Mi chiedo quanto sia accettabile, in una prosa polita e formale, un'ipallage del tipo:
s'esprime con una prosa faticosa (
faticosa, in realtà, non è la prosa ma la lettura di quest'ultima),
terminò di scrivere le sue sudate pagine,
le grida della straziante fanciulla o
il vino dell'annacquato padrone.
Stesso discorso per la sinestesia.
Se i suddetti espedienti linguistici fossero appannaggio soltanto della poesia, sarebbe di certo una grossa perdita per la prosa. Si può, con giudizio, unire le due componenti in una sorta di
prosìa (termine, scherzosamente, inventato da me

), senza, tuttavia, partorir inesattezze grammaticali?
Penso, poi, all'anacoluto:
c'è degli imbrogli. All'enallage... e così via.