Il problema è che, come ho cercato di far presente, mescolando voci dotte e voci di tradizione ininterrotta, non se ne viene a capo.
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, II. Morfologia, p. 19, ha scritto:
355. La quinta declinazione latina. A seguito della scomparsa dei vari casi, questa declinazione perdette i suoi elementi caratteristici. Di regola i vocaboli che vi appartenevano passarono, dato il loro genere quasi esclusivamente femminile, alla declinazione in -a. Abbiamo cosí, nel toscano come nella lingua letteraria, faccia, rabbia, scabbia. Particolarmente facile fu questo trapasso per le parole formate col suffisso -ities, le quali già nel latino classico avevano non di rado accanto a sé una forma in -itia (tristities : tristitia, luxuries : luxuria). L’antica lingua conobbe anche la ghiaccia (frequente in Dante), tuttora vivo nel piemontese e nell’emiliano; cfr. anche la Via della Ghiaccia a Milano e a Firenze. Negli antichi poeti (Rinaldo d’Aquino, Brunetto Latini, Cecco Angiolieri) s’incontra inoltre la dia (che è pure dell’antico genovese).
Altre parole della quinta declinazione hanno invece conservato la vocale finale caratteristica, passando quindi alla terza declinazione: cfr. fides > fede, o l’antico madiere, o l’antico toscano merigge. Qui gli esempi son piú numerosi nei dialetti: calabrese e salentino la facce, siciliano la facci, lucchese matiere, calabrese settentrionale vicchjizzi, romanesco e umbro antichi la die. Anche il toscano nordoccidentale (Lunigiana) maśéro (con -o secondario) ‘muro a secco’ si riattacca direttamente a maceries. Per l’antico, citiamo il romanesco forteze, belleze, l’aquilano riccheze, chiareze, siciliano belleze, pugliese alegrece, gravece (Monaci, 594). In testi medievali di Velletri si legge facce, gentileze, infanteze, certeze, parenteze, vecchieze (Crocioni, SR 5, 49), nell’antico napoletano («Bagni di Pozzuoli») magrecze, facze, gravecze, scurecze. Nel Salento (Brindisi ecc.) si sente ancor oggi la ricchèzzi.
Ricordiamo inoltre che
dí è un’apocope dell’antico (
il)
die.