«Limerence»

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Decimo
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«Limerence»

Intervento di Decimo »

Vengo a conoscenza oggi —da un articolo di David Brooks tradotto su Repubblica— dell’anglicismo limerence (e del paronimo limerent), coniato dalla psicologa Dorothy Tennov per descrivere «lo stadio finale, quasi ossessivo, dell’amore romantico», chiosato in italiano perlopiú con «ultrattaccamento».

Riguardo all’etimo, io, prima d’ogni ricerca, avevo pensato seriosamente a un composto [alquanto libero] di limes («limite») e haerere («essere attaccato»), sul modello di adherence, coherence o inherence —con buona pace dell’acca—, come a suggerire un «attaccamento limite». In realtà l’autrice, come ammette, fu spinta piú da criteri estetici che glottotecnici (preferendo il [felice] neologismo arbitrario a amorance).

S’incoraggino gli adattamenti limerenza e limerente, sperando che qualche buono scrittore dia ad essi dignità letteraria.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

La parola è senz’altro esteticamente ben trovata. Il mio bisogno di sicurezza, però, mi spinge a cercare un etimo meno capriccioso di quello fornito dall’inventrice: limes *hearentia (non credo sia attestato il sostantivo deaggettivale, ma non ho la possibilità di controllare ora) è una buona ipotesi, acca a parte.

P.S. Per limerent, piú che di paronimo avrei parlato di derivato. Il vocabolario in linea Treccani, alla voce paronimo, dice: «Nella terminologia della grammatica classica, parola che presenta una lieve modificazione di forma rispetto a un’altra […] e, quindi, secondo Aristotele e poi spec. presso i grammatici latini, con sign. più generico, parola derivata». Tecnicamente, perciò, la tua non sarebbe un’inesattezza; sennonché paronimo è usato piú spesso per definire una «[p]arola o espressione quasi omofona ad un’altra, dalla quale differisce però per il significato» (Dizionario di linguistica, diretto da Gianluigi Beccaria, Torino, Einaudi, 2004, s.v.). Il sostantivo derivato, paronimia, descrive quindi il fenomeno per il quale le persone di media cultura possono scambiare due coppie di paronimi (convalescenza/coalescenza, lascito/lasso, ecc.), postulando per essi una origine comune. Ecco perché, per scansare ambiguità, avrei scelto piuttosto derivato, cioè «n linguistica, vocabolo che trae origine da una forma preesistente» (Treccani, s.v.).
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Decimo
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Intervento di Decimo »

Ti ringrazio della precisazione, caro Ferdinand. :)

P.S. Per haerentia io avrei parlato piuttosto di «deverbale».
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Hai ragione, per haerentia: avevo considerato solo la funzione aggettivale (secondaria, lessicalizzata) di haerens-haerentis, dimenticando quella (principale) di participio presente. :)
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