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Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 10:35
di Lorenzo Federici
I sostantivi in italiano derivano dall'accusativo latino. Nel caso di quelli in
-iēs, però, l'italiano ha
-ie sia al plurale che al singolare:
- specie, specie da speciem, speciēs;
- serie, serie da seriem, seriēs.
Ma anche:
- superficie, superfici da superficiem, superficiēs.
Andando a guardare termini con una terminazione simile, notiamo che in italiano abbiamo:
- ragione, ragioni da rātiōnem, rātiōnēs;
- magione, magioni da mānsiōnem, mānsiōnēs;
- azione, azioni da āctiōnem, āctiōnēs;
- cane, cani da canem, canēs.
Direi che quindi il passaggio da
-ēs non accentato a
-i è regolare. Quindi, com'è possibile che i plurali di
specie e
serie e non siano
speci e
seri?
Inoltre, la forma
superficie per il plurale è rara secondo il
DOP, mentre
speci è una forma rarissima.
Serie è dato invariabile.
C'è un motivo in particolare per questa differenza?
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 10:58
di Infarinato
Sí, che il suo elenco fa acqua da tutte le parti: specie, serie, superficie e azione sono tutte voci dotte, mentre magione è un [antico] francesismo.
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 11:34
di Lorenzo Federici
Mentre ragione è di tradizione ininterrotta, giusto? Comunque, la domanda rimane: se i primi quattro sono tutti termini dotti, come mai hanno avuto ognuno un trattamento diverso? Dipende dal periodo in cui sono arrivati in italiano? Dall'ambito d'uso?
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 12:07
di Infarinato
Diverso da che? Sono voci dotte!
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 12:19
di Lorenzo Federici
Mi spiego meglio:
- specie è invariabile, rarissimo speci;
- superficie ha superfici, raro superficie.
Eppure sono tutti termini di origine dotta e tutti derivano da termini con
-em,
-ēs in latino. Anche senza indicare la quantità vocalica (
-em,
-es), il plurale più spontaneo dovrebbe essere quello degli altri termini che finiscono in
-e, quindi
-i. C'è un motivo se uno di questi è invariabile, un altro è solitamente invariabile e un altro ancora ha il plurale regolare e meno comunemente è invariabile?
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 13:22
di G. M.
Lorenzo Federici ha scritto: mar, 14 feb 2023 12:19
C'è un motivo se uno di questi è invariabile, un altro è solitamente invariabile e un altro ancora ha il plurale regolare e meno comunemente è invariabile?
Mi pare che la cosa sia facilmente spiegabile in termini pragmatici:
- le parole in -ie al singolare (i non accentata) sono tradizionalmente invariabili in italiano: acuzie, balbuzie, temperie, barbarie, carie, calvizie, proluvie, ecc.;
- per specie e superficie, non pronunciandosi (in italiano) la i, si è manifestata storicamente la tendenza a pluralizzare regolarmente secondo la modalità più comune (come vece, pl. veci; face, pl. faci, ecc.).
Si confronti
effigie.
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 16:56
di valerio_vanni
Lorenzo Federici ha scritto: mar, 14 feb 2023 10:35
Inoltre, la forma
superficie per il plurale è rara secondo il
DOP, mentre
speci è una forma rarissima.
Serie è dato invariabile.
C'è un motivo in particolare per questa differenza?
Di solito è la quinta declinazione che ha prodotto dei sostantivi invariabili.
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 18:41
di Lorenzo Federici
valerio_vanni ha scritto: mar, 14 feb 2023 16:56
Di solito è la quinta declinazione che ha prodotto dei sostantivi invariabili.
Non sarei così categorico. I sostantivi di quinta declinazione sono pochi, ma dei più comuni non è proprio così.
Da
fidem,
fidēs abbiamo avuto
fede,
fedi, mentre da
diem,
diēs abbiamo avuto l'invariabile
dì.
Da
merīdiem abbiamo avuto
merigge e
meriggio con
meriggi come plurale.
Da
spem c'è l'evidente cultismo
speme col plurale
spemi.
Di
aciem abbiamo solo
acciaio. Di
rem,
rēs non abbiamo discendenti diretti, lo ritroviamo invariabile in
repubblica,
repubbliche, ma non lo conterei.
Da
faciem,
faciēs e da
rabiem,
rabiēs abbiamo avuto
faccia,
facce e
rabbia,
rabbie.
Infine
effigiem,
effigiēs ha dato
effigie,
effigi con
effigie come alternativa e
prōgeniem,
prōgeniēs ha generato
progenie invariabile.
Degli
altri, l'italiano ha preferito la variante delle altre declinazioni.
Re: Plurale di «specie» e «serie»
Inviato: mar, 14 feb 2023 20:34
di Infarinato
Il problema è che, come ho cercato di far presente, mescolando voci dotte e voci di tradizione ininterrotta, non se ne viene a capo.
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, II. Morfologia, p. 19, ha scritto:
355. La quinta declinazione latina. A seguito della scomparsa dei vari casi, questa declinazione perdette i suoi elementi caratteristici. Di regola i vocaboli che vi appartenevano passarono, dato il loro genere quasi esclusivamente femminile, alla declinazione in -a. Abbiamo cosí, nel toscano come nella lingua letteraria, faccia, rabbia, scabbia. Particolarmente facile fu questo trapasso per le parole formate col suffisso -ities, le quali già nel latino classico avevano non di rado accanto a sé una forma in -itia (tristities : tristitia, luxuries : luxuria). L’antica lingua conobbe anche la ghiaccia (frequente in Dante), tuttora vivo nel piemontese e nell’emiliano; cfr. anche la Via della Ghiaccia a Milano e a Firenze. Negli antichi poeti (Rinaldo d’Aquino, Brunetto Latini, Cecco Angiolieri) s’incontra inoltre la dia (che è pure dell’antico genovese).
Altre parole della quinta declinazione hanno invece conservato la vocale finale caratteristica, passando quindi alla terza declinazione: cfr. fides > fede, o l’antico madiere, o l’antico toscano merigge. Qui gli esempi son piú numerosi nei dialetti: calabrese e salentino la facce, siciliano la facci, lucchese matiere, calabrese settentrionale vicchjizzi, romanesco e umbro antichi la die. Anche il toscano nordoccidentale (Lunigiana) maśéro (con -o secondario) ‘muro a secco’ si riattacca direttamente a maceries. Per l’antico, citiamo il romanesco forteze, belleze, l’aquilano riccheze, chiareze, siciliano belleze, pugliese alegrece, gravece (Monaci, 594). In testi medievali di Velletri si legge facce, gentileze, infanteze, certeze, parenteze, vecchieze (Crocioni, SR 5, 49), nell’antico napoletano («Bagni di Pozzuoli») magrecze, facze, gravecze, scurecze. Nel Salento (Brindisi ecc.) si sente ancor oggi la ricchèzzi.
Ricordiamo inoltre che
dí è un’apocope dell’antico (
il)
die.