Ancora sull’esse tra vocali

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

Moderatore: Cruscanti

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Zabob
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Intervento di Zabob »

È banale, ma credo indiscutibile: ci "frega" il fatto di avere un unico grafema (s) per rappresentare due fonemi. In rumeno, per dire, i grafemi 's' e 'z' equivalgono per forma e pronuncia ai corrispondenti simboli IPA. Ciò previene (e avrebbe senz'altro prevenuto anche in italiano) confusioni e derive fonetiche.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Perché mai, nella pronuncia tradizionale, chiuso vuole la 's' sorda /s/ mentre deluso, illuso e specialmente concluso e recluso (che con "chiuso" sono imparentati) vogliono la 's' sonora /z/?
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Perché chiuso è parola di tradizione orale ininterrotta; prendono la sonora le voci dòtte.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:Perché chiuso è parola di tradizione orale ininterrotta; prendono la sonora le voci dòtte.
Non solo: uso /-z-/, ad esempio, è una voce popolare. Diciamo che è vero il contrario: possono avere /s/ intervocalica solo le parole di tradizione orale ininterrotta (o derivate sincronicamente da altre parole italiane [dòtte o no] con l’aggiunta di affissi di tradizione orale ininterrotta). È quindi questa una condizione necessaria, ma non sufficiente.

La sonorizzazione dell’s intervocalica s’inserisce nel quadro di quella moda settentrionaleggiante sonorizzante (di ieri come di oggi :roll:) per cui in fiorentino/toscano (e quindi in italiano) si è avuto ago (< ACU[M]) accanto a òca (< AUCA[M]), ladro (< LATRO) allato a ótre (< ŬTRE[M]), cagione [(-ʤ- <) -ʒ- < -zj- < -sj-] (< (OC)CASIONE[M]) accanto a cacio [(-ʧ- <) -ʃ- < -sj-] (< CASEU[M]), etc.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

In ligure dopo AU non c'è sonorizzazione, si dice infatti oca, pocu/poucu < PAUCU, rocu < RAUCU
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

u merlu rucà ha scritto:In ligure dopo AU non c'è sonorizzazione, si dice infatti oca, pocu/poucu < PAUCU, rocu < RAUCU
Caratteristica comune a tutta l’Italia settentrionale. Cito dalla Grammatica storica del Rohlfs (§ 197):

Dopo au, k è rimasta conservata (cfr. lo spagnolo oca, poco, il provenzale auca), per esempio in tutta l’Italia settentrionale òca, il ligure pocu, il piemontese e lombardo pòk.
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Intervento di Infarinato »

È vero: oca è un esempio poco felice, anche se, ad esempio, nei dialetti toscani occidentali [antichi] la sonorizzazione delle occlusive intervocaliche era assai piú estesa che in fiorentino. Qualche esempio fra i tanti possibili: aguila e duga a Pisa e Lucca, fadiga a Lucca e Siena, Mighele a Pisa, oga a Pisa, Lucca e Pistoia, pogo a Pisa, Lucca, Pistoia e Prato, etc.: cfr., e.g., Arrigo Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, «Il Mulino», 2000, p. 295.

In realtà, per ritrovare l’esito originario di -C(R)- intervocalico bisogna scomodare i toponimi, essendo la sonorizzazione in [-ɡ(r)-] stata praticamente sistematica.

A tal riguardo (e tornando contemporaneamente «a bomba»), val forse la pena citare il seguente illuminante passo di Vittorio Formentin, che riassume diversi risultati del Castellani e conclude fornendo un’interessante chiave di lettura per la particolare estensione della sonorizzazione dell’s intervocalica:
Vittorio Formentin in [url=http://www.treccani.it/enciclopedia/fonetica-storica_%28Enciclopedia_dell%27Italiano%29/][i]Enciclopedia dell’Italiano [/i](2010)[/url] ha scritto:[L]e occlusive sorde intervocaliche e tra vocale e r di regola si conservano, com’è indicato dalla toponomastica (➔ toponimi), che costituisce lo strato fonetico locale piú genuino (/k/: Dicomano < decumanum; /p/: Ripoli < rīpam; /t/: Roveta < rŭbēta; /tr/: Bàlatro < barat(h)rum, ecc.). Si noti che la cosiddetta ➔ gorgia toscana, ossia la spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche ([ˈfɔːho] «fuoco», [ˈraːɸa] «rapa», [ˈpraːθo] «prato»), non è testimoniata con sicurezza prima del XVI secolo. D’altro canto, i vari casi di sonorizzazione del fiorentino antico ereditati dalla lingua nazionale (lago, luogo, riva, padre, madre, strada, ecc.) sono stati spiegati plausibilmente come il risultato di un’influenza, d’età molto antica (V–VI sec.), del tipo linguistico settentrionale.

La stessa origine andrà riconosciuta alla sonorizzazione della s intervocalica ([ˈmuːzo], [paˈeːze], [ˈviːzo], ecc., di contro a [ˈkaːsa], [ˈnaːso], suffisso -oso [ˈoːso], ecc.), con la differenza che, in questo caso, la «variante sonora è penetrata piú profondamente nel tessuto linguistico toscano, e compare in buona parte dei nomi di luogo» (Castellani 2000: 136), forse perché (Formentin 2002: 299) nel caso della sibilante, supposta la sorda come originariamente esclusiva (come nel Sud), non vi era l’argine di una correlazione di sonorità da tutelare, come invece per le occlusive (/k/ ~ /g/, ecc.).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

A questo riguardo, vorrei chiedere lumi sulla pronuncia dell’s in francese. A differenza degli altri etnici derivati dall’aggiunta del suffisso -ese, la sibilante è in questo caso sonora: france[z]e ~ ingle[s]e. Ho pensato che ciò sia dovuto al fatto che francese non è una coniazione italiana, ma l’adattamento del fr. ant. franceis; eppure, almeno stando alla nota etimologica del Treccani, anche inglese è un prestito francese: fr. ant. angleis. Come si può spiegare allora questa sonorizzazione, secondo voi?
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

D’altro canto, i vari casi di sonorizzazione del fiorentino antico ereditati dalla lingua nazionale (lago, luogo, riva, padre, madre, strada, ecc.) sono stati spiegati plausibilmente come il risultato di un’influenza, d’età molto antica (V–VI sec.), del tipo linguistico settentrionale.
Trovo strana questa presunta influenza, anche perché tocca parole chiaramente 'popolari' (anche se padre in toscano deve essere decisamente meno diffuso di babbo se non erro).
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ferdinand Bardamu ha scritto:A differenza degli altri etnici derivati dall’aggiunta del suffisso -ese, la sibilante è in questo caso sonora: france[z]e ~ ingle[s]e. Ho pensato che ciò sia dovuto al fatto che francese non è una coniazione italiana, ma l’adattamento del fr. ant. franceis; eppure, almeno stando alla nota etimologica del Treccani, anche inglese è un prestito francese: fr. ant. angleis. Come si può spiegare allora questa sonorizzazione, secondo voi?
In toscano tradizionale si diceva francesco e inghilese. Mi sembra plausibile supporre che la prima parola, sostituita completamente, abbia preso un suffisso «nobile», d'origine romanza occidentale; per quanto riguarda la seconda (che aveva, ovviamente, fin dall'inizio -/ese/) si è trattato solo della caduta di una vocale.
u merlu rucà ha scritto:Trovo strana questa presunta influenza, anche perché tocca parole chiaramente 'popolari'
Difficile trovare parole più popolari di ago, spiga e codesto, eppure tutte quante hanno la sonora rispetto all'attesa consonante non sonora. È chiaro, la maggioranza delle parole di tradizione ininterrotta hanno la consonante «sorda», però le eccezioni sono in numero davvero notevole.
u merlu rucà ha scritto:anche se padre in toscano deve essere decisamente meno diffuso di babbo se non erro
Sì, tra l'altro mi pare che i patrioti còrsi vengano ancora chiamati localmente i babbi di a patria, con un uso «alto» del termine babbo, oggi percepito come familiare in Toscana.
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Marco1971 ha scritto:Perché chiuso è parola di tradizione orale ininterrotta; prendono la sonora le voci dòtte.
Vediamo se ci sono: per lo stesso motivo "riso" ha la sorda ma "deriso" la sonora.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

In questo caso, sí… ma abbiamo già detto che è vera semmai la regola inversa, che è pero condizione solo necessaria e non sufficiente. ;)
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Ed è per questo che distendere, pur segnalata come "voce dotta " dallo Zingarelli, al p.p. fa /dis'teso/ con la sorda? quel dis- è un "affisso di tradizione orale ininterrotta"?
P.S.: Quando non sono sicuro pronuncio una 's' poco sonorizzata, diciamo semi-sonora. Faccio male? è prevista dalla fonetica?
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Zabob ha scritto:Ed è per questo che distendere, pur segnalata come "voce dotta " dallo Zingarelli, al p.p. fa diste/s/o con la sorda?
Sí, perché è chiaramente avvertita la composizione con tendere.
Zabob ha scritto:Quando non sono sicuro pronuncio una 's' poco sonorizzata, diciamo semi-sonora. Faccio male?
Sí. :evil:
Zabob ha scritto:…è prevista dalla fonetica?
Dalla fonetica generale, sí; dall’inventario fonetico dell’italiano normale, no.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Zabob ha scritto:In rumeno, per dire, i grafemi 's' e 'z' equivalgono per forma e pronuncia ai corrispondenti simboli IPA. Ciò previene (e avrebbe senz'altro prevenuto anche in italiano) confusioni e derive fonetiche.
Allora come avremmo scritto /ʦ/ e /ʣ/? Con ç e z (tagliata), come in alcuni testi italiani antichi (il rumeno ţ non fa parte della nostra tradizione ortografica, che ha la sua importanza)?
Zabob ha scritto:Ed è per questo che distendere, pur segnalata come "voce dotta " dallo Zingarelli
Lo Zingarelli (perlomeno l'undicesima edizione, quella che ho io) è poco attendibile per quanto riguarda le «voci dotte», di tradizione interrotta: considera tali anche lupo e punto, tanto per dirne un paio.
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