Consecutio temporum retta da condizionale
Moderatore: Cruscanti
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Consecutio temporum retta da condizionale
Nelle regole della consecutio temporum, vorrei che mi si spiegasse come gestire i tempi nella subordinata di una proposizione retta dal modo condizionale, col fine di discriminarne le valenze temporali. Grazie.
Qualcosa s’era detto qui. Ma forse potrebbe rendere piú esplicita la sua richiesta fornendo qualche esempio di frase?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco, La ringrazio davvero molto; nel rimando che mi ha indicato ho potuto fugare il dubbio sull'obbligo dell'uso del tempo del congiuntivo relativo al condizionale della reggente.
Esempi di ciò che mi ha richiesto possono essere i seguenti, dove: 1, 2 e 3 sono dipendenti da una reggente di tempo presente, e, rispettivamente, in relazione al contempo, al passato e al futuro; mentre 3, 4 e 5 dipendenti da una reggente di tempo passato e in dipendenza temporale come testé relazionati:
1) Vorrei che tu mi amassi [o "...che tu mi ami"],
2) Vorrei che tu mi avessi amato [o "...che tu mi abbia amato"],
3) Vorrei che tu mi amerai;
4) Avrei voluto che tu mi amassi,
5) Avrei voluto che tu mi avessi amato,
6) Avrei voluto che tu mi avresti amato.
A questo punto:
per prima cosa, la correlazione temporale di queste frasi è giusta?
Poi, il congiuntivo imperfetto (il "che tu mi amassi" di qui) può effettivamente essere subordinato sia ad una reggente al condizionale presente in rappporto di contemporaneità sia ad una reggente al condizionale passato col medesimo tipo di rapporto temporale?
Esempi di ciò che mi ha richiesto possono essere i seguenti, dove: 1, 2 e 3 sono dipendenti da una reggente di tempo presente, e, rispettivamente, in relazione al contempo, al passato e al futuro; mentre 3, 4 e 5 dipendenti da una reggente di tempo passato e in dipendenza temporale come testé relazionati:
1) Vorrei che tu mi amassi [o "...che tu mi ami"],
2) Vorrei che tu mi avessi amato [o "...che tu mi abbia amato"],
3) Vorrei che tu mi amerai;
4) Avrei voluto che tu mi amassi,
5) Avrei voluto che tu mi avessi amato,
6) Avrei voluto che tu mi avresti amato.
A questo punto:
per prima cosa, la correlazione temporale di queste frasi è giusta?
Poi, il congiuntivo imperfetto (il "che tu mi amassi" di qui) può effettivamente essere subordinato sia ad una reggente al condizionale presente in rappporto di contemporaneità sia ad una reggente al condizionale passato col medesimo tipo di rapporto temporale?
Prego.francescofree ha scritto:Marco, La ringrazio davvero molto...

La seconda opzione della frase 2 non è corretta: qui è possibile solo il congiuntivo trapassato, perché ci si riferisce a un’azione irrealizzata e ormai irrealizzabile. Non è accettabile neanche la 3: il condizionale della reggente è incompatibile col futuro, ci vuole per forza il congiuntivo (e siccome il congiuntivo è privo di futuro, si usa l’imperfetto o il presente in sua vece: Vorrei che tu mi amassi/ami [un giorno, nel futuro]). Com’è impossibile avere il futuro in questo tipo di frase, cosí non è ammesso il condizionale (tranne in enunciati in cui esprime il futuro del passato: Avrei aspettato fino a quando sarebbe arrivato), per cui è inaccettabile la frase 6 (grammaticalmente e semanticamente).francescofree ha scritto:A questo punto:
per prima cosa, la correlazione temporale di queste frasi è giusta?
In Avrei voluto che tu mi amassi mi sembra che il rapporto possa essere sia di contemporaneità (Avrei voluto [quel giorno] che tu mi amassi [quel giorno]), sia di posteriorità (Avrei voluto [quel giorno] che tu mi amassi [per sempre]).francescofree ha scritto:Poi, il congiuntivo imperfetto (il "che tu mi amassi" di qui) può effettivamente essere subordinato sia ad una reggente al condizionale presente in rappporto di contemporaneità sia ad una reggente al condizionale passato col medesimo tipo di rapporto temporale?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Di nulla! 
L’uso dei tempi è forse la parte piú difficile della grammatica delle lingue, perché di là dalle costrizioni ferree e inderogabili (del tipo *Voglio che vieni al posto del solo corretto Voglio che tu venga), la scelta (quand’è ammessa) dei modi e dei tempi consente spesso sottili sfumature semantiche.

L’uso dei tempi è forse la parte piú difficile della grammatica delle lingue, perché di là dalle costrizioni ferree e inderogabili (del tipo *Voglio che vieni al posto del solo corretto Voglio che tu venga), la scelta (quand’è ammessa) dei modi e dei tempi consente spesso sottili sfumature semantiche.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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