Italiani latini?

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ANTONIVS
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Iscritto in data: gio, 25 ott 2007 18:03

Italiani latini?

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Una questione molto dibatutta è quella inerente le origine dell'Italia e degli italiani.
Secondo voi, la lunga parentesi romana è italica a tutti gli effetti? Da quando possiamo dirci italiani? Dal 1861 o prima?
Ecco alcune mie considerazioni in merito:

Cos'è che determina l'italianità? Una mero certificato di cittadinanza?
No. Secoli prima l'unità d'Italia i principali protagonisti dell'epoca si sentivano italiani ed incitavano all'unità della Patria!
Dante Aligheri sognava tra l'altro la restaurazione dell'impero, unico elemento unificatore ed in grado di porre un freno alla libertà della Chiesa.
Francesco Petrarca scrisse un bel canto: "Italia mia, benchè 'l parlar sia indarno" ("Il Canzoniere" CXXVIII), in cui dopo aver ricordato il "Latin sangue gentil" afferma tra l'altro: "Virtù contro a furore prenderà l'arme; e fìa el combatter corto, chè l'antico valore nell'italici cor non è ancor morto" (il valore italico prenderà le armi contro la selvaggia furia degli stranieri, ed il combattimento sarà breve, perchè l'antico valore degli antenati romani non è ancora spento nei cuori degli italiani). Questo scritto da un uomo del 1345.
Ma andiamo avanti...
Machiavelli? Visse tra il 1469 e il 1527 ovvero 3 secoli prima dell'unità d'Italia.
Eppure ne "Il Principe" troviamo un capitolo che non lascia adito a dubbi d'ogni sorta: "Esortazione a pigliare l'Italia e a liberarla dalle mani dei barbari" (Exhortatio ad capessendam Italiam in libertatemque a barbaris vindicandam). Definì la causa dell'unità d'Italia "iustizia grande", ricordò le virtù dei vari eserciti italiani contro i barbari (spagnoli, francesi ecc.).
Ma continuiamo... Chi ritroviamo in quel secolo? Francesco Guicciardini.
Scrisse tra il 1537 e il 1540 "La Storia d'Italia" in venti poderosi volumi.
Leggi bene che afferma: <<Ma le calamità d'Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora lo stato suo, e insieme le cagioni dalle quali ebbeno l'origine tanti mali) cominciorono con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini quanto le cose universali erano allora piú liete e piú felici. Perché manifesto è che, dappoi che lo imperio romano, indebolito principalmente per la mutazione degli antichi costumi, cominciò, già sono piú di mille anni, di quella grandezza a declinare alla quale con maravigliosa virtú e fortuna era salito, non aveva giammai sentito Italia tanta prosperità, né provato stato tanto desiderabile quanto era quello nel quale sicuramente si riposava l'anno della salute cristiana mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e prima e poi furono congiunti>>.
Dunque Guicciardini fa risalire la crisi italiana alla caduta dell'impero romano.
Andiamo avanti e spostiamoci nel Settecento. Troviamo altri due protagonisti: Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo.
Alfieri scrisse il "Misogallo" (1793), "misein" in greco significa odiare, e i Galli stanno ad indicare i francesi.
Spicca un odio particolare verso la Francia, auspica che il dominio politico e culturale della Francia possa spingere il popolo italiano ad assumere una coscienza nazionale, a difendere la propria libertà e la propria individualità; ciò lo induce ad esprimere la speranza che un giorno l'Italia risorga "virtuosa, libera e una". Il poeta indossa le vesti di un vate della rinascista italiana ed abbraccia in toto l'idea di Nazione in antitesi al cosmopolitismo illuminista.
E mancavano ancora 68 anni all'unità d'Italia!
Foscolo non fu di meno. Basta leggere "Il colloquio con Parini" nello "Jacopo Ortis" per accorgesene.
Nella sua maggiore opera "I Sepolcri", Foscolo non potè essere più esplicito: "Ma piú beata che in un tempio accolte serbi l'itale glorie, uniche forse da che le mal vietate Alpi e l'alterna onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t' invadeano ed are e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi intelletti rifulga ed all'Italia, quindi trarrem gli auspi
".


In pratica afferma che le tombe dei grandi precedentemente menzionati (Galileo, Petrarca, Machiavelli; Alfieri ecc.) sono le glorie del passato, forse le uniche rimaste all'Italia da quando i confini delle Alpi mai difesi e la legge ineluttabile delle sorti umane (che ora innalza i popoli ora li fa decadere) hanno fatto si che gli stranieri la spogliassero delle armi, della ricchezza, della sua religione, della libertà nazionale, e, tranne le memorie del passato, di tutto.
Concludo con Alessandro Manzoni, il quale spicca sopra tutto il suo appoggio ai moti rivoluzionari per l'unità d'Italia.
Ma il suo canto più spiccatamente "nazionalista" lo ritroviamo nella "Morte di Adelchi-atto III": "Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti, Dai boschi, dall'arse fucine stridenti, Dai solchi bagnati di servo sudor, Un volgo disperso repente si desta; Intende l'orecchio, solleva la testa Percosso da novo crescente romor".


Secondo la concezione materialista di molti, si pensa erroneamente che per essere italiani ci voglia la Patria. Ma nella concezione spirituale si è italiani innanzitutto dentro, si è italiani di spirito!
E, comunque sia, l'Italia di allora seppur frammentata era una diretta discendente dell'antica grandezza romana.
L'imper romano era l'elemento unificatore, i vari Machiavelli, Dante, Petrarca ecc. continueranno a sentirsi romani.
Quando ha inizio l'Italia? Alcuni storici dicono quando Augusto creò uno Stato federale e divise l'Italia in 11 regiones che grosso modo corrispondono a quelle odierne.
Specie sotto Augusto (ma anche prima) le varie realtà antropologiche si sentivano popolo della stessa Penisola e Rutilio Namaziano disse: "Fecisti Patriam, et multis gentibus in unam" difatti i romani chiamavano "barbari" tutti tranne i popoli italici (casualità?).


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