«Calcolatore»

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Ladim
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«Calcolatore»

Intervento di Ladim »

Chi pensa che l’uso sistematico di traducenti italiani, là dove la lingua originaria è l’inglese, possa risultare pedantesco o addirittura inappropriato, cade vittima di un’ingenuità di cui, purtroppo, non si può essere consapevoli (e lascio da parte di proposito la questione della cultura di riferimento).

Il problema, spesso, è favorito dalla natura specialistica delle argomentazioni più adatte a chiarire e spiegare il fenomeno dell’uso abnorme dell’inglese, ma non acconce per vincere la resistenza di chi dovrebbe lasciarsene persuadere e ritrovare così la possibilità di una più cosciente maturità linguistica.

Uno degli ambiti più torturati, al riguardo, è esattamente quello informatico, nella sua declinazione domestica e divulgata. Tutti [di qui] ricordano le discussioni sull’uso mancato di calcolatore o di elaboratore per l’elettrodomestico con cui vi scrivo – trovare un saggio genuino di comunicazione non espressiva, non volutamente sorvegliata è compito sempre meno agevole. Spesso l’impressione è di sentirsi costretti a scomodare la consultazione ancora di testi trascelti, di carattere linguistico, o letterario, in cui la volontà di riflettere una conoscenza non superficiale della lingua sia un po’ il segno testuale più o meno evidente, per una legittimazione estrema di un uso non più condiviso.

Eppure, per il parlato, può essere sufficiente accedere alle videoteche della Rai, e ritrovare un italiano non ancora svilito dalla superficialità di fine secolo: una lingua modellata, se si vuole, da un sentimento di soggezione nei confronti di una cultura non ancora divenuta ineffabile, sempre – è vero! – illustre e categorica, severa a oltranza nei confronti di chi era incapace di proporre un minimo di coerente complessità lessicale e sintattica (di qui passa il velleitarismo della cosiddetta anti-lingua burocratica, recepita dai più veraci italofoni, soprattutto di allora, come l’unico modello ufficiale a cui rivolgersi nelle situazioni rare e importanti).

Un esempio che invece sorprende per gli esiti è quello della traduzione cinematografica dello stesso periodo, mi pare. Alcuni suoi aspetti sono per così dire curiosi e divertenti, specie se si valuta il perbenismo linguistico nostrano appetto di un linguaggio originario, un ‘americano’ più disinibito e compromesso col gergo di strada. Espressione sentite troppo crude in certi dialoghi perdono il loro espressivo mimetismo per vestirsi di un nuovo e improbabile espressionismo tutto italiano, con effetti vivaci e grotteschi. Oggi – nelle pellicole di oggi – sorrideremmo se un poliziotto allontanasse un malintenzionato rivolgendogli un’espressione come «Va’ a cuocere le uova!» (mi pare si trattasse di Clint Eastwood).

Ma questo equivarrebbe a un esempio di censura linguistica che offre valutazioni ben più complesse di quelle che volevo sottoporvi.

Un caso ben riuscito che propone al nostro orecchio un italiano coerente, parlato, in un contesto ad ogni modo sui generis, si trova in una pellicola di Stanley Kubrick del 1970: 2001 Odissea nello spazio. Dei pochissimi dialoghi, uno in particolare mi sembra interessante: quello tra il «calcolatore» Hal e la voce che lo intervista sulla delicata «missione» che occupa la parte finale del racconto.

Chi volesse ascoltare quello scambio di battute, si stupirebbe nel sentir ripetere, senza ilarità, le parole «calcolatore», «elaboratore», «cervello elettronico» al posto di computer – che, se non erro, è del tutto assente. Non mi pare che questo uso coerente di traducenti suoni eccessivo, o inadatto e poco opportuno (o forse sì), come spesso vogliono coloro che, ormai, sono affezionati ai corrispettivi ‘alieni’.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Difficile aggiungere qualcosa a questo bellissimo intervento. Calcolatore — a differenza dell’adattamento castellaniano computiere — ha l’enorme pregio di essere del tutto trasparente.
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