«Marco di pasticceria ‹ne› capisce»

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Moderatore: Cruscanti

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Daniele
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«Marco di pasticceria ‹ne› capisce»

Intervento di Daniele »

Il signor Antonio chiacchiera con una sua amica.
«Volevo raccontarti come sta andando la pasticceria che ho rilevato, ma di questo ne parleremo dopo.»

La frase pronunciata dal signor Antonio è scorretta. (Lo è, vero?) Si dice: di questo parleremo dopo.

Ma il signor Antonio prosegue.
«Prima volevo dirti che ho assunto Marco.»
«Davvero?» interveiene l'amica, «E perché?»
«Perché lui di dolci ne capisce! Dovresti assaggiare i suoi cannoncini!»

Lui di dolci ne capisce non sarà una frase elegante, ma anche se mi pare equivalente alla prima non mi pare scorretta. Lo è? E se le due frasi sono diverse, qual è la differenza?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Nella prima frase abbiamo un ‘ne’ di ripresa, tipico della lingua parlata (e quindi evitato nello scritto sorvegliato); nella seconda, il ‘ne’ appartiene quasi al verbo, come un ‘capirne’ (vedi ‘intendersene’), e in effetti la soppressione del ‘ne’ appare marginalissima, se non addirittura agrammaticale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Eh già, eh già, la differenza sta nel verbo. Pensi che volevo scrivere: lui di dolci se ne intende; ma cercando una frase per quanto possibile simile alla prima, ho usato capire invece di intendersene.
Come sempre: grazie!
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

A supplemento di quanto già detto da Marco, consiglierei di limitare quelle espressioni solo all'oralità o, al massimo, alla mimesi scritta dell'oralità.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Daniele
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Iscritto in data: sab, 15 dic 2007 23:18

Intervento di Daniele »

Riprendo questo filone di quasi tre anni fa (!) perché non credo di capire bene il suggerimento di Incarcato. Leggendo dei dialoghi per un cartone animato trovo queste battute:

Di lui ce ne occuperemo dopo.
Di lui che ne facciamo?
A lui ci penso io.


La prima battuta mi sembra inaccettabile, mentre la seconda e la terza non mi danno così fastidio, e Marco mi ha spiegato perché.
In un dialogo per un cartone animato non scriverei mai, neanche nel caso di mimesi scritta dell'oralità,
di lui ce ne occuperemo dopo,
soprattutto per il timore di diffondere un uso scorretto della lingua. Forse lo farei solo sottolineando l'ignoranza di un personaggio, che dovrebbe però usare un linguaggio complessivamente molto basso.
La seconda e la terza battuta invece non mi paiono scorrette. Anzi, mi suonerebbe strano leggere o sentire:
Di lui che facciamo?
Che è poi ciò che, mi pare, scriveva Marco1971.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La frase Di lui[,] ce ne occuperemo dopo non è scorretta, caro Daniele. È una banale dislocazione a sinistra con ripresa, come in Il caffè, l’ho già preso, Di questo, non ne so nulla, tutte formulazioni della lingua parlata.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Daniele
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Iscritto in data: sab, 15 dic 2007 23:18

Intervento di Daniele »

Caro Marco,
mi permette un'esclamazione giovanilistica in stile Faccialibro?
AAAARRGGHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Lei non fa che distruggere convinzioni che mi porto dietro da anni! Dunque, d'ora in avanti, quando al telegiornale sentirò dire:
"Abbiamo appena ricevuto una notizia sull'andamento della votazione, ma di questo ne parleremo dopo."
non dovrò più storcere il naso in una smorfia di disgusto come ho fatto fino ad oggi? :cry: :cry: :cry: :evil: :evil: :cry: :cry: :cry:
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

È chiaro, caro Daniele, che Di questo parleremo dopo senza ne è italiano piú elegante; è di nuovo una questione di registro...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Come sempre, ritengo utile portare l’esemplificazione letteraria. Mi limito a esempi antichi per dimostrare come questo ne da sempre sia nella nostra lingua (e si noti che in due casi lo troviamo in un dialogo).

– Io vi fo certi che io so chi costei, che io ho tolto, è stata: e so che, s’ella non mutasse modo, io averei mal fatto; ma con la grazia di Dio io credo far sì che con meco ella non fia com’ella è stata, ma fia tutto il contrario; e però di questo non ne prendete più pensiero che me ne prenda io. (Sacchetti, Trecentonovelle)

Però bisogna, benché difficil sia, circa questo tener, come ho detto, la manera del nostro messer Roberto, che ognun contrafà, e non senza pungerl’in quelle cose dove hanno diffetti, ed in presenzia d’essi medesimi; e pur niuno se ne turba né par che possa averlo per male; e di questo non ne darò esempio alcuno, perché ogni dì in esso tutti ne vedemo infiniti. (Castiglione, Il libro del Cortegiano)

– Mia madre, se voi e lui ne sète contenti, di questo non ne son contenta io: ditemi, che volete che io facci di quel vecchiaccio tutto canuto, puzolente, sucido, sogliardo, calloso, ritroso che possi rómpare il collo egli e chi mai lo messe in questa casa? (Fortini, Le giornate delle novelle dei novizi)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Località: Brindisi

FT

Intervento di Luca86 »

Non ho potuto fare a meno di notare che, nell'esempio riportato dal buon Marco riguardante il Sacchetti, i pronomi personali sono sottintesi di rado; ciò è attribuibile allo stile dell'autore o allo stile dell'epoca?
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Credo che, piú che stile, fosse l’uso corrente dell’epoca.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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