Sul bilinguismo

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Moderatore: Cruscanti

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Intervento di Freelancer »

u merlu rucà ha scritto:Nell'interessantissima intervista segnalata da Uri Burton si parla della capacità naturale di acquisizione e dell'impossibilità di un bilinguismo perfetto «La lingua straniera si impara, la lingua nativa si acquisisce. E si acquisisce – come del resto altre cose per le quali siamo predisposti – entro un margine di tempo ristretto. Per questo il bilinguismo assoluto è pressoché irraggiungibile, salvo – beninteso – che il bambino non acquisisca durante l’età critica non una ma due lingue.» Mi domando, a questo punto, cosa si intenda per lingua nativa, pensando, per esempio, al caso di un bambino, nato e abitante in Italia, che ha genitori con cui parla in arabo e insegnanti e compagni della scuola materna con cui parla italiano: di fatto questo bambino ha due lingue native. C'è anche il caso in cui l'ambiente e le tendenze socio-culturali non impediscono l'acquisizione di due lingue, ma interdicono l'uso di una. Mi riferisco ad una situazione frequente a partire dagli anni 60, quando molti genitori, pur parlando in dialetto fra loro e con gli amici e parenti, usavano l'italiano (considerato mezzo di promozione sociale) con i figli. Questi figli hanno acquisito comunque il dialetto, lo capiscono perfettamente ma non lo parlano. In questo caso l'acquisizione naturale è stata limitata da fattori sociali.
Sul concetto di madrelingua, che è stato introdotto credo da Noam Chomsky in Syntactic Structures là dove scrive "The sentences generated wil have to be acceptable to the native speaker" senza mai definire cosa sia un native speaker, esiste un interessante libro di Thomas M. Paikeday ("...a member of the pre-Choamsyan school of linguistics, for whom the spiritual father is Leonard Bloomfield"), pubblicato nel 1985: The native speaker is dead! An informal discussion of a linguist myth with Noam Chomskly and other linguists, philosophers, psychologists, and lexicographers. Dal retro di copertina:
[...] Linguists such as Chomsky swear by the insights and intuitions of the "native speaker", a term that has not been defined even in the unabridged Webster or Oxford.
[...] In this book, with the help of over 40 international scholars in linguistics and related disciplines, lexicographer Paikeday makes a contextual analysis of "native speaker" to show that its true meaning is "proficient user of a language."
[...] The Native Speaker is Dead! seeks to establish the principle that, as in walking, swimming, [...], there is little that is native about language competence.
È una definizione che mi trova d'accordo, perché il criterio del grado di competenza linguistica permette chiare definizioni. Nel caso ad esempio di due persone entrambe nate e cresciute nello stesso paese ma uno con un'istruzione elementare l'altro con istruzione universitaria, si potrà dire che sono entrambi madrelingua ma questo non ci dà molte informazioni utili, mentre ovviamente hanno due livelli completamente diversi di competenza linguistica.
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Intervento di Freelancer »

Freelancer ha scritto:...Nel caso ad esempio di due persone entrambe nate e cresciute nello stesso paese...
Mi era venuto il dubbio se scrivendo "nate e cresciute" avevo fatto un calco della tipica espressione inglese "born and raised" e allora ho guardato in rete, dove ci sono 137.000 occorrenze dell'espressione, tra cui una dal canto XXIII dell'Inferno:
E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa, e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
Questo per dire che quando parli abitualmente due lingue a volte non sai se stai facendo un calco o stai attingendo alla tua fonte nativa. Bisogna sempre verificare. Per un traduttore fa parte del suo modus operandi. :wink:
Uri Burton
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FATTORI SOCIALI

Intervento di Uri Burton »

u merlu rucà ha scritto:C'è anche il caso in cui l'ambiente e le tendenze socio-culturali non impediscono l'acquisizione di due lingue, ma interdicono l'uso di una. Mi riferisco ad una situazione frequente a partire dagli anni 60, quando molti genitori, pur parlando in dialetto fra loro e con gli amici e parenti, usavano l'italiano (considerato mezzo di promozione sociale) con i figli. Questi figli hanno acquisito comunque il dialetto, lo capiscono perfettamente ma non lo parlano. In questo caso l'acquisizione naturale è stata limitata da fattori sociali.
Certo, sono possibili interventi e interferenze che limitano e secondo la loro veemenza addirittura neutralizzano l’acquisizione della lingua. Tipico è il caso di Genie citato nell’intervista.
Uri Burton
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COMPORTAMENTISMO

Intervento di Uri Burton »

Il parlante nativo è morto

M’accorgo d’essere vittima d’un costante malinteso. Colpa mia. Mi credevo che Bllomfield fosse morto, e non solo biologicamente, e così il comportamentismo. In tutti campi: dalla linguistica alla psicologia, dalla sociologia alla scienza politica. Al punto che fin dal ’70 alla London School of Economics and Political Science lo chiamavano the blind leading the blind. Pazienza.

(Secondo l’Oxford English Dictionary la prima occorrenza di mother tongue risale al 1425; quella di native speaker, che poi compare ben altre diciassette volte, al 1661. In linguistica il concetto di competence in anteposizione a perfomance è stato elaborato dallo stesso Chomsky sulla scia della distinzione di Saussure tra langue e parole. La competenza è inconscia: non è quella del professore di grammatica. L’efficacia con cui si usa la lingua, invece, progredisce con la cultura.)

Qui chiudo. Sull’argomento è già stato sparso troppo inchiostro: non c’è certo bisogno di quello elettronico d’un ignorante come me.

Cordialmente,
Uri Burton
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Re: A CACCIA DELL'ERRORE

Intervento di Uri Burton »

bubu7 ha scritto:
Infarinato ha scritto:Quale «tono», scusi?…
Ci avrei giurato che avrebbe fatto finta di cadere dalle nuvole.

Che delusione... :(
Eppure, Bubu, quel punto interrogativo d’Infarinato m’ha fatto definitivamente pensare a uno scherzo. In fairness (qui l’anglismo ci vuole) confesso che non l’avevo capito. Non le chiedo però scusa neanch’io: so che neppure lei è sacerdote romano.
Uri Burton
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Re: COMPORTAMENTISMO

Intervento di Freelancer »

Uri Burton ha scritto:Il parlante nativo è morto

M’accorgo d’essere vittima d’un costante malinteso. Colpa mia. Mi credevo che Bllomfield fosse morto, e non solo biologicamente, e così il comportamentismo. In tutti campi: dalla linguistica alla psicologia, dalla sociologia alla scienza politica. Al punto che fin dal ’70 alla London School of Economics and Political Science lo chiamavano the blind leading the blind. Pazienza.

(Secondo l’Oxford English Dictionary la prima occorrenza di mother tongue risale al 1425; quella di native speaker, che poi compare ben altre diciassette volte, al 1661. In linguistica il concetto di competence in anteposizione a perfomance è stato elaborato dallo stesso Chomsky sulla scia della distinzione di Saussure tra langue e parole. La competenza è inconscia: non è quella del professore di grammatica. L’efficacia con cui si usa la lingua, invece, progredisce con la cultura.)

Qui chiudo. Sull’argomento è già stato sparso troppo inchiostro: non c’è certo bisogno di quello elettronico d’un ignorante come me.

Cordialmente,
Non intendevo usare competenza nel significato chomskiano bensì in quello più banale di padronanza. Quindi se vuole, sostituisca nella mia ultima riga performance a competenza, d'accordo? Legga dunque "...due livelli completamente diversi di performance linguistica" o "...due livelli completamente diversi di efficacia nell'uso della lingua".
Paikeday non si riferisce al semplice fatto che native speaker compaia nell'Oxford con la banale definizione di 'persona che impara una certa lingua perché dalla nascita vive in un certo paese' o simili, ma al fatto che manca una definizione nel significato linguistico chomskiano, ossia "...someone gifted with special and often infallible grammar insights into the specified language" (dall'introduzione al libro).

In merito all'analogia tra langue di Saussure e competenza di Chomsky, c'è una differenza, dice Nocentini nel saggio citato sotto: la langue è un'entità oggettiva, che trascende i singoli individui, mentre la competenza è una facoltà individuale; la langue è una convenzione sociale prestabilita, cui gli individui che vengono a far parte di ua comunità linguistica devono adeguarsi mediante l'esercizio dell'apprendimento. Come si giustifica la stessa competenza in tutti gli individui? La risposta di Chomsky è immediata quanto inevitabile: la competenza, almeno entro una certa misura, è innata. E qui nascono i problemi dell'apprendimento del linguaggio dal parte del bambino.

Per quanto riguarda la grammatica trasformazionale di Chomsky e le discussioni su competenza e linguistica dell'esecuzione, può essere utile leggere il saggio di Alberto Nocentini che compare alla fine di Lezioni di sintassi prestrutturale di Giacomo Devoto.

E qui chiudo anch'io.
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Re: A CACCIA DELL'ERRORE

Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:
bubu7 ha scritto:
Uri Burton ha scritto: Garzanti 2003 (che tuttavia registra anche «bailam» sebbene come meno comune...
D'accordo, non sono Orson Well[e]s, ma… potrò fare anch'io una volta un piccolo scherzo... :D
Vedo che ha integrato con una certa evidenza una mia svista sul nome Welles.
Questo nonostante abbia ripetutamente chiesto che questo tipo di errori mi venissero segnalati in privato. Come del resto avevo provveduto in passato nei suoi confronti.
Se non crede opportuno inviarmi una segnalazione privata, la pregherei per il futuro di astenersi dall’effettuare, citando i miei interventi, questo tipo di correzioni.
Mi dica lei, sicuramente più esperto di me nell’etichetta dei forum, se la mia richiesta, ripetutamente formulata, è eccessiva.
A me sembra che, il persistere in questi atteggiamenti, nonostante i miei reiterati inviti, non contribuisca certo a rasserenare lo stato d’animo come aveva auspicato non molto tempo fa.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Intervento di Bue »

Confermo l'osservazione della mia partner gattovolpesca o culocamicesca giuliatonelli sulla permalosità degli utenti di questo forum! :wink:
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Intervento di bubu7 »

Non so se sia arrivato il momento di chiudere questa discussione.
Ho l’impressione che usare definizioni troppo formalizzate in determinate teorie possa disorientare il lettore non specializzato.

Vorrei quindi fissare alcuni punti elementari.

Esiste una base biologica, genetica, che condiziona l’apprendimento del linguaggio.
Questa base predispone le persone (tutte le persone del mondo) all’accettazione di certe relazioni tra le sensazioni che verranno tradotte in rappresentazioni linguistiche.

Esiste poi una prima fase di apprendimento del linguaggio nella quale si forma la nostra rappresentazione del mondo. Questa fase, che dura un certo numero di anni, porta all’acquisizione della lingua materna. Si tratta di un momento importantissimo perché attraverso la lingua materna noi conosciamo il mondo.

In una fase successiva si può apprendere una seconda lingua, ma questo apprendimento rappresenta essenzialmente un’abilità tecnica, che può si condizionare la nostra visione del mondo, ma a un livello molto più superficiale.

Per quanto riguarda il bilinguismo perfetto, secondo me, esso può anche essere acquisito tecnicamente, cioè posso parlare perfettamente due (o più) lingue. Ma se intendiamo il linguaggio come rappresentazione del mondo, mi sembra difficile che questa rappresentazione possa avvenire contemporaneamente in due lingue diverse. Questo è il punto più complicato da spiegare.
Un bambino può anche avere la competenza tecnica perfetta di due lingue ma la sua rappresentazione del mondo dipenderà da una sola lingua (ovviamente sto facendo il caso di lingue significativamente diverse e non dei dialetti italiani e dell’italiano). In caso contrario questo bambino potrebbe soffrire di problemi di dissociazione mentale.

Personalmente, quindi, non sono d’accordo con la seguente affermazione di Iggy Roca, riportata da Uri Burton:
Per questo il bilinguismo assoluto è pressoché irraggiungibile, salvo – beninteso – che il bambino non acquisisca durante l’età critica non una ma due lingue.
Una cosa è il bilinguismo tecnico e un’altra una doppia rappresentazione del mondo. Il primo, secondo me, si può acquisire in qualsiasi momento della vita, il secondo, invece, mi sembra impossibile.

Secondo me questi sono temi interessanti che varrebbe la pena approfondire.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Uri Burton
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BILINGUISWMO

Intervento di Uri Burton »

bubu7 ha scritto:...Personalmente, quindi, non sono d’accordo con la seguente affermazione di Iggy Roca, riportata da Uri Burton:
Per questo il bilinguismo assoluto è pressoché irraggiungibile, salvo – beninteso – che il bambino non acquisisca durante l’età critica non una ma due lingue.
Una cosa è il bilinguismo tecnico e un’altra una doppia rappresentazione del mondo. Il primo, secondo me, si può acquisire in qualsiasi momento della vita, il secondo, invece, mi sembra impossibile...
Magari fosse possibile raggiungerlo a qualsiasi età. Sapesse quanto ci hanno provato Carlo Marx, Joseph Conrad e, più recentemente, Vladimir Nabokov. Manca sempre, per il bilinguismo tecnico, l’intonazione (ancora più che la pronuncia) e la capacità creativa; vale a dire, la certezza di potersi discostare dalle costruzioni conosciute e rientrare nello stesso tempo nel novero delle persone del posto. Non so perché, ma in Italia molti sono convinti del contrario: una convinzione che fa sorgere il dubbio che si confonda la lingua madre con la madre superiora. Semmai proprio la visione del mondo può mutare nel corso d’una lunga permanenza all’estero e attraverso esperienze culturali e di vita diverse da quelle fatte nel proprio Paese. Raggiungibile con lo studio, l’applicazione e la pratica è invece l’apprendimento della cosiddetta "seconda lingua"; ossia una conoscenza a un grado intermedio tra quello del bilingue e quello della lingua come semplice lingua straniera.
Uri Burton
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[FT] Re: A CACCIA DELL'ERRORE

Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Vedo che ha integrato con una certa evidenza una mia svista sul nome Welles.
Questo nonostante abbia ripetutamente chiesto che questo tipo di errori mi venissero segnalati in privato…

Mi dica lei, sicuramente più esperto di me nell’etichetta dei forum, se la mia richiesta, ripetutamente formulata, è eccessiva.
Sí, in questo caso, come ha ben ironizzato Bue, è francamente un po’ eccessiva: non si trattava infatti della segnalazione d’un marchiano errore di grammatica (risultante o meno da un laspus calami: il lettore occasionale potrebbe infatti equivocare, e una segnalazione privata è sicuramente un atto di gentilezza nei confronti dell’autore), ma di quella della grafia errata (e nemmeno «troppo errata», per la verità) d’un cognome straniero, fatta piú che altro per «dovere di cronaca» [e sua informazione, nel caso non si trattasse d’un refuso]: un «peccato» davvero veniale, che nessuno —stia pur tranquillo— ascriverà a sua infamia imperitura, quand’anche di refuso non si trattasse.
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Re: BILINGUISWMO

Intervento di bubu7 »

Uri Burton ha scritto: Manca sempre, per il bilinguismo tecnico, l’intonazione (ancora più che la pronuncia) e la capacità creativa; vale a dire, la certezza di potersi discostare dalle costruzioni conosciute e rientrare nello stesso tempo nel novero delle persone del posto.

A me sembra però che più che di impossibilità si possa parlare di [maggiore o minore] difficoltà. Del resto, le difficoltà di cui parliamo riguardano anche gl’italiani che si spostano da una regione all’altra.
Uri Burton ha scritto: Semmai proprio la visione del mondo può mutare nel corso d’una lunga permanenza all’estero e attraverso esperienze culturali e di vita diverse da quelle fatte nel proprio Paese.
Forse quando parliamo di “visione del mondo” ci riferiamo a due livelli gerarchici diversi.
Le mutazioni a cui sembra riferirsi lei sono quelle che accompagnano lo svolgersi delle vite personali: mutazioni connesse colla propria crescita e maturazione personale, siano o meno accompagnate da spostamenti geografici nella propria nazione o all’estero (sicuramente variazioni nell’ambiente esterno e le esperienze culturali possono mutare la nostra concezione del mondo).
Quando io parlo di “visione del mondo” mi riferisco a qualcosa di più vicino al livello fisiologico e psichico.
Le categorie interpretative della realtà che il bambino acquisisce, inscindibili dalla traduzione linguistica del mondo, devono essere non contraddittorie.
Se due lingue interpretano e delimitano i costituenti della realta in modi concorrenti esse non possono essere acquisite contemporaneamente dall’individuo come griglie per leggere il mondo.

A questo livello, una visione alternativa del mondo è acquisibile per apprendimento successivo, ma gli strumenti di questo apprendimento saranno sempre quelli del sistema primitivo. La seconda visione sarà un esercizio filosofico, un esercizio tecnico, un linguaggio di secondo livello (nella lingua degl’informatici) ma tra l’hardware e il linguaggio evoluto ci sarà il linguaggio macchina (prenda quest’esempio colle pinze).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Bue »

Il fatto e` che le persone genuinamente bilingui (quelle che hanno i genitori di madrelingua diversa) esistono. Mi sembra abbastanza vano discuterne accademicamente come se non si avesse accesso almeno a parte dell'informazione. L'abbiamo, basta prendere queste persone e chiedere loro direttamente come stanno le cose! Non potremo mai entrare nella testa altrui, ma almeno chiedere se hanno una lingua preferenziale per rappresentarsi il mondo si`!
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Intervento di bubu7 »

Bue ha scritto: ... basta prendere queste persone e chiedere loro direttamente come stanno le cose!
Come ho fatto a non pensarci prima! :D
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:
Bue ha scritto: ... basta prendere queste persone e chiedere loro direttamente come stanno le cose!
Come ho fatto a non pensarci prima! :D
Una paginetta che offre forse qualche utile ragguaglio…
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