale. Esempi interessanti in tal senso sono dati dall'accusativo singolare e plurale e dal dativo plurale. L'accusativo dei maschili sembra essere formato a partire da un'antica posposizione *em *m, il cui significato è dal più al meno quello di "verso, a". Nessuna meraviglia se in latino arcaico l'accusativo semplice è usato diffusamente per il moto a luogo: la desinenza dell'accusativo è appunto una desinenza di allativo, di caso del moto a luogo! La trasformazione dell'allativo in accusativo è poi frutto di un complesso riorientamento del sistema dei casi e della sintassi, che portò l'indoeuropeo originario a evolvere da lingua ergativa, a lingua accusativa. E qui, mi perdoni il lasso interlocutore (se mi avrà mandato a quel paese già da qualche riga, non gliene vorrò punto :lol:), devo aprire un'altra piccola -si fa per dire- parentesi.

Un elemento che contraddistingue la flessione nominale indeuropea è il fatto che i neutri hanno nominativo e accusativo uguali. I neutri sono nomi di enti inanimati o comunque non concepiti come dotati di iniziativa propria: enti che non potrebbero mai compiere un'azione. Alcune lingue (ad esempio il basco o i dialetti caucasici, idiomi per altro ambedue riconoscibili in Eurasia sin dal mesolitico) distinguono il caso del soggetto che compie l'azione (ergativo) dal caso che indica il soggetto che l'azione la patisce o che ha come predicato un verbo di stato o una copula (il caso assolutivo). Naturalmente, in una lingua ergativa, statisticamente saranno più spesso i nomi indicanti enti dotati di intenzionalità (nomi di persona) a compiere l'azione, e a mostrare più spesso, nell'uso, un caso ergativo distinto da un assolutivo. La situazione dell'indeuropeo, con i neutri che non hanno nominativo e accusativo distinti, è molto probabilmente l'ultimo relitto o vestigio di un'ergatività originaria dell'indeuropeo nella sua fase più primitiva.

Questa considerazione permette indirettamente di spiegare come l'allativo possa aver dato origine a un accusativo. Si consideri una frase banale come *wlkòm *gwhènmi, "io colpisco il lupo", in indeuropeo ricostruito. Nella forma verbale *gwhen-mi, alla prima persona, gli indeuropeisti riconoscono: 1) una radice nominale; 2) un pronome personale (la desinenza essendo facilmente confrontabilie con il pronome di prima persona *em, che compare ampliato come *egh-òm al nominativo, caso forte con grado apofonico forte, e puro negli altri casi, es. dativo *em-èi, con grado zero in alcune forme -acc. *m-em, *me). Il pronome personale è verosimilmente al caso ergativo. Dunque la frase *wlkòm *gwhènmi, in cui si ha la polisintesi di nome e pronome al caso ergativo, significherebbe, dal più al meno: "un colpo diretto al lupo da parte mia", cioè "io colpisco il lupo". La pressoché immediata generalizzazione di frasi come questa determina: 1) la nascita, nella nozione caso, della categoria dell'accusativo inteso come marca morfologica del punto o ambito terminale di un'azione (dunque la trasformazione tipologica in lingua accusativa del protoindeuropeo); 2) la nascita della marca del genere neutro come "ergativamente" indefinito, in opposizione al genere degli enti animati, che più tardi, con la formazione, tramite risegmentazione ed estensione analogica, di classi di femminili morfologicamente ben distinte, si articolerà appunto in maschile e femminile.

Veniamo al dativo, e in particolare al dativo plurale, contrassegnato, nell'indoario e nell'italico, dall'elemento morfologico *-bhyos e nell'area slava e germanica dall'elemento morfologico *-mos. La differenza fra questi due allomorfi non deve far pensare a innovazioni tarde: bisogna ricordare che l'indoeuropeo è sin dall'inizio un diasistema, con varianti diacoriche e diatopiche (un po' come sono diasistemi le lingue neolatine e il tedesco). Siamo dunque di fronte a varianti diacoriche. La forma *-bhyos si riconduce facilemente all'unione fra una posposizione *ebhi, "verso, a" ancora riconoscibile in vedico, a cui si unisce il tipico elemento *-s del plurale. Si tratta dunque di un allativo (e del resto si pensi come, alla scomparsa del dativo, questo venga sopperito, nelle lingue moderne, da costrutti analitici con preposizioni allative tipo "ad"). La forma *-mos è altrettanto facile da riconoscere: lo stesso elemento *-s del plurale innestato su *-m, la posposizione allativale che dà origine all'accusativo e che evidentemente, nel momento in cui le varianti diacoriche del tardo indoeuropeo flessivo finiscono per strutturarsi, gioca i ruoli più disparati.

(Il fatto che *-bhyos, *-mos sia anche desinenza di ablativo è dovuto probabilmente a scontro omofonico, o ad altri, meno trasparenti, processi di mutamento determinatisi nell'evoluzione linguistica, un po' come accade per -ae genitivo e -ae dativo nella prima declinazione latina -a qualcun altro meglio documentato in merito, l'onere di intervenire).

In ogni caso è verisimile che un dativo a sé, distinto da un allativo, esistesse: la deriva che tende a sostituire dativi con forme allativali è troppo diffusa e profonda fino agli albori della modernità, per non essere mossa da processi di ristrutturazione sistemica antichi, profondi e latenti.

Si deve inoltre considerare che lo strumentale, là dove è assente come categoria sistemica a sé, lascia pesanti tracce negli avverbi, dunque era antico e originario, così come è antico e originario il locativo, che sembra derivato dall'univerbazione delle radici nominali con un avverbio di luogo (il cui relitto, presente anche nelle desinenze primarie dei verbi, è *-i).

Non è escluso che l'indeuropeo, agli albori della definizione della sua fisionomia come gruppo di dialetti, avesse un sistema di casi alquanto complesso, così composto:

ergativo
assolutivo
vocativo
possessivo
dativo
strumentale
allativo
ablativo
locativo

Con la ristrutturazione del sistema: gli ergativi e gli assolutivi ricaddero in nominativi maschili e femminili e in nominativi accusativi neutri; l'allativo divenne accusativo; il possessivo, forse perduto per erosione fonica dei morfi, fu sostituito dallo sviluppo del genitivo; strumentale, ablativo e locativo rimasero come uniche vestigia funzionali della situazione precedente. Le radici del sincretismo e della semplificazione vanno dunque rintracciate nella trasformazione tipologica del protoindeuropeo che, verosimilmente nel neolitico, si mutò in lingua flessiva da lingua agglutinante che era, e da lingua accusativa in lingua ergativa, e subì in concomitanza con questi riorientamenti tipologici una articolata ridefinizione, sul piano semantico, dei casi indicanti in origine determinazioni di natura spaziale.

Spero di non avervi stancati troppo. Sarà più che gradita ogni segnalazione di errori di metodo o di inesattezze da me perpetrate nel tentativo, improbo, di mettere insieme, dai pochi dati in mio possesso, una spiegazione verosimile.

Alla prossima.
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Intervento di bubu7 »

amicus_eius ha scritto: Se ho ben compreso, Bubu7 sembra abbracciare l'ipotesi che l'indeuropeo, nella sua fase originaria possedesse quattro casi e che in effetti alcuni di essi, come l'ablativo o lo strumentale, sono nati successivamente, in alcune aree ben definite.

Fondamentalmente giusta è l'idea che le lingue flessive derivino, per erosione fonetica, da lingue agglutinanti use a determinare i rapporti logici nella frase tramite l'univerbazione sistematica delle radici dei nomi e dei pronomi con posposizioni o preposizioni.
La volevo ringraziare subito per la sua disponibilità.
Le darò una risposta più dettagliata (spero!) dopo aver letto con attenzione il suo intervento.
Colgo comunque l'occasione per farle presente che, attualmente, non abbraccio alcuna ipotesi sul numero dei casi e, se ne ho sostenuto una diversa dalla sua, è per capire meglio i pro e i contro delle diverse posizioni.
In particolare, per i due casi dell'ablativo e dello strumentale, la mia ipotesi attuale (prima di aver letto la sua replica) è che lo strumentale sia stato sviluppato da alcune lingue derivate dall'indoeuropeo e che non era presente nella lingua comune, mentre l'ablativo (e il locativo) era presente nella lingua comune ma non completamente sviluppato. Per l'ablativo, molte parole esprimevano il concetto "luogo da cui" mediante il genitivo. Nel seguito, le lingue italiche, ad esempio, estesero l'ablativo a tutti i tipi flessivi dei nomi, altre, come il greco, lo eliminarono completamente.

Le volevo segnalare poi una probabile svista.
L'origine delle lingue flessive non mi sembra dovuta all'erosione fonetica. Semmai l'erosione è il processo che provoca la diminuzione delle caratteristiche flessive di una lingua, rendendo necessario il ricorso a particelle come le preposizioni.
Ma può darsi che mi sbagli. :wink:

Vado a leggermi il suo intervento...
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:
amicus_eius ha scritto:Fondamentalmente giusta è l'idea che le lingue flessive derivino, per erosione fonetica, da lingue agglutinanti use a determinare i rapporti logici nella frase tramite l'univerbazione sistematica delle radici dei nomi e dei pronomi con posposizioni o preposizioni.
L'origine delle lingue flessive non mi sembra dovuta all'erosione fonetica. Semmai l'erosione è il processo che provoca la diminuzione delle caratteristiche flessive di una lingua, rendendo necessario il ricorso a particelle come le preposizioni.
Le due cose non mi sembrano affatto in contraddizione:

lingua agglutinante > [erosione fonetica tra radice e pre/posposizioni] > lingua flessiva > [erosione fonetica delle desinenze] > lingua «meno flessiva».
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Intervento di bubu7 »

Mi corregga se sbaglio, Infarinato.

L'agglutinazione, cioe la fusione di pre/posposizioni a formare pre/suffissi stabili, basta da sola a creare delle flessioni.
L'erosione interna, può avvenire col tempo, per tutta una serie di motivi, e fa diminuire la capacità del parlante di discriminare gli elementi originari, ma non crea la flessività.

Invece l'erosione delle desinenze è il fenomeno fondamentale che provoca, ad un certo punto, quando la lingua corre ai ripari adottando le preposizioni, una diminuzione del suo indice di flessività.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:L'agglutinazione, cioè la fusione di pre/posposizioni a formare pre/suffissi stabili, basta da sola a creare delle flessioni.
Non necessariamente: le formanti di ungherese e giapponese, per esempio, sono «pre/suffissi stabili», ma le due lingue rimangono saldamente agglutinanti, ché chiaro e netto è il confine fra radice e formanti, le quali non si fondono con essa…
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Intervento di bubu7 »

Non mi sembra questo il punto.
Non ho detto che una lingua agglutinante debba necessariamente trasformarsi in una lingua flessiva.
Ma quando questo avviene, non è fondamentale il processo erosivo.
Quest'ultimo può avvenire (infatti spesso non avviene quando la sillaba in questione è foneticamente forte) ma non possiamo dire che una lingua diventa flessiva per erosione interna.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:…non possiamo dire che una lingua diventa flessiva per erosione interna.
E per cosa, allora? Se non c’è «erosione interna» (= «erosione del confine fra morfemi»), cosa distingue una lingua agglutinante da una flessiva?
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: ...cosa distingue una lingua agglutinante da una flessiva?
Il fatto che nelle lingue agglutinanti "la funzione sintattica e grammaticale delle parole è segnalata e specificata dall'unione al tema di uno o più confissi, che senza unione conservano stabilmente il loro valore" (GRADIT).

Questo valore indipendente si perde nelle lingue flessive e il confisso diventa parte integrante della parola.

Si convinca che l'erosione interna, in questo caso, è un fenomeno secondario, che può avvenire, ma solo in tempi successivi alla saldatura stabile delle due parti.

Tra l'altro l'erosione è solo uno dei fenomeni che possono avvenire. Altre trasformazioni del confisso lo possono alterare senza eroderlo.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:
Infarinato ha scritto: ...cosa distingue una lingua agglutinante da una flessiva?
Il fatto che nelle lingue agglutinanti "la funzione sintattica e grammaticale delle parole è segnalata e specificata dall'unione al tema di uno o più confissi, che senza unione conservano stabilmente il loro valore" (GRADIT).
Vero, ma rimangono confissi: non possono essere usati in isolamento.
bubu7 ha scritto:Questo valore indipendente si perde nelle lingue flessive e il confisso diventa parte integrante della parola.
Sí, ma come? Qui si sta parlando della [plausibile] evoluzione del protoindoeuropeo da lingua agglutinante a lingua flessiva.

Come si passa da una serie di confissi (aventi ciascuno una sola funzione) a una serie (piú esigua) di desinenze (aventi ciascuna piú funzioni)?

Lei dice: in séguito «alla saldatura stabile delle… parti». Vero, ma perché questo non avviene/non è avvenuto in tutte le lingue agglutinanti?… O meglio: come si spiega il fatto che in alcune lingue (quale, presumibilmente, l’indeuropeo) sia avvenuto e in altre (altrettanto antiche, come quelle uraliche) no?

Poniamo che (in una lingua agglutinante) io abbia un tema piú una serie di confissi. Essi si disporranno in un certo ordine (e numero) a seconda del particolare contesto sintattico. Alcune lingue [non] evolveranno mantenendo questa situazione [pressoché] inalterata nel corso dei secoli, altre evolveranno verso il tipo flessivo… Come?

Nelle lingue appartenenti a questo secondo gruppo, alcune sequenze tema-confissi e (soprattutto) confisso-confisso saranno/diventeranno piú «comuni» (in questo senso, e solo in questo senso, si può parlare di «saldatura stabile» -nel qual caso, allora, siamo perfettamente d’accordo). Questo porterà a una semplificazione (=> opacizzazione) dei «nessi fonetici» tra tema e confissi (e tra i vari confissi), che a sua volta porterà inevitabilmente la lingua a una «situazione flessiva di non ritorno».

Secondo me, stiamo dicendo le stesse cose: del resto, si tratta essenzialmente d’una questione «di uova e di galline»… :)
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Intervento di bubu7 »

A molte delle sue domande non so ancora (e non so se saprò mai :wink: ) dare una risposta.

Per quanto riguarda l'uso isolato dei confissi, non conosco le lingue che ha citato, ma, in italiano, quest'uso in molti casi è possibile.
Qui si sta parlando della [plausibile] evoluzione del protoindoeuropeo da lingua agglutinante a lingua flessiva.
Non so se per il protoindoeuropeo si possa parlare, tipologicamente, di una lingua agglutinante (io direi di no). Direi che essa si è trasformata tramite fenomeni di agglutinazione in una lingua flessiva suffissante.
Anche l'italiano presenta fenomeni di agglutinazione, ma non è certo una lingua agglutinante.
Come si passa da una serie di confissi (aventi ciascuno una sola funzione) a una serie (piú esigua) di desinenze (aventi ciascuna piú funzioni)?
I modi sono tanti. All'inizio le desinenze saranno tante quanti i confissi, poi processi di semplificazione, analogia, ecc. porteranno alla riduzione delle desinenze.
...del resto, si tratta essenzialmente d’una questione «di uova e di galline»… :)
Non lo so, ma quando si parla di creazione di flessioni, si parla sempre di agglutinazioni e non, per quanto (poco) ne so, di erosioni. Queste ultime possono intervenire per stabilizzarle.
Invece quando si parla di scomparsa di flessioni si parla sempre di erosioni.
Vorrà pur dire che il processo erosivo ha un'importanza diversa nei due casi! :)
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Intervento di bubu7 »

amicus_eius ha scritto:Un elemento che contraddistingue la flessione nominale indeuropea è il fatto che i neutri hanno nominativo e accusativo uguali. I neutri sono nomi di enti inanimati o comunque non concepiti come dotati di iniziativa propria: enti che non potrebbero mai compiere un'azione. Alcune lingue (ad esempio il basco o i dialetti caucasici, idiomi per altro ambedue riconoscibili in Eurasia sin dal mesolitico) distinguono il caso del soggetto che compie l'azione (ergativo) dal caso che indica il soggetto che l'azione la patisce o che ha come predicato un verbo di stato o una copula (il caso assolutivo). Naturalmente, in una lingua ergativa, statisticamente saranno più spesso i nomi indicanti enti dotati di intenzionalità (nomi di persona) a compiere l'azione, e a mostrare più spesso, nell'uso, un caso ergativo distinto da un assolutivo. La situazione dell'indeuropeo, con i neutri che non hanno nominativo e accusativo distinti, è molto probabilmente l'ultimo relitto o vestigio di un'ergatività originaria dell'indeuropeo nella sua fase più primitiva.
Caro amicus_eius, mi riprometto di affrontare tutti i problemi trattati nella sua generosa risposta.
Spero non le dispiaccia se, invece di darle un’unica lunga risposta, affronto singolarmente i tanti dubbi che la sua esposizione mi ha fatto nascere.

Comincio col suo accenno alla teoria dell’originaria ergatività dell’indoeuropeo.

Non ho capito come la situazione dei neutri possa giustificare l’ipotesi ergativa.
Se mi permette, spero senza forzare troppo il suo pensiero, sostituisco la categoria del neutro con quella di enti inanimati, contrapponendola a quelli animati (o considerati tali).
Per quanto ne so, la distinzione principale, tra i sistemi ergativo e accusativo, non è fondata sul trattamento degli enti inanimati bensì sulla diversa distribuzione delle funzioni di agente e paziente, in particolare, la collocazione del soggetto dei verbi intransitivi e gli usi non funzionali: fare un elenco di persone, menzionare un nome, ecc. Stiamo quindi parlando del trattamento degli enti animati.
Se questo è vero, l’indistinguibilità degli enti inanimati tra caso nominativo e accusativo da una parte e tra caso ergativo e assolutivo dall’altra, dovrebbe essere naturale in uno stadio primitivo. Se non vado errato, nell’indoeuropeo una buona metà degli enti inanimati non distingue i due casi, mentre la quasi totalità degli enti animati sì.
Quelle che dovrebbero essere importanti, al fine di decidere su un’ergatività o un’accusatività primitiva, sebbene quest’ultima leggermente diversa da quella più recente, dovrebbero essere considerazioni tipologiche e di economia funzionale.
Per l’economia funzionale, ci si aspetta, in un sistema accusativo, che il caso nominativo non sia marcato mentre in un sistema ergativo, quest’aspettativa riguarda l’assolutivo.
La situazione del nominativo indoeuropeo per gli enti animati mi sembra che presenti queste possibilità: assenza di marche; allungamento dell’ultima vocale; presenza del suffisso *-s.
L’accusativo presenta quasi uniformemente *–m.
Ora, per gli esseri animati, l’indoeuropeo o marca solo il paziente, oppure marca il paziente e l’agente. Non mi sembra che marchi mai solo l’agente, tipico comportamento di una lingua ergativa.
Si potrebbe obiettare che la marca del nominativo, la *-s, sia molto più antica di quella dell’accusativo, ottenendo un sistema ergativo, ma quest’ipotesi non è sostenuta dall’analisi comparativa. La quale suggerisce una maggiore antichità della marca dell’accusativo, presente, come marca di paziente, anche in altre famiglie linguistiche come l’uralico.

Ovviamente tutte le sue obiezioni saranno le benvenute.
Come dilettante, non chiedo di meglio che riconoscere i miei errori.
Molto cordialmente.
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V. M. Illič-Svitič
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Intervento di bubu7 »

amicus_eius ha scritto: ...trasformazione tipologica del protoindeuropeo che, verosimilmente nel neolitico, si mutò in lingua flessiva da lingua agglutinante che era, e da lingua accusativa in lingua ergativa...
bubu7 ha scritto:Non so se per il protoindoeuropeo si possa parlare, tipologicamente, di una lingua agglutinante (io direi di no). Direi che essa si è trasformata tramite fenomeni di agglutinazione in una lingua flessiva suffissante.
Caro amicus_eius, nella mia discussione con Infarinato egli ha sostenuto, come vedo anche lei, che il protoindoeuropeo sarebbe stata una lingua agglutinante.
Come vede dalla seconda citazione ho avanzato dei dubbi su questa ipotesi, obiettando che si sarebbe piuttosto trattato di una lingua con pre/posposizioni.
Mi può chiarire in base a quali elementi sostiene che si tratti di una lingua agglutinante?

Per concludere una piccola curiosità.
Nella parte che ho evidenziato in grassetto lei sta affermando che l'indoeuropeo è una lingua accusativa con un intermezzo ergativo, oppure si tratta di una semplice svista con inversione dei termini?
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V. M. Illič-Svitič
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Intervento di amicus_eius »

Caro Bubu7, le chiedo scusa per il refuso: ovviamente lo stadio di lingua ergativa è precedente allo stadio di lingua accusativa, dunque per il passo citato si tratta, come lei ha ben intuito di una mia svista. :oops: Nel mio lungo intervento terminato a tarda sera, quando ho finalmente avuto modo di redigerlo, ci sono purtroppo varie sviste, che man mano provvederò a correggere. :oops:

In effetti l'idea che l'indeuropeo fosse una lingua con preposizioni e posposizioni non è di principio in assoluto contrasto con l'idea che esso fosse una lingua agglutinante -il giapponese, che è una lingua con diffusi fenomeni di agglutinazione, si serve anche di particelle che si possono considerare posposizioni. La presenza di posposizioni non è di principio in assoluto contrasto nemmeno con l'idea che l'indeuropeo fosse già flessivo negli stadii a cui si può arrivare tramite ricostruzione interna: in fondo il greco antico, che è una lingua flessiva, fa ampio uso di posposizioni (l'affisso allativo de, la posposizione ablativale -then -addirittura un affisso che in età micenea era desinenza di strumentale -il -phi di espressioni come iphi , "con forza"-, viene avvertito come posposizione in età omerica, essendosi nel frattempo perduto lo strumentale come categoria sistematica). Le tesi possibili in verità sono varie: può darsi che nella sua più remota fase di sviluppo la lingua madre procedesse per polisintesi, e fenomeni regionali relitto di polisintesi potrebbero essere al limite (molto al limite) ravvisati nella sua grande disponibilità nel formare composti trasparenti fondendo fra di loro radici ben riconoscibili (proprietà che è rimasta nelle lingue indoarie, nel greco e nelle lingue germaniche). Immaginare quale fosse la forma più remota che una protolingua possa aver assunto, servendosi solo della ricostruzione interna, è impresa al limite dell'impossibile, considerando che anche lingue note e attestate e tuttora vive nell'uso possono essere classificate tipologicamente solo in linea di massima. Prendiamo le lingue neolatine: esse si comportano, nella flessione verbale, come lingue flessive; la flessione nominale però è ridotta alla distinzione fra singolare e plurale e addirittura, nel caso del francese, le erosioni fonetiche subite dalle consonanti finali conferiscono a nomi e aggettivi uno status ambiguo, quasi da lingua isolante, visto che in molti casi è l'articolo a fare, sul piano della pronuncia reale, la differenza. D'altro canto il modo in cui in tutti i dialetti neolatini le forme clitiche dei pronomi interagiscono con i verbi dà luogo a fenomeni di vera e propria polisintesi, che nulla hanno da invidiare ai dialetti delle popolazioni eschimidi. Se esistono problemi oggettivi nel classificare tipologicamente lingue ben attestate, la cui evoluzione è ampiamente documentata, si può immaginare come gli interrogativi proliferino se si passa a parlare di protolingue che sono probabilmente diasistemi (l'indeuropeo è un archetipo con varianti, per giunta quasi sicuramente contaminato), di cui alcuni dettagli non sono ben sicuri nemmeno per lo stadio più tardo e meglio ricostruibile.

Tuttavia un indizio interno della possibile natura prevalentemente agglutinante della protolingua nella sua fase più arcaica è fornito dalla tendenziale trasparenza dei morfi che la contraddistingue in modo alquanto pronunciato, sia nella formazione lessicale, sia nelle aree chiave della flessione, una trasparenza che molte lingue figlie conservano. Un elemento distintivo essenziale è costituito ad esempio dalle desinenze in -m, accusative o allative che fossero. Per formarne il plurale, basta aggiungere una -s, e si ottiene la caratteristica desinenza -ns, con adattamento fonetico dovuto ad assimilazione progressiva parziale -ma anche il turco, una lingua evidentemente agglutinante, modula le vocali dei suoi affissi in base alle regole di eufonia-. La distinzione fra desinenze primarie e desinenze secondarie è data da un affisso -i (un avverbio di luogo e tempo "qui, ora" apposto al relitto del caso ergativo del pronome agglutinato alla radice verbale?) e tale affisso è sentito come elemento "mobile" ancora nelle lingue figlie, tanto che dà luogo, insieme alla caduta dell'aumento, alla famosa legge del Konjunktionreduktionsystem, scoperta da Jerzy Kurilovicz, legge che riesce a spiegare le forme di ingiuntivo del sanscrito e la loro alternanza, con forme di presente, di imperfetto e di aoristo, all'interno di catene di frasi coordinate (la -i delle des. primarie o l'aumento vengono apposti al primo verbo del periodo, gli altri verbi con esso coordinati li perdono).

Altre strutture morfologiche sembrano invece far intuire un passato polisintetico: è il caso dei participi presenti e perfetti. Una forma come *bher-ont- sembra essere scindibile ulteriormente in *bher (morfo lessicale) *-om (radice *em del verbo prendere -cfr. latino emo) suffisso -t del nomen agentis: il participio *bher-on-t- significherebbe pertanto: [colui che] si assume il compito di portare, il che spiega fra l'altro l'opposizione aspettuale implicita fra forme in *-nt- (agenti di un'azione occasionale) e nomi in *-ter, *-tor (agenti di un'azione tipica e abitudinaria). Una forma cime *weid-wos- sembra composta dalla radice verbale raddoppiata più una radice *wes *wos, "rimanere", e contraddistingue un composto di connotazione stativa o resultativa ben presto associato sistematicamente a forme di perfetto.

Come si può ben vedere, la questione è alquanto articolata: il panorama che si intuisce nel retroscena della struttura del tardo indeuropeo flessivo (e accusativo) è quello di una lingua (ergativa) prevalentemente agglutinante, con fenomeni regionali di polisintesi e univerbazione di posposizioni. Fenomeni i cui echi di fondo continuano ad agire per lungo tempo. Resta tuttavia, quello qui delineato, un quadro estremamente incerto e approssimativo, per giunta sicuramente complicato da interazioni ignote con altre lingue arcaiche contigue e influenti (magari a causa della neolitizzazione che si veniva diffondendo dalle regioni meridionali del vicino oriente), e dalla presenza di varianti diacoriche.
Come dicono gli indeuropeisti anglosassoni: one cannot reconstruct ad infinitum.
amicus_eius
Interventi: 131
Iscritto in data: ven, 10 giu 2005 11:33

Intervento di amicus_eius »

Con involontaria responsione chiastica ( :lol:) rispondo al suo precedente intervento sulla possibile o presunta ergatività originaria dell'indeuropeo.

Nel mio intervento ho accennato all'ipotesi che l'accusativo come tale fosse il derivato di un allativo costruito con la posposizione *-em-*-m. Nel neutro, la desinenza -m caratterizza solo la coniugazione tematica in -o, non i più arcaici neutri della declinazione atematica, che non hanno marche morfologiche (a parte l'apofonia, la cui presenza si è in tempi diversi estesa, ed ha assunto rilievo, nel sistema flessivo dell'indeuropeo tardo, attraverso conguagli analogici, a partire da fenomeni, all'inizio puramente fonetici, derivanti da ergonomia articolatoria). L'allungamento vocalico di molti nomi di declinazione atematica è probabilmente un prolungamento di compenso derivato dalla sparizione di una primitiva -s sistematica per i nominativi di enti animati (comune a maschili e femminili, essendo i femminili in vocale innovazione tarda): una forma come */ma:te:r/ deriva, verosimilmente da */ma:terr/, a sua volta disceso da */ma: ter-s/. Dunque si deve con ogni verosimiglianza postulare una -s come sistematica marca originaria del caso dell'agente. Fenomeni fonetici e derive sintattiche potrebbero a un certo punto aver reso diffusamente poco chiara la vecchia opposizione fra caso dell'agente e assolutivo, portando a generalizzare una situazione in cui vecchie desinenze nominali ergative sono rimaste associate ai nominativi di enti animati, mentre vecchie forme non marcate di assolutivo sono rimaste associate a casi retti adesinenziali di enti non animati (fra l'altro non tutti i neutri sono enti non animati, nelle lingue indeuropee...). Successivamente intervennero altri fenomeni di ristrutturazione, che portarono alla nascita della declinazione tematica in *-o-, in cui la distinzione, ormai affermata, fra un genere comune riferito in prevalenza a enti animati e un neutro, tipico degli enti inanimati, venne resa trasparente mediante la trasformazione della -m (vecchia desinenza allativale mutata in accusativo) in marca generica del neutro nei casi retti.

Attendo ulteriori chiarificazioni e obbiezioni (e mi scuso se ho infilato altri refusi...).
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