Animo Grato ha scritto:Il dubbio si spiega con la compresenza, nell'italiano "moderno", di due costruzioni non pienamente compatibili: il
si passivante (che nell'italiano tradizionale/fiorentino è l'unico modo di esprimere l'impersonalità) e il
si impersonale propriamente detto (che però è una costruzione più tarda e dovuta, a quanto pare, a un'errata interpretazione - settentrionale - dell'uso fiorentino).
La prima porta a
si intendono, la seconda a
si intende.
Senza dimenticare che il mancato accordo con un soggetto plurale
posposto fa sempre parte della tradizione toscana.
Sí… Direi, però, che qui siamo comunque in presenza di un «
si passivante/passivo», in cui la prima opzione (con accordo al plurale) è conforme alla norma attuale, mentre la seconda (con mancato accordo col soggetto posposto) è aderente all’uso tradizionale/toscano. Il «
si impersonale» vero e proprio si può avere solo in presenza di un verbo intransitivo:
si va (inaccusativo semplice),
ci si accorge (inaccusativo pronominale),
si dorme (inergativo), oppure —settentrionalmente— in presenza di un verbo transitivo
con clitico oggetto espresso:
li si mangia (per il tradizionale
si mangiano).
Ora, però, qui non ci troviamo difronte a un banale
si misura(
no), sibbene a un
s’intende/
intendono misurare, cioè difronte a un verbo che regge una proposizione infinitiva.
Ora, affinché sia possibile l’accordo al plurale, bisogna che quel
si passivante si riferisca a
misurare (con
gli eventi soggetto di
misurarsi [passivo]). Altrimenti, saremmo, sí, sempre in un caso di
si passivante, il cui soggetto, però, non sarebbero piú
gli eventi, bensí l’intera proposizione infinitiva e l’accordo andrebbe inevitabilmente al singolare, come in «s’intende affermare che…» (e
gli eventi sarebbero semplicemente l’oggetto di
misurare [attivo]). E, perché ciò sia possibile, dev’essere possibile la «(ri)salita del clitico» (
si, da
misurarsi a
intendersi, con ulteriore accordo al plurale dettato dalla natura di questo particolare
si [passivante]), cioè
intendere dev’essere un «verbo a ristrutturazione».
I verbi a ristrutturazione comprendono «verbi modali» (
dovere,
potere,
sapere,
volere,
avere a,
solere: se ne parlò
qui), «verbi aspettuali» ([
in/
ri]
cominciare a,
continuare a,
finire di,
seguitare a,
stare per), verbi di stato o movimento (
andare a,
stare a,
tornare a,
venire a),
mandare nelle combinazioni
mandare a chiamare/
dire/
prendere con complemento oggetto [di
mandare] inespresso (
cfr. Grande grammatica italiana di consultazione, vol. II, §IX.3.3.1).
E
intendere è un verbo a ristrutturazione? Nel senso generico di «volere», possiamo dire di sí, anche se al mio orecchio frasi quali
lo intende fare (per
intende farlo) e
cose che s’intendono fare risultano meno naturali di
lo vuole fare e di
cose che si vogliono fare…
P.S. Il congiuntivo conferisce alla relativa in esame una sfumatura di eventualità, ma
non è affatto obbligatorio.