Arese fa eccezione e la pronuncia nazionale è con esse sonora, sia per il cognome sia per la città. Sarebbe interessante sapere se in Toscana prevale la pronuncia con /s/ o con /z/. Il DiPI accetta la pronuncia con esse sorda, ma non fa riferimento alla distribuzione di /s/ e /z/.Carnby ha scritto:Due casi un po' differenti sono Varese e Pesaro, che io pronuncio entrambi con /s/.
Pronuncia di «chiese»
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A me viene spontaneo pronunciarla come Varese, quindi con /s/.fiorentino90 ha scritto: Arese fa eccezione e la pronuncia nazionale è con esse sonora, sia per il cognome sia per la città. Sarebbe interessante sapere se in Toscana prevale la pronuncia con /s/ o con /z/.
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Carnby ha scritto:che io pronuncio entrambi con /s/ sebbene nel primo caso questa pronuncia faccia storcere il naso ai varesotti
Marino Moretti ha scritto:avevano l'aria di torcere il naso perché nasceva la diffidenza per chi parlava meglio di noi
Che mi dice, fiorentino (ma mi par che lei lo sia di nome, non di fatto) della pronuncia dei lettori del DOP? A me non pare sempre impeccabile. Nel brano di Moretti, ad es., mi sembra che "Firènze" del titolo venga detta con una e praticamente chiusa (quella finale invece con e aperta ma z dolce!), mentre "sènti" con una e intermedia le prime due volte e aperta la terza; qui sento chiusa la e di "Erano", qui la e di "cièca"... o forse sono io che le pronuncio "troppo" aperte e quindi mi aspetto di sentirle così?fiorentino90 ha scritto:Marino Moretti ha scritto:avevano l'aria di torcere il naso perché nasceva la diffidenza per chi parlava meglio di noi
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Non trovo il brano da ascoltare.Zabob ha scritto:Che mi dice, fiorentino (ma mi par che lei lo sia di nome, non di fatto) della pronuncia dei lettori del DOP? A me non pare sempre impeccabile. Nel brano di Moretti, ad es., mi sembra che "Firènze" del titolo venga detta con una e praticamente chiusa (quella finale invece con e aperta ma z dolce!), mentre "sènti" con una e intermedia le prime due volte e aperta la terza;
Io le riconosco come aperte. Ma, come dicevo qui, forse sono io che ho le aperte non apertissime.
Pigi qui.valerio_vanni ha scritto:Non trovo il brano da ascoltare.Zabob ha scritto:Nel brano di Moretti, ad es., mi sembra che "Firènze" del titolo venga detta con una e praticamente chiusa (quella finale invece con e aperta ma z dolce!), mentre "sènti" con una e intermedia le prime due volte e aperta la terza;
Sulla e di "cièca", riascoltandola, potrei dire che è intermedia.valerio_vanni ha scritto:Io le riconosco come aperte.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Ho ascoltato. Praticamente erano sul treno che passa di fronte a casa mia
A me quel "Firènze" suona aperto. Forse è un po' strana la zeta.
Riascoltandole, sento un'indecisione di chiusura su "èrano", ma "cièca" continua a suonarmi semplicemente aperta.Sulla e di "cièca", riascoltandola, potrei dire che è intermedia.
Insomma, concordo con voi due sulla differenza tra le due, ma le nostre sensibilità sul punto di discrimine non coincidono.
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Parere di «toscano canonico» : fonematicamente, sono tutte aperte; foneticamente, la e di erano non è apertissima… quindi sostanzialmente concordo con Valerio.
Vi faccio notare che il brano del Moretti col Firenze di cui sopra e il verso dantesco con cieca sono letti dal Fiorelli, che non sarà un gran lettore, ma ortoepicamente è il DOP.
Vi faccio notare che il brano del Moretti col Firenze di cui sopra e il verso dantesco con cieca sono letti dal Fiorelli, che non sarà un gran lettore, ma ortoepicamente è il DOP.
Gentile Infarinato, per quale motivo tira in ballo la fonematica? Voglio dire, il fatto che Firenze o erano vengano pronunciate cólla e chiusa è senz'ombra di dubbio un errore ortoepico, ma l'errata dizione non implica —in questo caso— alcun mutamento di significato. Un conto è dire pèsca invece che pésca o viceversa. Ma se dico Firénze o érano, posso solamente suscitare l'indignazione di qualche parlante per la mia pessima dizione e nulla piú: il significato sarebbe ugualmente chiaro, non vi sarebbe nulla d'ambiguo. Cosa c'entra dunque la fonematica in tutto questo?Infarinato ha scritto:[F]onematicamente, sono tutte aperte.
Immaginando una scala da 1 (e molto chiusa) a 9 (e molto aperta), quella e la collocherei a metà (quella di erano invece a 4); questa ha almeno un paio di "tacche" di apertura in più.Ivan92 ha scritto:Ho riascoltato attentamente: in effetti, cieca sembra venga pronunciato cólla e aperta.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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In Italiano i due fonemi /ɛ/ /e/ sono presenti, è possibile valutarli in tutte le parole. Il fatto che una parola non abbia la controparte in grado di formare una coppia minima, non implica che in quel punto eventuali variazioni siano solo fonetiche.Ivan92 ha scritto:Voglio dire, il fatto che Firenze o erano vengano pronunciate cólla e chiusa è senz'ombra di dubbio un errore ortoepico, ma l'errata dizione non implica —in questo caso— alcun mutamento di significato. Un conto è dire pèsca invece che pésca
In caso contrario, potremmo dire anche /fi'ranʦe/ e definirla variazione non fonematica, dato che non esiste la parola "firanze"? Anche l'opposizione /ɛ/ - /a/ la valutiamo in base alla presenza di coppia minima, caso per caso?
Dire che fonematicamente sono /ɛ/, vuol dire che non varcano il confine di fonema /ɛ/ - /e/.
Il casino è che le sensibilità fonematiche variano da zona a zona più di quanto pensassi (questa nostra discussione ne è una prova).
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Concordo, la seconda è più aperta.Zabob ha scritto:Immaginando una scala da 1 (e molto chiusa) a 9 (e molto aperta), quella e la collocherei a metà (quella di erano invece a 4); questa ha almeno un paio di "tacche" di apertura in più.Ivan92 ha scritto:Ho riascoltato attentamente: in effetti, cieca sembra venga pronunciato cólla e aperta.
Per il mio orecchio: la prima è naturale, la seconda un po' troppo aperta (ma identifico entrambe con /ɛ/).
Io nel pronunciare il mio nome uso la prima. In Romagna sento varianti sia fonetiche che fonematiche su quella vocale.
Una chiara differenza fonematica nella Romagna occidentale, in cui mi chiamano /va'lerio/, una differenza solo fonetica nella Romagna orientale in cui mi chiamano /va'lɛrio/ ma con un'apertura maggiore (all'incirca come quella del "cieco" isolato, o forse appena di più).
La ringrazio del contributo, caro Valerio. Vediamo se ho inteso quel che ha tentato di spiegarmi: il passaggio da /ɛ/ a /e/ è sicuramente una variazione fonetica, ché si percepiscono la «fisicità» e la «concretezza» del suono (da una vocale [semi] aperta si passa a una vocale [semi] chiusa), ma è altresí una variazione fonematica, dato che /ɛ/ e /e/ si trovano in altre parole nelle quali la pronuncia dell'una o dell'altra può determinare un cambiamento di significato. È corretta la mia interpretazione?
Inoltre, quando dice che non varcano il confine di fonema /ɛ/ - /e/, intende semplicemente dire che non diventano —per esempio— delle /a/? Se cosí fosse, farei difficoltà a comprendere il significato della sua asserzione: nel senso che, se mi si dice che foneticamente sono /ɛ/, mi vien da pensare che non siano /e/, e non che il confine di fonema /ɛ/ - /e/ non sia stato varcato e non sia stata pronunciata un'ipotetica /a/.
Perdoni l'arzigogolo.
Inoltre, quando dice che non varcano il confine di fonema /ɛ/ - /e/, intende semplicemente dire che non diventano —per esempio— delle /a/? Se cosí fosse, farei difficoltà a comprendere il significato della sua asserzione: nel senso che, se mi si dice che foneticamente sono /ɛ/, mi vien da pensare che non siano /e/, e non che il confine di fonema /ɛ/ - /e/ non sia stato varcato e non sia stata pronunciata un'ipotetica /a/.
Perdoni l'arzigogolo.
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