Plurale di «specie» e «serie»

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Lorenzo Federici
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Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Lorenzo Federici »

I sostantivi in italiano derivano dall'accusativo latino. Nel caso di quelli in -iēs, però, l'italiano ha -ie sia al plurale che al singolare:
  • specie, specie da speciem, speciēs;
  • serie, serie da seriem, seriēs.
Ma anche:
  • superficie, superfici da superficiem, superficiēs.
Andando a guardare termini con una terminazione simile, notiamo che in italiano abbiamo:
  • ragione, ragioni da rātiōnem, rātiōnēs;
  • magione, magioni da mānsiōnem, mānsiōnēs;
  • azione, azioni da āctiōnem, āctiōnēs;
  • cane, cani da canem, canēs.
Direi che quindi il passaggio da -ēs non accentato a -i è regolare. Quindi, com'è possibile che i plurali di specie e serie e non siano speci e seri?

Inoltre, la forma superficie per il plurale è rara secondo il DOP, mentre speci è una forma rarissima. Serie è dato invariabile.

C'è un motivo in particolare per questa differenza?
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Infarinato »

Sí, che il suo elenco fa acqua da tutte le parti: specie, serie, superficie e azione sono tutte voci dotte, mentre magione è un [antico] francesismo.
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Lorenzo Federici
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Lorenzo Federici »

Mentre ragione è di tradizione ininterrotta, giusto? Comunque, la domanda rimane: se i primi quattro sono tutti termini dotti, come mai hanno avuto ognuno un trattamento diverso? Dipende dal periodo in cui sono arrivati in italiano? Dall'ambito d'uso?
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Infarinato »

Diverso da che? Sono voci dotte!
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Lorenzo Federici
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Lorenzo Federici »

Mi spiego meglio:
  • serie è invariabile;
  • specie è invariabile, rarissimo speci;
  • superficie ha superfici, raro superficie.
Eppure sono tutti termini di origine dotta e tutti derivano da termini con -em, -ēs in latino. Anche senza indicare la quantità vocalica (-em, -es), il plurale più spontaneo dovrebbe essere quello degli altri termini che finiscono in -e, quindi -i. C'è un motivo se uno di questi è invariabile, un altro è solitamente invariabile e un altro ancora ha il plurale regolare e meno comunemente è invariabile?
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G. M.
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di G. M. »

Lorenzo Federici ha scritto: mar, 14 feb 2023 12:19 C'è un motivo se uno di questi è invariabile, un altro è solitamente invariabile e un altro ancora ha il plurale regolare e meno comunemente è invariabile?
Mi pare che la cosa sia facilmente spiegabile in termini pragmatici:
  1. le parole in -ie al singolare (i non accentata) sono tradizionalmente invariabili in italiano: acuzie, balbuzie, temperie, barbarie, carie, calvizie, proluvie, ecc.;
  2. per specie e superficie, non pronunciandosi (in italiano) la i, si è manifestata storicamente la tendenza a pluralizzare regolarmente secondo la modalità più comune (come vece, pl. veci; face, pl. faci, ecc.).
Si confronti effigie.
valerio_vanni
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di valerio_vanni »

Lorenzo Federici ha scritto: mar, 14 feb 2023 10:35 Inoltre, la forma superficie per il plurale è rara secondo il DOP, mentre speci è una forma rarissima. Serie è dato invariabile.

C'è un motivo in particolare per questa differenza?
Di solito è la quinta declinazione che ha prodotto dei sostantivi invariabili.
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Lorenzo Federici
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Lorenzo Federici »

valerio_vanni ha scritto: mar, 14 feb 2023 16:56 Di solito è la quinta declinazione che ha prodotto dei sostantivi invariabili.
Non sarei così categorico. I sostantivi di quinta declinazione sono pochi, ma dei più comuni non è proprio così.

Da fidem, fidēs abbiamo avuto fede, fedi, mentre da diem, diēs abbiamo avuto l'invariabile .

Da merīdiem abbiamo avuto merigge e meriggio con meriggi come plurale.

Da spem c'è l'evidente cultismo speme col plurale spemi.

Di aciem abbiamo solo acciaio. Di rem, rēs non abbiamo discendenti diretti, lo ritroviamo invariabile in repubblica, repubbliche, ma non lo conterei.

Da faciem, faciēs e da rabiem, rabiēs abbiamo avuto faccia, facce e rabbia, rabbie.

Infine effigiem, effigiēs ha dato effigie, effigi con effigie come alternativa e prōgeniem, prōgeniēs ha generato progenie invariabile.

Degli altri, l'italiano ha preferito la variante delle altre declinazioni.
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Re: Plurale di «specie» e «serie»

Intervento di Infarinato »

Il problema è che, come ho cercato di far presente, mescolando voci dotte e voci di tradizione ininterrotta, non se ne viene a capo.
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, II. Morfologia, p. 19, ha scritto: 355. La quinta declinazione latina. A seguito della scomparsa dei vari casi, questa declinazione perdette i suoi elementi caratteristici. Di regola i vocaboli che vi appartenevano passarono, dato il loro genere quasi esclusivamente femminile, alla declinazione in -a. Abbiamo cosí, nel toscano come nella lingua letteraria, faccia, rabbia, scabbia. Particolarmente facile fu questo trapasso per le parole formate col suffisso -ities, le quali già nel latino classico avevano non di rado accanto a sé una forma in -itia (tristities : tristitia, luxuries : luxuria). L’antica lingua conobbe anche la ghiaccia (frequente in Dante), tuttora vivo nel piemontese e nell’emiliano; cfr. anche la Via della Ghiaccia a Milano e a Firenze. Negli antichi poeti (Rinaldo d’Aquino, Brunetto Latini, Cecco Angiolieri) s’incontra inoltre la dia (che è pure dell’antico genovese).

Altre parole della quinta declinazione hanno invece conservato la vocale finale caratteristica, passando quindi alla terza declinazione: cfr. fides > fede, o l’antico madiere, o l’antico toscano merigge. Qui gli esempi son piú numerosi nei dialetti: calabrese e salentino la facce, siciliano la facci, lucchese matiere, calabrese settentrionale vicchjizzi, romanesco e umbro antichi la die. Anche il toscano nordoccidentale (Lunigiana) maśéro (con -o secondario) ‘muro a secco’ si riattacca direttamente a maceries. Per l’antico, citiamo il romanesco forteze, belleze, l’aquilano riccheze, chiareze, siciliano belleze, pugliese alegrece, gravece (Monaci, 594). In testi medievali di Velletri si legge facce, gentileze, infanteze, certeze, parenteze, vecchieze (Crocioni, SR 5, 49), nell’antico napoletano («Bagni di Pozzuoli») magrecze, facze, gravecze, scurecze. Nel Salento (Brindisi ecc.) si sente ancor oggi la ricchèzzi.
Ricordiamo inoltre che è un’apocope dell’antico (il) die.
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