Di nulla.
Ho letto l’articolo: è utile per una rapida (ancorché parziale) rassegna degli anglicismi nel giornalismo, ma non è molto soddisfacente nella sua impostazione e nelle conclusioni.
Noto che l'autrice avalla l’opinione che
relax sia un’abbreviazione di
relaxation, mentre, come ha dimostrato lo stesso Klajn nel saggio citato da Infarinato, non è altro che la sostantivazione del verbo
to relax.
Considera inoltre
baby gang un «prestito integrale», quando, invece, avrebbe dovuto precisare che si tratta di uno falso anglicismo.
Maria Malinowska ha scritto:… gli accorciamenti operati in italiano, modificanti solo il significante, che portano alla nascita di pseudoanglismi come il talk e il reality o il talent potrebbero essere conseguenza del principio dell’economia linguistica che riduce al minimo la presenza di tratti pertinenti a ogni livello di lingua anche a quello semantico.
Sí, ma c'è di piú: sempre sulla scorta di Klajn, è opportuno ricordare che anglicismi simili sono rianalizzati come se fossero parole strutturalmente italiane, che seguono quindi l’ordine nome-aggettivo.
La conclusione cui giunge è pure un po’ troppo ottimistica e sbrigativa: «Questa tendenza [all’adozione di anglicismi] tuttavia non significa che viene intaccata la struttura interna dell’italiano, in quanto le novità lessicali di solito non sono un segno di cedimento ma di arricchimento di un idioma che si rinnova per far fronte alle lacune espressive createsi nel tempo.»
Sennonché alcuni elementi morfologici inglesi iniziano pian piano a diventare produttivi, come -
ing e -
er, a discapito delle corrispondenti forme italiane. E se è vero che il
terzo sistema fonologico non esiste, l’esposizione continua a sempre nuovi anglicismi a lungo andare porterà al cedimento che in quest’articolo si nega. A furia di bettere in breccia il lessico italiano, anche quello fondamentale, si smetterà di nominare le cose in italiano. E questo non è un rischio da poco.