Uscita in «-ó» e apocopi regionali
Inviato: sab, 29 gen 2022 14:41
Anni fa abbiamo toccato qui il tema dell'uscita -ó e della sua estraneità alle strutture italiane; argomento risollevato di recente qui.
Volevo chiedere, al riguardo, come dobbiamo intendere troncamenti regionali del tipo /dotto̍(*)/, /professo̍(*)/, /preto̍(*)/, /padro̍(*)/ (non essendoci un uso "normale" stabilizzato, trascritti ora con l'apostrofo ora con l'accento: preto', signó: v. la Grammatica italiana di Serianni, § I.99) in relazione all'italiano normale di base toscana. Forme aliene, assimilabili a forestierismi (come /robo̍(*)/ robot, ecc., quindi eventualmente da correggere in dottò, professò, ecc., con /-ɔ̍(*)/; cfr. burò), o forme "accettabili" così come sono?
Un toscano, incontrandole in un testo scritto (segnate coll'apostrofo, in modo da non essere influenzato dalla "pendenza" dell'accento), come le pronuncerebbe?
Volevo chiedere, al riguardo, come dobbiamo intendere troncamenti regionali del tipo /dotto̍(*)/, /professo̍(*)/, /preto̍(*)/, /padro̍(*)/ (non essendoci un uso "normale" stabilizzato, trascritti ora con l'apostrofo ora con l'accento: preto', signó: v. la Grammatica italiana di Serianni, § I.99) in relazione all'italiano normale di base toscana. Forme aliene, assimilabili a forestierismi (come /robo̍(*)/ robot, ecc., quindi eventualmente da correggere in dottò, professò, ecc., con /-ɔ̍(*)/; cfr. burò), o forme "accettabili" così come sono?

Un toscano, incontrandole in un testo scritto (segnate coll'apostrofo, in modo da non essere influenzato dalla "pendenza" dell'accento), come le pronuncerebbe?