«App»
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«App»
La parola app è, in inglese, l'abbreviazione informale di applicazione, che, in àmbito informatico, è sinonimo di programma. La sua diffusione si deve, in particolare, all'uso che ne ha fatto l'azienda statunitense Apple, in riferimento ai programmi disponibili per i suoi prodotti informatici (credo che non sia estranea a questa scelta la somiglianza fra app e il nome della marca).
Si potrebbe riportarla a una forma pienamente italiana: appli, un'appli. Per quel che vale: è impossibile influenzare le scelte di un'azienda privata. Si può però provare a persuadere gli utenti. Che ne pensate?
Si potrebbe riportarla a una forma pienamente italiana: appli, un'appli. Per quel che vale: è impossibile influenzare le scelte di un'azienda privata. Si può però provare a persuadere gli utenti. Che ne pensate?
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Esistono parole italiane terminanti in -app?Freelancer ha scritto:Esistono parole italiane terminanti in -ppli?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Scartando il nipplo, i nippli, esistono in italiano 43 parole uscenti in -plo (-pli al plurale) con una sola ‘p’. Ecco quelle piú note: centuplo, decuplo, multiplo, peplo, periplo, templi (plurale di tempio), triplo, ecc.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Oddio, una ce ne sarebbe (se non fosse per quella i accentata): supplí.Freelancer ha scritto:Esistono parole italiane terminanti in -ppli?

(A scanso di equivoci, preciso che la mia è solo un'innocente battuta, nient'altro.)
Ultima modifica di Luca86 in data lun, 08 ago 2011 17:52, modificato 1 volta in totale.
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Mi avete convinto: appli è una legittima abbreviazione di applicazione. Non mi avete invece persuaso per quanto riguarda la necessità di usarla in luogo di app. Se non voglio usare il prestito integrale, preferisco la parola italiana intera che non sento alcun bisogno di abbreviare. In genere, non sento il bisogno di abbreviare le parole italiane. Ma lei può certamente cercare di persuadere altri utenti. In bocca al lupo!
Perché app è un anglicismo incompatibile con la fonotassi italiana genuina, mentre appli vi si inquadra a pennello. Questo lo sa.Freelancer ha scritto:Non mi avete invece persuaso per quanto riguarda la necessità di usarla in luogo di app.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Lei sa che lo so. Ho detto che non mi avete persuaso sulla necessità di abbreviare la parola italiana per adeguarsi all'inglese. Ma suggerisco che cerchiate di persuadere altri utenti che usano ordinariamente app, a usare appli invece. Io uso applicazione e, ripeto, non sento alcun bisogno di abbreviarla. Quindi per me il problema non si pone. 

Se chiede a qualcuno perché usa un anglicismo al posto d’una parola italiana, nove volte su dieci si sentirà dire: perché è piú breve. Donde l’ottima proposta di Ferdinand di un’abbreviazione come appli. Lei certo rammenterà quanto diceva Bruno Migliorini a proposito di la spiega[zione]. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Non lo rammentavo, ma l'ho riletto or ora. Qui dissento da Migliorini, per quel che vale. A me spiega non piace, non vedo alcun motivo di abbreviare spiegazione. In genere, considero la tendenza all'abbreviazione per cercare di adeguarsi all'inglese una forma di scimmiottamento ben più fastidiosa dell'uso saltuario di prestiti integrali. Questo è il mio gusto.
A scuola lei non era uso parlare dei professori dicendo prof (o, come un tempo si diceva a Firenze, ora non so, profe)? Serianni, in uno dei primi numeri della Crusca per voi, ricordava come il parlante pienamente padrone della lingua sia quello che sa passare dalla lettura pubblica in un italiano privo d’accento alla chiacchierata in famiglia colorata di regionalismi. Queste abbreviazioni s’inscrivono appunto nell’àmbito d’un italiano colloquiale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Io non ho affatto affermato che appli deve necessariamente essere usata in luogo di app, ma che potrebbe essere una soluzione per chi volesse abbreviare applicazione senza ricorrere a un anglicismo.
Forme abbreviate esistono anche in italiano, senza per questo essere per forza sintomo di uno scimmiottamento dell'inglese: auto, foto, moto, ecc. Se lei non sente il bisogno di abbreviare applicazione, e se altri utenti continuano a preferire la forma integrale, tanto meglio. Ma a questo punto siamo nel campo delle preferenze e del gusto personali, come lei giustamente afferma.
Ricordiamoci anche che la pubblicità ha un grande potere (ecco qui uno degli annunci, per chi fosse curioso): cosí, app, da abbreviazione dell'inglese application, rischia quasi di diventare un nome di marca – ammesso che Apple non l'abbia già registrato come tale – agli orecchi di un parlante italiano; un nome la cui origine potrebbe non essere piú trasparente. (Parlo per una personalissima ipotesi, ovviamente.)
Appli, invece, mi pare suggerisca piú chiaramente quale sia la forma intera. E non perché l'abbia proposta io: è addirittura banale nel suo processo di formazione e la potrebbe «inventare» chiunque.
Forme abbreviate esistono anche in italiano, senza per questo essere per forza sintomo di uno scimmiottamento dell'inglese: auto, foto, moto, ecc. Se lei non sente il bisogno di abbreviare applicazione, e se altri utenti continuano a preferire la forma integrale, tanto meglio. Ma a questo punto siamo nel campo delle preferenze e del gusto personali, come lei giustamente afferma.
Ricordiamoci anche che la pubblicità ha un grande potere (ecco qui uno degli annunci, per chi fosse curioso): cosí, app, da abbreviazione dell'inglese application, rischia quasi di diventare un nome di marca – ammesso che Apple non l'abbia già registrato come tale – agli orecchi di un parlante italiano; un nome la cui origine potrebbe non essere piú trasparente. (Parlo per una personalissima ipotesi, ovviamente.)
Appli, invece, mi pare suggerisca piú chiaramente quale sia la forma intera. E non perché l'abbia proposta io: è addirittura banale nel suo processo di formazione e la potrebbe «inventare» chiunque.
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Serianni parla della capacità di saper usare vari registri secondo la situazione comunicativa, non della necessità di abbreviare una parola italiana per conformarsi alla corrispondente inglese.Marco1971 ha scritto:Serianni, in uno dei primi numeri della Crusca per voi, ricordava come il parlante pienamente padrone della lingua sia quello che sa passare dalla lettura pubblica in un italiano privo d’accento alla chiacchierata in famiglia colorata di regionalismi. Queste abbreviazioni s’inscrivono appunto nell’àmbito d’un italiano colloquiale.
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