Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Devoto

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Sí, ma un «allargamento delle strutture fonologiche accettabili» non costituisce necessariamente un ampliamento [strutturale] del sistema del fonologico...
Non sono sicuro di seguirla completamente.
Berruto dice che alle strutture fonologiche classiche dell’italiano, considerate accettabili, se ne sono aggiunte altre.
Che queste strutture non siano produttive, sono d’accordo.
Che si possa parlare comunque di un ampliamento strutturale, mi sembra opinabile.

Che la proposta di Devoto non si riduca a questa innovazione, è un dato di fatto.

Che la proposta, nel suo complesso, possa essere definita un nuovo sistema fonologico o una versione modificata di quello precedente, mi sembra anch’esso un fatto opinabile e più che altro un problema di definizioni.

L’importante è capire quali sono i cambiamenti in atto e la loro entità.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Che la proposta, nel suo complesso, possa essere definita un nuovo sistema fonologico o una versione modificata di quello precedente, mi sembra anch’esso un fatto opinabile e più che altro un problema di definizioni.
Sí, infatti, è essenzialmente un «problema di definizioni», e proprio dal desiderio di prevenire [purtroppo facili] fraintendimenti —lo ripeto ancora una volta— nasce il mio intervento.
bubu7 ha scritto:
Infarinato ha scritto: Sí, ma un «allargamento delle strutture fonologiche accettabili» non costituisce necessariamente un ampliamento [strutturale] del sistema del fonologico...
Non sono sicuro di seguirla completamente.
Berruto dice che alle strutture fonologiche classiche dell’italiano, considerate accettabili, se ne sono aggiunte altre.
Che queste strutture non siano produttive, sono d’accordo.
Che si possa parlare comunque di un ampliamento strutturale, mi sembra opinabile.
Vedo di spiegarmi: innanzitutto, Berruto parte da una prospettiva sociolinguistica, e quindi, a mio avviso, il senso di «struttura [fonologica]» va visto in rapporto a questa particolare impostazione. Se interpretiamo il termine «struttura» in senso sociolinguistico, è ovvio che non c’è nulla commentare.

Tuttavia, se per «mutamento strutturale» intendiamo qualcosa che intacca le strutture dell’italiano classicamente intese, allora la domanda che bisogna porsi è: sono i vocaboli appartenenti al terzo sistema fonologico [e non al secondo] «strutturalmente italiani», cioè «rappresentativi delle strutture [attuali] dell’italiano»? Abbiamo visto che, lessicalmente, sono minoritari e [in un opportuno senso] «marginali» e, fonomorfologicamente, non sono produttivi. L’unico modo per asserire che sono «strutturalmente italiani» (e che quindi siamo effettivamente in presenza d’un «nuovo sistema fonotattico» [«fonologico» è ambiguo]) è dichiarare che sono tali semplicemente perché [alcuni di essi] fanno ormai parte del nostro vocabolario di base, e quindi identificare (sociolinguisticamente) la «struttura» con l’«accettabilità» («uso», secondo me, è inappropriato, in quanto non c’è riuso per via della mancata produttività fonomorfologica).
Ladim
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Intervento di Ladim »

bubu7 ha scritto:Non si tratta solo (come sto cercando inutilmente di dire) dell’accoglimento di suoni non originari ...
Sia inteso: niente di quello che lei dice è detto «inutilmente» – ognuno, direi, ferma la sua attenzione su quello che più lo coinvolge (infine, la leggo sempre con grande interesse – e penso di non essere il solo).

Ma, per quel che mi riguarda, mi sarei limitato a considerare un fatto anzitutto di metodo (è qui che mi sento di poter esprimere un mio parere): mi sembra che Infarinato si sia guadagnato un merito non da poco; la distinzione tra il sistema fonologico e il sistema fonotattico riordina il discorso in modo più trasparente (e, devo dire, con implicazioni di una certa portata: se la struttura fonologica di oggi è quella tradizionale, abbiamo ragione di credere che sia destinata a rimanere tale ancora per un po'; se invece il problema è fonotattico, sarebbe in questione un più generale fenomeno di contatto linguistico – e allora i neopuristi avrebbero i loro «buoni motivi» per difendere la nostra struttura fonologica e pensare quindi a un sistematico adattamento fonetico etc.).

E tuttavia anche Berruto, direi, scrive «fonologico», ma penserebbe «fonotattico» – questi benedetti suoni non originari, presi di per sé, in italiano non veicolano alcun significato; e quel che Berruto (con Devoto) dice è sacrosanto: «una progressiva accettazione di terminazioni consonantiche delle parole (anche in consonanti diverse da quelle ammissibili per troncamento nello standard m, n, l, r)» – ma questo, con ogni evidenza, è un problema di natura fonetica (e, sì, per altri aspetti, anche sociologica): altrimenti dovremmo dimenticarci che l'uso epitetico della e, in fiorentino, è appunto dettato dal suo sistema fonotattico, e, diversamente, ritenere che sia solo il prodotto fantasioso di un campanilismo linguistico volontario (anche qui, mi rendo conto, mi limito ad affrontare un solo argomento).

Quel che dicono Berruto e Devoto è appunto questo, io credo: «oggi gl'italiani non hanno alcun problema a pronunciare film stop gins».

La risposta, allora, d'Infarinato, io credo, suonerebbe: «sì, è vero; ma non si tratta di un fenomeno strutturale, produttivo, e quindi neo-italiano senz'altro; si tratterebbe invece di una nuova possibilità fonotattica degl'italiani di oggi, non della nostra lingua».
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Guardate che, a parte trascurabili sfumature, sono sostanzialmente d’accordo con le vostre considerazioni.
E concordo con voi che definire l’accettabilità dei nessi consonantici stranieri, come ha fatto Devoto, “la caratteristica principale del 3° sistema fonologico italiano” porta a una sopravvalutazione dell’importanza del fenomeno e a un giudizio falsato sull’insieme dei cambiamenti fonologici in atto che potrebbero discostare (o hanno discostato) l’attuale sistema fonologico da quello classico (il 2°).

Rinnovo però il mio invito, per approfondire le nostre considerazioni, ad abbandonare quest’ultima prospettiva d’analisi e affrontare la seguente questione.

L’insieme dei cambiamenti, rispetto al 2° sistema fonologico, descritti dal Devoto (come già realizzati negli anni cinquanta o previsti come tendenza) sono sufficienti per parlare di un nuovo sistema fonologico definito o meglio in via di definizione?
Io, prima di sentire i vostri pareri (che potrebbero benissimo farmi cambiare idea), direi di sì.
In particolare sposerei la versione più morbida e parlerei di un 3° sistema fonologico in via di (sempre maggiore) definizione.
Su molte caratteristiche di questo nuovo sistema il Devoto è stato buon profeta ed eccellente antesignano e, su questo aspetto dei suoi studi, viene generalmente riconosciuto positivamente dalla maggior parte (direi dalla quasi totalità) degli studiosi attuali.
Mi riferisco, in modo particolare, alla riduzione delle opposizioni fonemiche.
Per aprire la discussione riporto una citazione da un saggio di A. M. Mioni, Fonetica e fonologia, che si trova nell’opera Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture.
L’abitudine a sentire rese anche molto diverse dalle proprie in bocca a parlanti della stessa o di altra regione, finisce per ridurre opposizioni come /e/ ~ /E/, /o/ ~ /O/, /ts/ ~ /tz/, come d’altronde aveva predetto Devoto (1953) [nel suo Profilo], a pure varianti stilistiche o regionali libere; a maggior ragione, ciò vale per la perdita, ormai pressoché totale, dell’opposizione /s/ ~ /z/.
La domanda è: «La riduzione di queste opposizioni (che nel caso delle vocali tende a produrre, oltre a semplici varianti stilistiche anche pronunce con apertura intermedia) si può considerare una modifica significativa (visto che è anche produttiva) del sistema fonologico classico tanto da poter parlare di un nuovo sistema fonologico?

Secondo me sì e dobbiamo rendere merito al Devoto di averle descritte e previste nel suo 3° sistema.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:La domanda è: «La riduzione di queste opposizioni (che nel caso delle vocali tende a produrre, oltre a semplici varianti stilistiche anche pronunce con apertura intermedia) si può considerare una modifica significativa (visto che è anche produttiva) del sistema fonologico classico tanto da poter parlare di un nuovo sistema fonologico?

Secondo me sì e dobbiamo rendere merito al Devoto di averla descritta e prevista nel suo 3° sistema.
Sí, ma
  1. il Devoto non la include esplicitamente nel suo terzo sistema: è un auspicio/raccomandazione nel Profilo e una previsione nel Linguaggio d’Italia;
  2. a tutt’oggi un fonetista come il Canepàri, che purista strutturale di certo non è, tuona sull’importanza di quelle opposizioni(*) per la pronuncia neutra (o «modello»: si veda il punto 1 del mio intervento).
Qui non si discute l’indubbia chiaroveggenza del Devoto, ma solo il suo terzo sistema da un punto di vista tecnico-strutturale —o perlomeno: questa era l’intenzione del mio intervento.

_____________________

(*) Perlomeno, per quanto riguarda /e ~ E/ e /o ~ O/: «ridimensiona» invece l’opposizione /ts ~ dz/; quanto a /s ~ z/, il suo rendimento funzionale è sempre stato comunque bassissimo.
Ladim
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Intervento di Ladim »

Credo che bisognerebbe affrontare la questione caso per caso. Per quel che riguarda il grado di apertura di certe vocali, avremmo sì un mutamento fonologico; per /s/ ~ /z/, invece, ci troviamo di fronte a un semplice caso di allofonia, e cioè a una modificazione del suono senz'altro. Ma si tratterebbe comunque di mutamenti per così dire di carattere endogeno, da misurarsi su questioni nostrane di sostrato dialettale. A Devoto resta il merito di aver delineato queste tendenze, certo, e forse si potrebbe parlare di un assestamento del nostro sistema fonologico; tuttavia, la pronuncia normalizzata continua a prescrivere i giusti gradi di apertura e di sonorizzazione là dove questi sono spesso disattesi (il merito di aver individuato alcune tendenze non giustificherebbe, ancora, l'ipotesi di un cambiamento, al riguardo, della struttura fonologica).
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Intervento di bubu7 »

Mi fa piacere, caro Infarinato, che lei sia d’accordo con me. :)
Infarinato ha scritto: ...a tutt’oggi un fonetista come il Canepàri, che purista strutturale di certo non è, tuona sull’importanza di quelle opposizioni
Sa bene che il purismo strutturale è indifferente a questo tipo di cambiamenti.
Certo, a tutt’oggi, la pronuncia socialmente consigliabile è quella riportata dal Canepari che tiene conto delle opposizioni.
Ma non possiamo non ammettere che l’evoluzione del sistema sia quella descritta dal Mioni come sicuramente riconosce anche Canepari (che sarà il primo ad accogliere l’innovazione consolidata).

Sul primo punto, le risponderò dopo essermi riletto i passi incriminati. :)
Ladim ha scritto:Ma si tratterebbe comunque di mutamenti per così dire di carattere endogeno, da misurarsi su questioni nostrane di sostrato dialettale.
Senza dubbio.
Ladim ha scritto:A Devoto resta il merito di aver delineato queste tendenze, certo, e forse si potrebbe parlare di un assestamento del nostro sistema fonologico...
Ero sicuro che le nostre posizioni non fossero poi così lontane. :wink:
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V. M. Illič-Svitič
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Re: Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Dev

Intervento di Freelancer »

Infarinato ha scritto:Appunto, ma la mia era una critica «strutturale» (rivolta —come le ho già scritto in privato— non tanto al Devoto, ma a chi [non Lei] vorrebbe fare passare il suo terzo sistema per quello che non è)
Questo riferimento indiretto che Infarinato fa a me e a quello che ho scritto, mi porta a ritenere che esista un equivoco di fondo basato su un’interpretazione errata del mio pensiero, e mi dispiace di non essere stato abbastanza chiaro. Non è che io, parlando ogni tanto del terzo sistema fonologico del Devoto, lo abbia voluto elevare a norma; tutte le volte che vi ho accennato è stato solo per cercare di mostrare l’inadeguatezza di tentativi di adattamento – processo che sappiamo ormai essere rifiutato dalla maggioranza dei parlanti – di parole facilmente accettate anche se hanno terminazione consonantica. Come già ottimamente chiarito da bubu7, la caratteristica del sistema formulato da Devoto non si esaurisce nella regolamentazione delle finali consonantiche accettate delle parole straniere. Infarinato accenna alle condivisibili considerazioni sviluppate da Devoto due paragrafi dopo quello sulle finali consonantiche, là dove egli parla anche dell’apertura illimitata alle sigle, che come sappiamo ormai possono considerarsi né più né meno che parole, in grado di generarne altre attraverso suffissazioni e composizioni. È quando si considerano tutti questi aspetti che il sistema si presenta “aperto”. Considerarlo quindi “tale solo nel senso [minimalistico] d’«insieme necessario per classificare un buon numero di forestierismi non adattati correntemente in uso in italiano, nonché l’attuale tendenza dei parlanti al mancato adattamento»” significa, a mio parere, dare un’interpretazione riduttiva del pensiero di Devoto.

Infarinato accenna anche alla mia espressione “mutamento strutturale” che gli sembra fuori luogo; quando l’ho usata, avevo in mente esclusivamente il lessico, e sì penso che l’entrata di un numero massiccio di forestierismi nella lingua possa considerarsi un mutamento strutturale dato che il lessico è una delle strutture della lingua. Se non è così, mi si spieghi a cosa pensava Arrigo Castellani quando, sia in Morbus Anglicus sia in ‘Vendistica’ e il concetto di bizzarro, diceva che l’afflusso di anglismi era dannoso per l’italiano in quanto, pur essendo normale che una lingua si trasformi non solo per sviluppi interni ma anche rispondendo a sollecitazioni esterne
“basta che questo avvenga senza mettere in pericolo le sue strutture fondamentali. E per l’italiano le strutture fonetiche sono fondamentali.”
Vorrei anche far notare a Infarinato che esiste una contraddizione irrisolvibile nel voler da un canto minimizzare un fenomeno cercando di classificarlo in senso minimalistico come un insieme sterile di termini, ma allo stesso tempo nel preoccuparsi dei suoi effetti – quali che essi siano – al punto da ritenere necessario proporre alternative a parole ormai a tutti gli effetti italiane come bar, computer, film e così via.

Acclarato il fatto che il terzo sistema non si esaurisce nelle finali consonantiche, e sottolineato che le finali consonantiche non sono suffissi – suffissi inglesi sono ing, ize come in italiano sono ale, izzare e così via – risulta ovvio che è improponibile il confronto tra la mancata produttività per suffissazione delle parole stranieri inquadrate in tale sistema e la produttività dei suffissi italiani.
Ma non si può tacere che i forestierismi - e non voglio diventarne il difensore d’ufficio, ma solo constatare la realtà che abbiamo sotto gli occhi – sono ben lungi dall’essere sterili.
Anzitutto entrano in gioco nella formazione delle parole per suffissazione allo stesso titolo di parole italiane, ossia come basi, perché per creare una parola nuova non basta il suffisso, occorre anche la base.
Inoltre i neologismi nascono, oltre che per suffissazione e prefissazione, anche per composizione. E una volta di più, tanti anglismi accettati danno luogo a neologismi.
In merito cito dal recente (2003) Neologismi quotidiani – Un dizionario a cavallo del millennio di Giovanni Adamo e Valeria della Valle:
La tendenza all’uso di serie compositive appare ormai radicata e stabilizzata [...]. Continuano a prodursi così nuove serie lessicali, nelle quali non di rado si incontrano anche formanti inglesi (tra gli altri, -boom, -killer, -record) che vedono di volta in volta alternarsi in seconda posizione elementi lessicali nuovi: da elettronico a digitale o intelligente, da selvaggio a dipendente o dipendenza, da fantasma a simbolo, fino agli emergenti etico, obiettivo, spazzatura e lumaca (questi ultimi, rispettivamente, sulla scia dell’inglese trash-, junk- e snail-).
Eviterei quindi di parlare di mancanza di produttività, anche se specificandola come “fonomorfologica”, in relazione a qualunque elemento straniero che s’incunei nella nostra lingua.

Chiudo facendo osservare due formazioni che non ritengo necessariamente indicative ma almeno degne di note: la prima è la parola colf, che ha terminazione consonantica – chi sta imparando l’italiano potrebbe addirittura pensare che è una parola straniera, come golf – ma è stata creata per contrazione, come parola macedonia, la si chiami come si vuole, e da italiani con parole italiane senza preoccuparsi che terminasse in consonante; la seconda (che leggo nel dizionario citato) è bossing “vessazione operata nei confronti di dirigenti di uffici e imprese per spingerli alla risoluzione del loro rapporto di lavoro”, creata sul modello di mobbing prendendo la parola inglese boss e il suffisso inglese ing, ma non dagli americani, per i quali bossing è “l’arte di essere boss”, ossia sapere come essere dirigenti capaci. Falso anglismo? Anche, ma non solo. Merita una riflessione, mi sembra.

Vorrei quindi correggere la mia osservazione, che mi sembra suonasse più o meno “siamo in presenza di un mutamento strutturale”, inquadrandola nel più ampio contesto che ho cercato di illustrare e nel quale si inseriscono, ma solo come uno dei suoi tanti elementi caratteristici, le terminazioni consonantiche dei forestierismi.
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Re: Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano»

Intervento di Infarinato »

Freelancer ha scritto:
Infarinato ha scritto:Appunto, ma la mia era una critica «strutturale» (rivolta —come le ho già scritto in privato— non tanto al Devoto, ma a chi [non Lei] vorrebbe fare passare il suo terzo sistema per quello che non è)
Questo riferimento indiretto che Infarinato fa a me e a quello che ho scritto…
No, non mi riferivo a Lei né a nessun altro in particolare, anche se alcune sue osservazioni [molto concise] possono effettivamente aver indotto altri all’equivoco: [anche] di qui, la necessità di fare chiarezza una volta per tutte sul piano fonologico-strutturale (quanto al «pericolo [d’incoerenza strutturale]» cui accenna il Castellani, credo di averlo sufficientemente chiarito nel mio primo intervento e non mi ripeterò). In particolare, spero nessuno in futuro vorrà affermare che oggigiorno i forestierismi crudi sono «accettabili» in italiano (sottintendendo: anche strutturalmente) perché c’è il terzo sistema, il che equivale piú o meno a dire che «sono accettabili perché sono accettabili».

Accetto le sue puntualizzazioni, che in larga misura condivido, ma devo costatare che, a quanto pare, ancora sfugge il senso del mio intervento: ognuno è ovviamente libero d’intervenire in questa discussione per fare le considerazioni che crede (purché esse non siano troppo fuori tema), ma mi trovo costretto a ribadire che il mio intento era solo quello di mostrare i limiti della sistematizzazione devotiana da un punto di vista fonologico-strutturale.

Sia il Profilo sia il Linguaggio d’Italia sono indubbiamente apprezzabili per le idee e le previsioni in essi contenute (e con questo rispondo anche a Incarcato), un po’ meno per le loro classificazioni, che –al piú– sono di natura fonotattica, l’unica vera tappa fonologica (riduzione dell’opposizione /ts ~ tsts/ [e /dz ~ dzdz/ per i grecismi]) non venendo nemmeno menzionata (e lo ripeto per i «santommasi» [:mrgreen:]: la riduzione delle opposizioni ricordate da Bubu fa parte delle previsioni di cui sopra, non è parte integrante del terzo sistema —né avrebbe potuto esserlo, visto che a tutt’oggi neanche un «modernista» come il Canepàri la fa rientrare [ancora] nel pronuncia modello).

Chiudo (e, per quanto mi riguarda, chiudo davvero qui, almeno fino a quando non mi si porteranno controargomentazioni di carattere fonologico[*]) soddisfacendo —spero— alle due curiosità d’Incarcato.
Incarcato ha scritto:…vorrei capire meglio da Infarinato due cose.
La prima riguarda il riferimento alla gorgia come rientrante nel sistema.
Abbiamo visto che il Devoto usa l’aggettivo «fonologico» con ampia latitudine semantica: ora, però, in senso stretto, la gorgia non è fenomeno fonologico, sibbene puramente fonetico: i fonemi /k p t/ non cambiano, raddoppia semplicemente il numero dei tassofoni (= allofoni combinatòri) che li realizzano.
Incarcato ha scritto:La seconda è, piú che altro, una curiosità: i cinque vocaboli in neretto sarebbero i fondamentali tra quelli in uscita consonantica, se non ho capito male. Quindi: film, bar, sport e sud: e perché escludere nord, ovest e est?
Per fare un dispetto a Bossi? :mrgreen:

Scherzi a parte, la rimando alla definizione delle varie marche d’uso. Dal che si dovrebbe intuire il motivo della diversa classificazione: se si pensa anche solo alle varie espressioni idiomatiche in cui compaiono est e ovest, si vede già che sono meno frequenti di nord e sud. Quanto a questi ultimi, il perché è forse da ricercarsi nel fatto che il Sud rappresenta anche un «problema». È chiaro che tutti i punti cardinali sono, in un opportuno senso, «fondamentali».

_____________________

(*) Non confondiamo la fonologia con la morfologia: è ben vero che, accanto a flessione e derivazione [/alterazione], esiste anche la composizione, ma questa —come del resto Lei, Crivello, ben rilevava— ha implicazioni per la produttività lessicale. Cosí la fonologia/fonotassi ha implicazioni per la produttività morfologica [e lessicale] (ha quindi [come è ovvio!] ripercussioni piú profonde, «piú strutturali»): è questo che intendevo per «[im]produttività fonomorfologica». Si noti, d’altra parte, come, a differenza di quelli lessicali, i morfemi grammaticali (flessionali e derivazionali) costituiscano in genere un sistema chiuso (che si evolve lentissimamente e quasi impercettibilmente). Di qui le mie considerazioni in merito alla «sterilità fonomorfologica» della classe di vocaboli in questione (ma si notino anche le limitazioni sul lessico da me evidenziate) nonché al fatto che sia destinata a rimanere «marginale» (ovviamente, so bene cosa intendeva il Devoto per «sistema aperto», ma ancora una volta a me qui interessava l’aspetto meramente «strutturale»).

Brevemente su colf: l’esempio (oltre a essere statisticamente irrilevante) non è pertinente: è un’abbreviazione come CISL (che è persino «peggio»). Quanto a bossing, essa è una neanche troppo difficile risemantizzazione del tipo smoking, e poi, come ho già ricordato, perché si possa parlare di vero e proprio «prestito [fono]morfologico», bisognerebbe che il morfema ing si affiggesse anche a parole indigene (escludendo ovviamente occasionalismi scherzosi/pubblicitari).
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Intervento di bubu7 »

Bene! Mi sembra che ci sia sufficiente materiale per alcune riflessioni conclusive.
  1. Oggi sono in atto nell’italiano dei cambiamenti fonemici e fonotattici che stanno modificando il secondo sistema fonologico il quale, però, rimane ancora il sistema in vigore da un punto di vista teorico.
  2. Tra i cambiamenti fonotattici è da annoverare l’accettabilità di alcune terminazioni consonantiche non previste dal secondo sistema. Queste terminazioni non sono ancora produttive, né si può prevedere se in futuro lo diventeranno.
  3. Tra i cambiamenti fonemici è da annoverare la tendenza alla riduzione di una serie di opposizioni le quali, comunque, non sembrano evolvere verso esiti fonici esterni al secondo sistema fonologico. Per questi cambiamenti, a differenza di quello descritto nel punto precedente, si può più facilmente prevedere un consolidamento (a causa di considerazioni sociolinguistiche per le quali nessuna politica praticabile potrebbe invertire l’attuale tendenza).
  4. Molti di questi cambiamenti fonotattici e fonemici sono stati previsti dal Devoto nella trattazione del suo 3° sistema fonologico. La quale trattazione è lungi dall’essere non ambigua come terminologia e sistematica nelle definizioni. D’altra parte se i cambiamenti, più o meno obbligati, si intravedono all’orizzonte solo oggi, figuriamoci come potevano essere percepiti cinquant’anni fa. Questo a parziale giustificazione della vaghezza della proposta di Devoto.
Per concludere, possiamo oggi parlare di un terzo sistema fonologico dell’italiano?

Direi di sì se specifichiamo:
  1. che con questa definizione ci riferiamo a un sistema in parte diverso (come caratteristiche e relativa importanza delle diverse sue parti) da quello tratteggiato da Devoto;
  2. che si tratta di linee di tendenza (e come tali analizzabili più da un punto di vista sociolinguistico che normativo) e che il sistema attualmente consolidato continua a essere il 2°.
E a questo punto la discussione mi sembra, per quanto mi riguarda, davvero conclusa (lo giuro!) a meno che non vengano fatte osservazioni degne di essere prese in considerazione. :mrgreen:
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Intervento di Infarinato »

Condivido in larga misura le sue conclusioni. Mi permetto di fare solo una piccola chiosa ai primi due punti.
bubu7 ha scritto:Oggi sono in atto nell’italiano dei cambiamenti fonemici e fonotattici che stanno modificando il secondo sistema fonologico il quale, però, rimane ancora il sistema in vigore da un punto di vista teorico.
Se per «punto di vista teorico» intende «relativamente alla pronuncia modello», siamo d’accordo. D’altra parte faccio notare che, se, invece di limitarci all’italiano neutro, consideriamo l’insieme degl’italiani regionali, ogni sistematizzazione diventa molto piú difficile.
bubu7 ha scritto:Tra i cambiamenti fonotattici è da annoverare l’accettabilità di alcune terminazioni consonantiche non previste dal secondo sistema. Queste terminazioni non sono ancora produttive, né si può prevedere se in futuro lo diventeranno.
Direi invece che si può prevedere piuttosto tranquillamente che non lo saranno, almeno dal punto di vista fonomorfologico: come ho già ricordato, i morfemi grammaticali d’una lingua costituiscono perlopiú un sistema chiuso.
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:
bubu7 ha scritto:Oggi sono in atto nell’italiano dei cambiamenti fonemici e fonotattici che stanno modificando il secondo sistema fonologico il quale, però, rimane ancora il sistema in vigore da un punto di vista teorico.
Se per «punto di vista teorico» intende «relativamente alla pronuncia modello», siamo d’accordo. D’altra parte faccio notare che, se, invece di limitarci all’italiano neutro, consideriamo l’insieme degl’italiani regionali, ogni sistematizzazione diventa molto piú difficile.
Sì, intendevo proprio l’attuale pronuncia modello, ma sottolineandone il suo aspetto essenzialmente teorico, perché essa non è desunta da un’analisi di frequenza delle effettive realizzazioni sul territorio nazionale.
Come giustamente osserva, da questo punto di vista è praticamente impossibile una sistematizzazione se non come minimo comune denominatore dei diversi italiani regionali.
È quello che alcuni teorici, tra cui il Mioni, vanno sostenendo. Questa posizione trova riscontro nella tendenza a dare meno peso alle opposizioni, alle quali si riferiva il Mioni nella citazione dal suo saggio, e che è una conseguenza dell’osservazione che le effettive realizzazioni personali, per quasi l’ottanta per cento degl’italiani (che appartengono alle regioni non standardizzanti), è spesso completamente imprevedibile, influenzata com’è dai sistemi fonologici dialettali e dagl’ipercorrettismi.
Infarinato ha scritto:
bubu7 ha scritto:Tra i cambiamenti fonotattici è da annoverare l’accettabilità di alcune terminazioni consonantiche non previste dal secondo sistema. Queste terminazioni non sono ancora produttive, né si può prevedere se in futuro lo diventeranno.
Direi invece che si può prevedere piuttosto tranquillamente che non lo saranno, almeno dal punto di vista fonomorfologico: come ho già ricordato, i morfemi grammaticali d’una lingua costituiscono perlopiú un sistema chiuso.
Tutto sommato, condivido questa sua visione ottimistica. :)
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bubu7 ha scritto: Sì, intendevo proprio l’attuale pronuncia modello, ma sottolineandone il suo aspetto essenzialmente teorico, perché essa non è desunta da un’analisi di frequenza delle effettive realizzazioni sul territorio nazionale.
Questa frase va chiarita per non mettere a dura prova la tolleranza di Infarinato. :wink:

Mi riferisco, in particolare, al seguente criterio di selezione delle pronunce indicato nel DiPI (grassetto mio):
Gli attori, doppiatori, presentatori, annunciatori di professionalità medio-superiore, per la distribuzione dei fonemi e per le realizzazioni fonetiche e intonative.
Mi chiedo se sia opportuno consigliare un'unica pronuncia moderna basandosi s’una frequenza di realizzazioni effettive così bassa come quella rappresentata dagli attori, ecc.
A mio parere sarebbe meglio consigliare, a volte, due pronunce modello, nel caso che le due frequenze di realizzazioni, da parte di tutti gl’italiani di cultura medio-superiore (appartengano o meno alle regioni standardizzanti), si equivalessero e quindi ammettere con Mioni che le opposizioni di cui parla tendono sempre più ad essere solo varianti e che non si può consigliare uno dei due termini dell’opposizione.

Tutto questo anche tenendo conto del fatto che le quattro classi di pronuncia definite nel DiPI:
...si differenziano soprattutto per la loro diffusione e frequenza…
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Grazie, Infarinato.
M'avvedo che anche il De Mauro classifica sud come fondamentale, mentre gli altri tre sono solo d'alto uso.
Tuttavia, sarà anche vero che statisticamente sud può essere il piú ricorrente dei quattro, ma mi pare che in questo caso i fini sistematici soverchino quelli statistici, piú capricciosi. Si pensi alle indicazioni stradali e geografiche: la preminenza di uno sugli altri è del tutto insensata, in quanto è la quaterna in sé a essere fondamentale.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:
bubu7 ha scritto:La domanda è: «La riduzione di queste opposizioni (che nel caso delle vocali tende a produrre, oltre a semplici varianti stilistiche anche pronunce con apertura intermedia) si può considerare una modifica significativa (visto che è anche produttiva) del sistema fonologico classico tanto da poter parlare di un nuovo sistema fonologico?
[...]
Sí, ma
  1. [...]
  2. a tutt’oggi un fonetista come il Canepàri, che purista strutturale di certo non è, tuona sull’importanza di quelle opposizioni(*) per la pronuncia neutra (o «modello»: si veda il punto 1 del mio intervento).
[...]
_____________________

(*) Perlomeno, per quanto riguarda /e ~ E/ e /o ~ O/: «ridimensiona» invece l’opposizione /ts ~ dz/; quanto a /s ~ z/, il suo rendimento funzionale è sempre stato comunque bassissimo.
Non c’è dubbio che il Canepari sottolinei l’importanza delle opposizioni, ma questa sottolineatura si accompagna al riconoscimento che le coppie in questione (anche /e ~ E/ e /o ~ O/) sono in realtà coppie di semifonemi.
Anche spiegando il motivo dell’importanza di queste opposizioni Canepari si ritrova, nella valutazione delle opposizioni considerate, sulle posizioni di Mioni.
Riporto dal MaPI (1999) p. 34 (grassetto mio):
…il vero valore della pronuncia neutra non sta tanto nel potere di distinzione semantica dei fonemi /e E, o O/ e /ts dz, s Z/ […] quanto invece in una funzione fonostilistica, per la sensazione di eleganza nella dizione, che non manca di colpire anche coloro che usano pronunce regionali, e magari dileggiano chi è in grado d’usare la pronuncia neutra.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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