Provocativo
Moderatore: Cruscanti
Provocativo
Nella rubrica quindicinale di Eugenio Scalfari sull'Espresso trovo l'aggettivo provocativo.
Non basta provocatorio?
L'ennesimo anglismo superfluo? Mi stupisce sulla penna di Scalfari, che solitamente scrive in ottimo italiano.
Non basta provocatorio?
L'ennesimo anglismo superfluo? Mi stupisce sulla penna di Scalfari, che solitamente scrive in ottimo italiano.
Bisognerebbe leggere quanto Scalfari scrive: potrebbe andare anche provocativo, per esempio nell'ambito d'un paragone o d'una metafora.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Provocativo è attestato sin dal 1320 circa in italiano, e l’usò anche Manzoni nei Promessi Sposi. Non è dunque, in origine, un anglicismo, bensí l’assimilazione del latino tardo provocativu(m).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Riporto il passo scalfariano (L'Espresso, 30 ottobre 2008, p. 218).
Rileggendo bene, provocatorio non va. Ma provocativo che vuol dire in questo contesto?[...] Una mostra su Cesare è soprattutto provocativa, le sue gesta militari e politiche sono provocative, ma soprattutto lo è la sua vita, la sua scrittura, i suoi pensieri per quel tanto che possiamo coglierli dal suo multiforme vissuto [...].
Abbiamo la scelta tra l’accezione 2 e la 7 del Battaglia:
provocativo 2. Che muove a un sentimento o a una passione.
7. Che tende a suscitare intense reazioni o violente polemiche; che ha contenuto fortemente critico (un tipo di produzione letteraria).
Propendo per la 7...
provocativo 2. Che muove a un sentimento o a una passione.
7. Che tende a suscitare intense reazioni o violente polemiche; che ha contenuto fortemente critico (un tipo di produzione letteraria).
Propendo per la 7...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Sí, in questo caso provocatorio non andava bene, dato che qui Scalfari non vuole dire che Cesare fu un personaggio che creava provocazione intesa come ‘irritazione’ (dal De Mauro), quanto piuttosto suggerisce un profilo di Cesare come uomo controverso, su cui né i contemporanei né i moderni lettori delle sue gesta, sono riusciti a giungere a un punto di vista conclusivo. Pertanto è l'accezione 7 citata da Marco che meglio s'attaglia qui.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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