Marco1971 ha scritto:Sí, si tratta di una novità: questo costrutto è recente…
Di questo siamo già al corrente: non sarebbe stata una vera e propria «novità» (virgolettata) se la trattazione della GGIC non si fosse rivelata —da ultimo— semplicemente errata, poiché il
si impersonale con clitico oggetto non sarebbe stato che un tipo [nemmeno troppo] particolare di
si impersonale. Invece, come abbiamo appena appurato grazie all’intervento di Infarinato, ambo gli esempi (581) (582) sono casi di
si passivo, quindi non convertibili in
si impersonale con clitico oggetto (come a torto sostiene la suddetta grammatica).
Sia chiaro: ho peccato di fiducia nell’esposizione della GGIC (beh, che motivo avrei avuto di dubitare del contenuto?), poiché, poste le premesse condivise dagl’interlocutori —ovvero l’affidabilità del brano
da lei riportato per dirimere la questione—, mi sono limitato ad arguire con coerenza.
Si è poi soffermato a confutare la (già confutata) parentesi, saltando a piè pari il primo capoverso del mio intervento: avrebbe potuto perlomeno confrontarsi col precedente di Petrocchi, che —come lei con Eco— riprese la «pecca» linguistica del Manzoni, reo di aver impiegato una costruzione oggi [come allora]
normale (ancorché aborrita dai puristi).
Marco1971 ha scritto:Non tutta la letteratura ha lo stesso peso, e Umberto Eco – visto che si parla di lui – non è immune da pecche linguistiche. Ma anche questo, secondo ogni evidenza, è scherzo o follia.
Anche qui, non ha risposto alla domanda esplicita: quanti decenni conta il suo Novecento? Eco mi è sembrato un esempio di letteratura alta (e fortunata e riconosciuta)… non è cosí?
Marco1971 ha scritto:Senza probabilmente. Non mi son fatto capire: con automatismo intendo il ricorso alla stessa formulazione sintattica ogni volta che vi siano diverse possibilità di scelta. La spontaneità, nel parlante medio, tende appunto a un appiattimento dovuto a formule piú o meno fisse e ripetute meccanicamente per abitudine.
Ora si è fatto capire: ma siamo altresí consapevoli che la critica generica
dell’abuso non può essere un’argomentazione contro
l’uso di un particolare costrutto, poiché essa è applicabile anche alla piú antica, radicata e elegante delle costruzioni sintattiche.
Marco1971 ha scritto:Il buon gusto e l’eleganza derivano dalla lettura, dall’esperienza, dalla maturità, dalla sensibilità, e variano sensibilmente da persona a persona; non vi sono argomentazioni atte a «scongiurare» (!) un giudizio tutto mio e che non ho mai imposto a nessuno.
Ce ne sono invero che possono far ricredere su un giudizio, soprattutto sui
pregiudizi. Ovviamente non parlo del suo, notamente granitico. È però vero che esistono antipatie per cosí dire «tattili», ma, affinché esse siano trasmissibili, anche solo nella forma del consiglio, necessitano di un buon apparato di argomentazioni.
Marco1971 ha scritto:È mio diritto esprimere un parere su cose delle quali non sono del tutto digiuno.
Quando lei scrive (testualmente) «Meglio evitare questi clitici riempitivi» fa della proscrizione senz’altro argomento che il suo gusto. Io ho piuttosto cercato di dimostrare, col richiamo a precedenti celebri, che l’estraneità alla piú «genuina» tradizione letteraria —a maggior ragione se la si chiude arbitrariamente a D’Annunzio († 1938), cioè piú di settant’anni fa— non è [realisticamente] un criterio stringente per il buon uso della lingua: andrebbe tenuto conto della prosa degli uomini di cultura dal secondo dopoguerra in poi, come appunto di un Eco, di un Bodei o di un Canfora. Cosa che —mi pare— qui non si vuol fare.
Marco1971 ha scritto:Concludo citando, una volta ancora, questo passo di Giovanni Nencioni, studioso che non si può certo accusare d’ignoranza o di cattivo gusto:
È l’osservazione di un insigne linguista, ma pur sempre vecchia tre lustri. Ben venga la
variatio, a evitare l’abuso, e ottime tutte le proposte di sostituzione. Non parlerei tuttavia di macchinosità: ricordate la condanna dei francesismi sintattici «al di là di», «è questo che ci suggerisce…», «è questo a suggerirci…»? o del summenzionato «lo è»? o ancora di
stare + cong.? Sono oggi tutte forme
normali, che nessuno si sognerebbe di proscrivere, né di tacciare d’ineleganza, soprattutto se funzionali all’espressività.