Il delitto di...

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Manutio
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Il delitto di...

Intervento di Manutio »

Sarei grato se qualcuno fra gli eminenti confratelli in Cruscate mi desse il suo parere su una piccola questione che mi è capitato di discutere. Nelle cronache nere cui essi fanno tanto spazio, i nostri media parlano spesso del ‘delitto di x’, quando x non è il colpevole ma la vittima: “Il delitto della quindicenne di Avetrana”, per dirla in perfetto giornalese. A me questo modo di esprimersi non va giú, e non mi sembra che si possa invocare per giustificarlo il genitivus obiecti, perché esso è possibile solo in dipendenza da un sostantivo legato strettamente a un verbo transitivo. Es.: ‘l’uccisione di Cesare’ va benissimo perché accanto a uccisione c’è uccidere; ‘la scoperta dell’America’ anche, perché accanto a scoperta c’è scoprire. Accanto a delitto c’è invece solo delinquere, meno immediatamente connesso e soprattutto non transitivo. Diverso è il caso del tipo ‘il delitto Matteotti’, perché qui si ha la reggenza per accostamento (‘ufficio reclami’), tanto fortunata nell’italiano contemporaneo. È il mio senso della lingua che non va, o che cosa? Grazie in anticipo a chi vorrà dire la sua.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Rimango anch’io un po’ basito di fronte a espressioni simili, proprio per l’impossibilità di una specificazione oggettiva. L’unica giustificazione che mi viene in mente è che quel di introduca una specie di complemento d’argomento (o, forse meglio, di limitazione), come, del resto, lo stesso nome Matteotti in «delitto Matteotti», pur privo di reggenza preposizionale.
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Probabilmente - anzi, sicuramente - sono dotato di una sensibilità più grossolana della vostra, ma non percepisco nulla di insolito in questo tipo di espressioni, che mi paiono ben consolidate nell'uso. Per giustificarle, sono d'accordo con l'interpretazione di Ferdinand Berdamu (argomento o limitazione); tutto sommato, mi accontenterei anche di una banale specificazione, senza sottilizzare troppo.
Mi sembra che non sia molto diverso dallo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde o da quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Caro Animo Grato, e’ cj ha ragione lei. :D La perplessità sorge solo se si considera il sostantivo cui il genitivo si riferisce come un derivato d’un verbo.
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Manutio
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Il delito di...

Intervento di Manutio »

Ringrazio, come avevo già fatto in anticipo, degli amichevoli interventi. Resta il fatto che almeno fino a ieri, ma credo che questo valga per molti anche oggi, nessuno, proprio nessuno, leggendo su frontespizi di libri titoli come ‘Il delitto del padre Amaro’, ‘Il d. di lord Arthur Saville’, ‘Il d. di Silvestre Bonnard’ abbia immaginato solo per un attimo che questi sfortunati personaggi fossero stati uccisi loro anziché, come è di fatto, si fossero resi colpevoli, di omicidio o d’altro. Questo mi sembra dimostrare, se è vero quello che Grato Animo scrive, che qualcosa è cambiato nella percezione della lingua, forse è questione d’età. Quanto al «radicamento nell’uso» (solito problema: uso di chi?), osservo che se questo tagliasse in ogni caso la testa al toro, gran parte dei nostri interventi potremmo risparmiarceli.
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

Io trovo, invece, "il delitto di X" giusto se X è l'autore del delitto, totalmente errato se X è, invece, la vittima. Per non creare equivoci, a mio avviso, è meglio omettere la preposizione "di".
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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.Silvia.
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Intervento di .Silvia. »

Il giornalismo vive di equivoci, specialmente nei titoli, inoltre lo stile linguistico dei giornalisti non è particolarmente curato. Mi spiace generalizzare, ma questa è la situazione. Senza dimenticare che spesso chi affronta in TV determinati argomenti, come quelli di cronaca, non è nemmeno giornalista.

Detto questo, trovo più frequentemente il complemento di specificazione abbinato al luogo: "il delitto di" (Avetrana, Cogne, ecc.). Una volta andava di più la via... e certe vie diventavano famose...

Comunque, mi sorprendono di più i cui senza preposizione, di cui si fa ampio uso nel legalese, per esempio. Ma in questo filone ne ho trovati ben due. Ritengo che la preposizione non sia facoltativa, a piacimento.
A te ricorro; e prego ché mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire,
S'io tentassi da me, sarebbe vano.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

.Silvia. ha scritto:Comunque, mi sorprendono di più i cui senza preposizione, di cui si fa ampio uso nel legalese, per esempio. Ma in questo filone ne ho trovati ben due. Ritengo che la preposizione non sia facoltativa, a piacimento.
Se ritiene che qualcuno abbia commesso un errore, lo dica pure apertamente. :D Comunque la rassicuro: nessuno ha commesso un errore:

Cui, anch’esso invariabile, si usa come complemento indiretto ed è sempre preceduto da preposizione tranne nel complemento di termine, in cui a è facoltativa […]. (Luca Serianni, Grammatica, VII.223, sottolineatura mia)
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.Silvia.
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Intervento di .Silvia. »

Quindi in pratica "a cui" potrebbe anche cadere in disuso. Io invece lo sostengo fermamente, e ripudio il cui senza preposizione (nel complemento di termine). Del resto, non sono sola in questo, visto che anche uno scrittore come Manzoni la pensava così.
A te ricorro; e prego ché mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire,
S'io tentassi da me, sarebbe vano.
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.Silvia.
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Intervento di .Silvia. »

Vorrei aggiungere che l'uso senza preposizione nasce dalla storpiatura di un latinismo. Il dativo in latino era ben definito, e deve essere riconoscibile anche in italiano. Poi ognuno faccia da sé. (Qualcuno dirà che il cui era inizialmente solo relativo al dativo...)
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Quindi in pratica "a cui" potrebbe anche cadere in disuso.
Da che cosa lo deduce, scusi? Il Treccani in linea marca questo uso di cui come «esclusivamente letterario», fornendo un esempio di Petrarca:

Voi cui fortuna ha posto in mano il freno

Mi sembra un po’ eccessivo, giacché se ne possono trovare esempi tutt’altro che letterari (ma certamente di registro relativamente formale) sui giornali:

È questo il futuro cui si riferiva il farlocco nel Laureato, perché è questo che, già nel 1967, stava accadendo in America. (Corriere della Sera, 9 agosto 2003)

Il premio Nobel Paul Krugman, ha scritto sul New York Times un articolo intitolato "Nessuno capisce cos’è il debito". Intendeva nessun economista della scuola preferita dai conservatori, e il debito cui si riferiva è quello pubblico generato dal disavanzo della spesa statale. (La Repubblica, 8 gennaio 2012)

È quella «universalità della missione della Chiesa, costituita da popoli di ogni razza e cultura» cui si riferiva domenica scorsa papa Benedetto XVI nel suo messaggio all’Angelus […]. (La Stampa, 24 agosto 2008)

Il Devoto-Oli (ed. 2002-2003) non pone limitazioni d’uso:

nei casi in cui è usato come complemento di termine (a cui) può aversi l’ellissi della prep. a
.Silvia. ha scritto:Del resto, non sono sola in questo, visto che anche uno scrittore come Manzoni la pensava così.
A me sembra che lei scambi una sua personale idiosincrasia con una regola aurea. Riporto dal sito della Crusca:

[La preposizione] si può omettere [davanti a cui]

quando il pronome ha funzione di complemento di termine e si omette la preposizione a (le due ragazze (a) cui Marta alludeva sono sue cugine). Questa oscillazione è dovuta all'origine di cui da un dativo latino CŪI che in italiano ha perso la funzione dativale - ovvero di complemento di termine - e consente di impiegare cui per qualunque complemento indiretto, ma ha comunque portato all'oscillazione cui/a cui. La forma con preposizione, considerata nell'Ottocento più popolare, è stata preferita da Manzoni sin dalla prima edizione dei Promessi Sposi e in alcune grammatiche attuali cui senza preposizione viene considerato proprio dell'uso scritto

Sono ben consapevole che la forma senza preposizione sia propria di un registro formale (e dell’italiano scritto); e infatti, in questo fòro, si scrive, mi risulta. Va bene che Manzoni è uno scrittore esemplare, ma non esageriamo con la deferenza.
Il dativo in latino era ben definito, e deve essere riconoscibile anche in italiano. Poi ognuno faccia da sé. (Qualcuno dirà che il cui era inizialmente solo relativo al dativo...)
Cui si è sempre stato usato per tutti i casi obliqui, con un’oscillazione cui/a cui che segnala una maggiore o minore formalità. Perciò non capisco bene su che cosa verta la sua polemica.

AGGIORNAMENTO
.Silvia. ha scritto:Vorrei aggiungere che l'uso senza preposizione nasce dalla storpiatura di un latinismo.
Storpiatura? Da dove ricava questo giudizio? Semmai, in assenza di ulteriori dati sul costrutto senza preposizione, possiamo giudicarlo un latinismo, ma non una storpiatura, perché vale come dativo tanto in italiano quanto in latino.
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Cui, anch’esso invariabile, si usa come complemento indiretto ed è sempre preceduto da preposizione tranne nel complemento di termine, in cui a è facoltativa […]. (Luca Serianni, Grammatica, VII.223, sottolineatura mia)
Per amor di completezza, aggiungo che cui è solitario anche in espressioni come il cui figlio, il cui ricordo, dove invece è sottinteso il "di" della specificazione.
E, se posso permettermi una nota personale, il di cui figlio, il di cui ricordo mi suonano - oggi - davvero cacofonici e macchinosi, per non dire sbagliati.
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