L'esito tosco-italiano delle occlusive sorde latine

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Ferdinand Bardamu
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L'esito tosco-italiano delle occlusive sorde latine

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ferdinand Bardamu ha scritto:
Carnby ha scritto:Ma anche in Toscana (e Corsica) padre e madre non sono forme popolari (che sarebbero state patre e matre): si tratta di voci «eleganti» che hanno l'occlusiva sonora «settentrionale».
Mi potrebbe dire di piú sulle forme patre e matre? Ho sempre creduto fossero cultismi e non esiti naturali, di tradizione ininterrotta, di patre(m) e matre(m). Sono ancora usate in qualche area della Toscana e dalle persone piú anziane, oppure sono irremediabilmente arcaiche? E padre e madre, colla loro dentale sonora, a quale influenza si debbono?
Mi rispondo da solo, aprendo un altro filone a partire da questo intervento, perché ho trovato in F. Fanciullo, Introduzione alla linguistica storica, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 180-184, la soluzione ai miei dubbi. Riporto quanto vi si dice per riassunto.

Le occlusive sorde latine in posizione intervocalica (o tra vocale e /r/) pongono un problema perché hanno, in toscano/italiano, esiti sia sordi sia sonori. Graziadio Isaia Ascoli e Wilhelm Meyer-Lübke hanno ipotizzato, senza successo, che ciò sia dovuto a condizionamenti esercitati dal contesto fonico.

Gerhard Rohlfs, invece, sostiene, in maniera piú convincente, che l'esito sordo è schiettamente toscano/italiano, mentre quello sonoro è il risultato dell'influsso galloitalico (dialetti del nord d'Italia) e galloromanzo (provenzale e francese).

Questo influsso, per effetto del prestigio delle parlate galloitaliche e galloromanze, si è poi trasformato in una sorta di regola di sonorizzazione, «estrapolata dalla compresenza in Toscana di forme indigene, con la sorda, e di forme non indigene, con la sonora» (p. 183, op. cit.). Solo con una «normalizzazione» della sonorizzazione si può infatti spiegare l'esistenza accanto a atro dell'allotropo adro, che non si ritrova nello strato ereditario né dei dialetti del Nord né del francese e del provenzale.

Questa compresenza dell'esito indigeno sordo e dell'esito allogeno sonoro si ritrova anche in altri esiti consonantici. Se bacio < BASIU(M), camicia < CAMĪSIA(M), bruciare < *BRUSIĀRE sono prettamente tosco-italiani, cagione < OCCASIŌNE(M), pigiare *PI[N]SIĀRE, pigione PE[N]SIŌNE(M) sono galloitalici o galloromanzi.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data ven, 06 gen 2012 16:46, modificato 1 volta in totale.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Si parla spesso di prestigio delle parlate gallo-italiche, per spiegare alcuni tratti non propriamente 'toscani' sia delle parlate vernacolari toscane sia della stessa lingua letteraria . Si tratterebbe, quindi, di influssi molto antichi, perché dal XIV sec. in poi non credo proprio che si possa parlare di prestigio delle parlate gallo-italiche nei confronti del toscano/italiano, ma, caso mai, del contrario.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie a Merlo per la precisazione. L’alternanza fra il tratto sordo e sonoro delle occlusive intervocaliche (o poste tra vocale e erre) può essere spiegata coll’interruzione dell’influenza galloitalica e galloromanza (forse proprio per il venir meno del prestigio del franco-provenzale). Questa interruzione avrebbe portato con sé un conseguente arresto nella diffusione della regola di sonorizzazione e il permanere di forme sincronicamente antitetiche (la scelta fra imperatore e imperadore o fra lito e lido, possibile un tempo, oggi non è piú permessa, perlomeno non in italiano normale) oppure una distinzione lessicale (cfr. stipare ~ stivare).
Bue
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Intervento di Bue »

intervengo da totale profano: perché la sonorizzazione sarebbe solo un fenomeno gallo-romanzo? Mi sembra che sia presente anche in alcune parlate centromeridionali e lo è sicuramente nel romanesco, che lenisce tutte le T e le C intervocaliche scempie (basta sentire un romanesco DOC come Andrew Howe nella pubblicità alla radio in cui chiede a una ragazza, a proposito del dolcetto pubblicizzato: "che llo volevi du?")
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Le rispondo io, da altrettanto totale profano, in attesa d’interventi piú qualificati. In tal caso, non si vuol dire che la sonorizzazione delle occlusive intervocaliche sia un tratto esclusivo delle parlate del Nord Italia o del franco-provenzale (del resto, come dice lei, lo stesso romanesco mostra questa caratteristica, anche se bisognerebbe vedere se ciò sia sempre stato vero diacronicamente); ma piuttosto che la regola di sonorizzazione si sviluppò in un preciso momento storico per via del prestigio di quelle parlate; un prestigio che svaní prima che tutte le occlusive si sonorizzassero.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Il fenomeno di sonorizzazione centromeridionale è differente da quello settentrionale per vari aspetti:
  • è sempre produttivo, mentre quello settentrionale no (in veneto si dice pegora o peora ma non *monidor);
  • non è completo, i foni sono mormorati o semi-sonori, ma (quasi) mai veramente sonori;
  • è produttivo anche in sintassi (il «che llo volevi du?» citato, anche se quella /t/ non è realizzata proprio come [d]).
Tutte queste caratteristiche, a mio avviso, portano a considerare la gorgia toscana come un fenomeno recente, simile alla sonorizzazione centromeridionale, forse sviluppatosi proprio in reazione a questo (tracce di sonorizzazione simile a quella centromeridionale si hanno ancora in Versilia dove si dice, più o meno, «ài gabido» cfr. Devoto-Giacomelli), confermando ancora una volta la piena appartenenza a questo sistema dialettale romanzo.
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Intervento di Infarinato »

Carnby ha scritto:Tutte queste caratteristiche, a mio avviso, portano a considerare la gorgia toscana come un fenomeno recente, simile alla sonorizzazione centromeridionale, forse sviluppatosi proprio in reazione a questo…
Sí, codesta è sostanzialmente la «tesi di Weinrich-Contini», ricordata in Agostiniani & Giannelli (1983) [= Fonologia etrusca, fonetica toscana: il problema del sostrato, a cura di L. Agostiniani & L. Giannelli, Firenze 1983, «Olschki»] e da me riassunta qui.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

In Breve storia della lingua italiana per parole, fascicolo a cura di Paola Marongiu allegato al Devoto-Oli ed. 2002-2003, leggo a pag. 7 (sottolineature mie):

Stesso discorso [l'apporto di termini bellici o riguardanti oggetti d'uso quotidiano] vale per i Longobardi, anche se l'influenza di questo popolo sulla nostra lingua è stata più incisiva, visto che non si limitarono a un'occupazione militare, ma furono autori di una vera e propria conquista che si protrasse per circa due secoli (568-774). A loro, come afferma Devoto, si deve quell'azione unificatrice in virtù della quale fenomeni nuovi, propri dell'Italia settentrionale, si diffusero anche in Toscana: ad esempio il passaggio da sorda a sonora nelle gutturali (lacus > it. lago), nelle dentali (scutum > it. scudo) e nelle labiali; per quest'ultimo caso, esempio illuminante è la forma popolare befana, proveniente da «la (e)pifania» dove p appunto, divenuta intervocalica, si muta in b.

Purtroppo, non viene citato il testo di Devoto in cui si ipotizza un'origine longobarda della sonorizzazione delle occlusive intervocaliche.

Per questo fenomeno Rohlfs indica invece una datazione molto posteriore. Per alcune parole – spada, medesimo, podestà, guidare, medaglia – suggerisce un'origine francese risalente al IX-X secolo (Rohlfs 1966, I p. 288). Per altre, «bisognerà presumere che già in epoca predantesca si siano avuti influssi linguistici di una certa consistenza provenienti dall'Italia settentrionale […] attraverso un'influenza a volte culturale, a volte economica a volte politica, Venezia, Genova, Bologna, Padova e Milano hanno agito sui Comuni toscani con fortissimo prestigio» (ibidem). Siamo dunque in età bassomedievale, quando compaiono i primi esempi d'uso letterario del volgare.

È plausibile secondo voi un'origine longobarda della lenizione intervocalica?
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Mi sembra che il Devoto, più che parlare di origine longobarda dei fenomeni, parli di azione unificatrice, grazie alla quale fenomeni tipici dell'Italia settentrionale si sono diffusi anche in Toscana.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ferdinand Bardamu ha scritto:È plausibile secondo voi un'origine longobarda della lenizione intervocalica?
Mah, è un fenomeno che investe tutta la Romània occidentale e gran parte della Sardegna; oltretutto si tratta di un normalissimo processo di assimilazione di sonorità. Non mi sembra il caso di tirare fuori i longobardi, della cui lingua sappiamo peraltro pochissimo, tranne il fatto che non ha partecipato alla seconda rotazione consonantica (palla ~ balla ecc.).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Per merlu: vero, però il testo citato sopra dice che l'azione unificatrice del longobardo ha permesso la diffusione della sonorizzazione: si suggerisce che questo fenomeno si sia sviluppato appunto fra il VI e l'VIII secolo.

Rohlfs dice, al contrario, che la sonorizzazione è entrata in toscano a partire dal IX-X secolo per effetto del prestigio di alcune città del Nord Italia e della Francia, senza parlare di possibili azioni unificatrici longobarde.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

In questo caso mi pare più realistica l'ipotesi di Rohlfs.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Si parla però di singole parole, per quanto riguarda il toscano. Infatti la lenizione non è generalizzata.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Certamente all'inizio si trattò di prestiti, che portarono alla compresenza di forme con la sorda indigena e con la sonora settentrionaleggiante (es. lido ~ lito, riva ~ ripa). Come scrivevo nel primo intervento, però, dev'essersi creata nel tempo una norma di sonorizzazione – svanita col venir meno del prestigio galloromanzo – che ha permesso a forme di origine dotta come eloquente e eloquenza di diventare, nel toscano occidentale antico, loguente e loguensia.

Ancora piú indicativo dell'instaurarsi di una regola sonorizzante è il lucchese pogo per poco: l'esito settentrionale di [k] tra il dittongo au (poi semplificato) e vocale è infatti sempre [k], es. lombardo pòk, veneto póco.
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Al centrosud le consonanti sono solamente semi-sonorizzate. E non sono fonemi distinti, ma allofoni...

Invece ho sentito diversi fiorentini pronunciare «qui» come /gwi/.

Che sia una traccia della sonorizzazione centro-meridionale rimasta a Firenze, che la gorgia non è riuscita a eliminare?

Oppure attualmente si tende alla sonorizzazione per reazione alla gorgia (e quindi un fenomeno diametralmente opposto a quello trecentesco)?
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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