[LIJ] «Massa» ~ «mazza»

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Ligure
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Re: Sonorizzazione

Intervento di Ligure »

Infarinato ha scritto:
Ligure ha scritto:Ammesso - e non concesso - che possa essere esistito un etimo o un prestito dall'esterno del sistema linguistico quale ma[s]a, esso - nei rispettivi sistemi linguistici del Sassello, di Rovegno, di Genova e di . . . dappertutto - avrebbe subito sonorizzazione e si sarebbe avuto ma[z]a.
Codesto non è necessariamente vero, almeno a priori (parlo sempre —sia chiaro— da profano di dialettologia ligure!)… Dipende dalla cronologia relativa dei fenomeni di degiminazione consonantica e di sonorizzazione delle consonanti scempie intervocaliche…

In ogni caso, la ringrazio della dovizia di particolari forniti nel suo intervento precedente, di cui senz’altro condivido l’approccio metodologico e che nella sostanza mi convince.
Spetta anche a me l'obbligo di ringraziarLa per la garbata pazienza dimostrata e l'attenzione rivolta a un argomento di natura molto specifica. La sua osservazione in merito alla geminazione è impeccabile. Non riguarda, per altro, il sistema fonologico di "tipo genovese" cui Rovegno e il Sassello – pur, apparentemente, così "difformi" – appartengono.

Chiarisco: nel sistema genovese la geminazione originaria postaccentuale permane. Altrimenti, non si potrebbero avere forme quali battu, gattu, valle, penna, canna, ballu e infinite altre che – geminate quali si sono a tutt'oggi conservate – non hanno bisogno di essere tradotte.

Quindi, in codesto sistema: ['ka:sa] > ['ka:za] e un "eventuale" ['ma:sa], per altro inesistente (ormai lo sappiamo), darebbe – del tutto regolarmente – ['ma:za]. Ma ['massa] non degemina e permane ['massa]. In codesto sistema la transizione evolutiva ['massa] > ['ma:sa] non si è mai verificata e, ormai, il sistema si sta estinguendo senza ulteriori possibilità evolutive.

Evidentemente, non tocca assolutamente l'aspetto della "durata consonantica" – in realtà, geminazione – la transizione evolutiva da ['maʦʦa] > ['massa], segnalata nei testi locali già a partire dalla seconda metà del sec. XIV – come già riferito – e, ormai, quasi totalmente generalizzata tranne pochissime isole linguistiche di linguaggio arcaico.

In queste – dato che attualmente anche i dialettofoni conoscono l'italianismo massa ['massa] = massa – si ha coppia minima anche col fonema geminato: mazza ['maʦʦa] = 'mazza' versus massa ['massa] = 'massa', non solo tra zèntu ['ʦɛɳtu] = '100' e sèntu '[sɛɳtu]= 'sento, ascolto'!

È solo la "compiacenza socio-linguistica" che fa realizzare a questi ultimi parlanti il "merge" massa ['massa] = 'mazza' e massa ['massa] = 'massa'. "Merge" che corrisponde all'attuale situazione urbana: massa ['massa] = 'mazza' e massa ['massa] = 'massa'.

Sebbene massa ['massa] per 'mazza' risalga – in città – al sec. XIV il "merge" urbano risulta, storicamente, molto recente, solo perché massa ['massa] = 'massa' fino a poche generazioni fa (anche se a noi pare strano, ma esistono prove oggettive) non faceva parte del lessico dei dialettofoni genuini.
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Carnby
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Re: Ascoli-Merlo, AIS e VIVALDI

Intervento di Carnby »

valerio_vanni ha scritto:Ero partito dall'atlante AIS
http://www3.pd.istc.cnr.it/navigais-web/
Mi incuriosiva il fatto che, in Romagna, sono sempre indicate con "s" le "z" (è un errore abbastanza grave, visto che l'opposizione è presente e stabile). In qualche raro caso c'era questo strano diacritico.

Poi l'ho trovato qui, su Vivaldi
http://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index. ... 11&lang=it (alla voce "Borgomaro"). Ma in questo caso mi pare che il simbolo sia giusto, semplicemente non ha a che fare con la zeta romagnola (così come non ci ha a che fare la esse più semplice).
Insomma questo.
Ligure ha scritto: Non solo tra zèntu ['ʦɛɳtu] = 100 e sèntu '[sɛɳtu]= sento, ascolto !
Credo che il simbolo giusto sia [ŋ]: ['ʦɛŋtu], ['sɛŋtu].
Ultima modifica di Carnby in data gio, 03 set 2015 14:06, modificato 1 volta in totale.
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Sixie
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Re: Defonologizzazione

Intervento di Sixie »

Noi (basso Veneto, variante medio-polesana) abbiamo un termine molto simile per indicare uno strumento specifico per la fase post-aratura, ed è màzo, màzo da lòti.

Il màzo da lòti serviva per rompere gli ultimi lòti (zolle indurite dal sole) rimasti sul campo dopo il passaggio della rapegàra (erpice in legno) o del rapeghìn (erpice snodabile, più piccolo della rapegara, completamente in ferro).

Se ancora qualche lòto restava intatto, lo si rompeva con il màzo, specie di cilindro di melo o di pero (i legni più tignìzi, cioè che tengono di più e non si fendono facilmente) e munito di lungo e grosso manico.

Altra cosa il versùro o gomièro, strumento articolato in tutte le sue componenti, usato per l'aratura. La pronuncia è ma-ts-o da noi, vista la vicinanza con l'Emilia; da altre parti potrebbe essere ma-ss-o. Credo assomigli più a un maglio, un grosso martello, più che ad un bastone; una specie di martìn o battipalo.
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
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Re: Ascoli-Merlo, AIS e VIVALDI

Intervento di Ligure »

Carnby ha scritto:
Ligure ha scritto:Non solo tra zèntu ['ʦɛɳtu] = 100 e sèntu '[sɛɳtu]= sento, ascolto !
Credo che il simbolo giusto sia [ŋ]: ['ʦɛŋtu], ['sɛŋtu].
Sì, non so trascrivere con i caratteri adeguati. Ringrazio per la correzione.
Perché - gentilmente -non mi indica un repertorio valido?
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Carnby
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Re: Ascoli-Merlo, AIS e VIVALDI

Intervento di Carnby »

Ligure ha scritto:Perché - gentilmente -non mi indica un repertorio valido?
Potrei consigliarle l'HIPA che però ha molte lacune.
Per l'italiano e i dialetti italoromanzi posso consigliare il Manuale di pronuncia italiana e il Manuale di fonetica di Luciano Canepari che, però, usa un'estensione dell'Alfabeto fonetico internazionale mista con simboli di sua creazione.
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Infarinato
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Re: Sonorizzazione

Intervento di Infarinato »

[url=viewtopic.php?p=50303#p50303]Ligure[/url] (sottolineatura mia) ha scritto:Quindi, in codesto sistema: ['ka:sa] > ['ka:za] e un "eventuale" ['ma:sa], per altro inesistente (ormai lo sappiamo), darebbe – del tutto regolarmente – ['ma:za]. Ma ['massa] non degemina e permane ['massa].
Ora è tutto chiaro: la ringrazio dell’ulteriore delucidazione. :)
Ligure
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Re: Ascoli-Merlo, AIS e VIVALDI

Intervento di Ligure »

Carnby ha scritto:
Ligure ha scritto:Perché - gentilmente -non mi indica un repertorio valido?
Potrei consigliarle l'HIPA che però ha molte lacune.
Per l'italiano e i dialetti italoromanzi posso consigliare il Manuale di pronuncia italiana e il Manuale di fonetica di Luciano Canepari che, però, usa un'estensione dell'Alfabeto fonetico internazionale mista con simboli di sua creazione.
La ringrazio nuovamente. Passo ad approfondire.
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Intervento di u merlu rucà »

Forse non sono stato chiaro, perché vedo tirate in ballo cose che io non ho detto.
Alinei e Loporcaro, con ipotesi opposte, sono accomunati dallo stesso etimo per la denominazione del vomere, ma(s)sa, tipica della parte nord-occidentale dell'Italia, cioè *matea, stesso etimo alla base di mazza. Ipotesi del tutto plausibile se non fosse che, nelle località che mantengono l'esito arcaico del gruppo -tea > -tja > -zz-, le due forme divergono: abbiamo ma(s)sa per "vomere" e ma(z)za per "mazza, bastone". Se osservate nell'AIS in linea le due carte vomere e mazza, potete notarlo non solo nei punti liguri Sassello e Rovegno, ma in molte località del Piemonte.
Quindi, o i nostri raccoglitori tedeschi hanno 'cannato' alla grande, oppure i due termini non hanno la stessa origine, la stessa etimologia. Dato che la non corrispondenza fonetica è per ma(s)sa "vomere", mi sono permesso di avanzare una mia proposta che possa reggere sia da un punto di vista fonetico, sia da un punto di vista semantico. Nel latino, l'unico termine che mi sembra racchiudere le due cose, è massa, che (basta controllare sul Castiglioni-Mariotti) ha in latino anche il significato di "massa metallica" e foneticamente dà, nei dialetti liguri e piemontesi, ma(s)sa.
Per quanto riguarda la pronuncia attuale mazza a Rovegno, mi chiedo se ci possa fidare di chi, come riportato da Ligure, ricorda l'oggetto come una cosa del tempo dei nonni e non dell'informatore di 90 anni fa, quando l'oggetto era di uso comune. Per smontare la mia tesi principale, cioè che massa "vomere" e mazza "bastone" non hanno lo stesso etimo (etimo da me individuato in massa ma che magari potrebbe essere qualche ignoto termine celtico, considerata l'area di diffusione), bisogna anche spiegare il massa "vomere" che domina nella Sicilia sud-orientale. Da dove arriva? Per Alinei: "...in Sicilia sud-orientale il prestito massa si lascia associare alle importanti correnti 'terramaricole' in Sicilia, responsabili della 'settentrionalizzazione' della Sicilia, e identificabili con i Siculi."
Dunque bisogna presupporre che il nostro termine sia arrivato in Sicilia 1.000 anni prima di Cristo e che l'evoluzione fonetica che si riteneva decorrere dal XIV sec. circa in realtà era avvenuta con quasi 2.500 anni di anticipo. Sembra un po' difficile da credere. Certo il termine è un prestito, ma proveniente dalle colonie gallo-italiche che dall'XI/XII secolo si sono insediate in Sicilia. Premesso che l'esito del gruppo -tj- in siciliano è -z- e che ancora oggi le colonie gallo-italiche mantengono -z-, c'è una sola spiegazione: massa non deriva da *matea.
Largu de farina e strentu de brenu.
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u merlu rucà
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Re: Defonologizzazione

Intervento di u merlu rucà »

Sixie ha scritto:Noi (basso Veneto, variante medio-polesana) abbiamo un termine molto simile per indicare uno strumento specifico per la fase post-aratura, ed è màzo, màzo da lòti.
Questo, sì, deriva da *matea, con cambiamento di genere, o magari da un *mateu(m).
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Sach- und Sprach-

Intervento di Ligure »

u merlu rucà ha scritto:Forse non sono stato chiaro, perché vedo tirate in ballo cose che io non ho detto.
Alinei e Loporcaro, con ipotesi opposte, sono accomunati dallo stesso etimo per la denominazione del vomere, ma(s)sa, tipica della parte nord-occidentale dell'Italia, cioè *matea, stesso etimo alla base di mazza. Ipotesi del tutto plausibile se non fosse che, nelle località che mantengono l'esito arcaico del gruppo -tea > -tja > -zz-, le due forme divergono: abbiamo ma(s)sa per "vomere" e ma(z)za per "mazza, bastone". Se osservate nell'AIS in linea le due carte vomere e mazza, potete notarlo non solo nei punti liguri Sassello e Rovegno, ma in molte località del Piemonte.
Quindi, o i nostri raccoglitori tedeschi hanno 'cannato' alla grande, oppure i due termini non hanno la stessa origine, la stessa etimologia. Dato che la non corrispondenza fonetica è per ma(s)sa "vomere", mi sono permesso di avanzare una mia proposta che possa reggere sia da un punto di vista fonetico, sia da un punto di vista semantico. Nel latino, l'unico termine che mi sembra racchiudere le due cose, è massa, che (basta controllare sul Castiglioni-Mariotti) ha in latino anche il significato di "massa metallica" e foneticamente dà, nei dialetti liguri e piemontesi, ma(s)sa.
Per quanto riguarda la pronuncia attuale mazza a Rovegno, mi chiedo se ci possa fidare di chi, come riportato da Ligure, ricorda l'oggetto come una cosa del tempo dei nonni e non dell'informatore di 90 anni fa, quando l'oggetto era di uso comune. Per smontare la mia tesi principale, cioè che massa "vomere" e mazza "bastone" non hanno lo stesso etimo (etimo da me individuato in massa ma che magari potrebbe essere qualche ignoto termine celtico, considerata l'area di diffusione), bisogna anche spiegare il massa "vomere" che domina nella Sicilia sud-orientale. Da dove arriva? Per Alinei: "...in Sicilia sud-orientale il prestito massa si lascia associare alle importanti correnti 'terramaricole' in Sicilia, responsabili della 'settentrionalizzazione' della Sicilia, e identificabili con i Siculi."
Dunque bisogna presupporre che il nostro termine sia arrivato in Sicilia 1.000 anni prima di Cristo e che l'evoluzione fonetica che si riteneva decorrere dal XIV sec. circa in realtà era avvenuta con quasi 2.500 anni di anticipo. Sembra un po' difficile da credere. Certo il termine è un prestito, ma proveniente dalle colonie gallo-italiche che dall'XI/XII secolo si sono insediate in Sicilia. Premesso che l'esito del gruppo -tj- in siciliano è -z- e che ancora oggi le colonie gallo-italiche mantengono -z-, c'è una sola spiegazione: massa non deriva da *matea.
Ovviamente, cedo il passo perché non possiedo le competenze adeguate per poter spaziare su tempistiche così estese.

Mi permetto due sole osservazioni:
  1. Non conosco a sufficienza il piemontese ed evito di esprimermi, ma per quanto riguarda la Liguria – dal savonese al levante – tenderei a escludere che il termine massa sia mai entrato davvero nei dialetti. Tranne in questi ultimi tempi. I dialettofoni genuini hanno sempre parlato di mucchio, mai di massa e, anche quando parlano in italiano, si avvalgono unicamente del verbo ammucchiare. Il verbo ammassare, per altro, nelle zone indicate non è utilizzato nella conversazione in lingua nemmeno da chi ha più di una laurea. E rarissimamente nello scritto. E ciò risulta, comunque, significativo.
  2. Mi spiacerebbe di non essere risultato sufficientemente chiaro in merito alle informazioni riferite. Le quali, tra l'altro, vanno proprio nella direzione dello spirito fondativo dell'AIS: Sach- und Sprachatlas etc. Non complichiamo troppo (ci sono biblioteche colme di libri in merito): parole e cose, o, letteralmente, inversamente. Gli anziani informatori di Rovegno e di altre zone appenniniche vogliono dire solo questo:
    1. L'aratro è di comparsa recente sui nostri monti. Prima si utilizzava solo il bidente e, anche colla comparsa dell'aratro, si continuò ad andare in parallelo;
    2. Anche se (per poco) siamo ancora in provincia di Genova, tutte le "innovazioni tecnologiche" ci sono sempre provenute dalla pianura padana. Compravamo questi strumenti alle fiere. I mezzadri dei dintorni di Genova erano ancora più arretrati di noi e non possedevano aratri… Ancora qualche generazione fa la nostra mazza era di legno, come quella dei poveri africani che abbiamo visto in televisione e pensiamo che si chiami mazza perché si presentava come un ceppo, un grosso bastone.
    Alcuni di codesti tipi di aratri risultano tuttora esposti nei cortili, nei giardini delle villette moderne. Per offrire un tocco di colore locale. Solo dopo, dai "lombardi" – i venditori "nordici", non liguri e non necessariamente lombardi – abbiamo iniziato ad acquistare la punta metallica e a inserircela. Era più efficiente. Abbiamo continuato a chiamarla mazza perché veniva sovrapposta alla mazza, quella di legno, che sta sotto, per capirsi. Ne prese il nome. Nessuna di queste persone conosce il termine "vomere". Proprio nessuna! E continuano: ma pensiamo che, da noi, non siano termini tanto antichi. Prima non c'era la mazza dell'aratro, solo la mazza intesa come bastone o la mazza per battere e la zappa burca = bidente. Non ne conoscono l'equivalente italiano né quello genovese. "E, caro signore, a lei interesserà anche, ma le dico che qui, da noi, la vita non era vita, era una maledizione…". A volte, occorre anche tacere.

    Sach- und Sprach-…
P.S. Che l'impatto iniziale del ruvido ligure sui giovinotti tedeschi abbia prodotto – nonostante le loro grandi potenzialità – molte difficoltà e alquanti pasticci non v'è dubbio…
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Che massa nel senso di «mucchio» o simili non sia popolare in Liguria è evidente. Infatti io parlo di massa latino, nel senso di «massa metallica», come possibile etimo di massa «vomere». Quanto al fatto che l'aratro sia recente nei nostri monti, ho dei dubbi. Certo il bidente (magagliu/bagaggiu, tra parentesi di origine greca) era lo strumento principe, ma ovunque si potesse si arava. Io avevo un vicino di campagna che aveva fatto per molti anni u buà, cioè arava la terra con il bue.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ivan92
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[FT] VIVALDI: Lazio e Marche?

Intervento di Ivan92 »

Chiedo venia per il fuori tema: come mai il Vivaldi s'è disinteressato di Lazio e Marche?
Ligure
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«Mazza» e altro

Intervento di Ligure »

u merlu rucà ha scritto:Che massa nel senso di «mucchio» o simili non sia popolare in Liguria è evidente. Infatti io parlo di massa latino, nel senso di «massa metallica», come possibile etimo di massa «vomere». Quanto al fatto che l'aratro sia recente nei nostri monti, ho dei dubbi. Certo il bidente (magagliu/bagaggiu, tra parentesi di origine greca) era lo strumento principe, ma ovunque si potesse si arava. Io avevo un vicino di campagna che aveva fatto per molti anni u buà, cioè arava la terra con il bue.
Non so se esistano testi attendibili sull'agricoltura in Liguria. Certamente nei documenti antichi scarsi sono i riferimenti lessicali all'aratro e ai suoi componenti. Tipicamente si parla d'altro.

Io, poi, ho riferito le informazioni degli ultimi vecchi, non pretendo che sia verità scientifica.

Mi è stato pure detto che è recente e proviene dalla pianura la pratica dell'allevamento dei bovini. Loro erano pastori, alle prese con bestiame ovino, molto più compatibile con l'orografia locale e l'assenza di sentieri decenti. In altri luoghi, piccole zone arabili e arate saranno pure esistite.

P.S. Anche se non c'entra e, probabilmente, non interesserà a nessuno, fornisco quello che credo essere il motivo del mio fallimento mnestico. Le chiesi di verificare la trascrizione del termine locale per maiale - puorcu ['pwɔrku] (e La ringrazio), mentre la voce trascritta erroneamente nell'AIS — come un'infinità di altre – è puôcu ['pwɔ:ku] = 'poco'. Deve aver operato un'associazione – tipica dei processi mnestici – di tipo fonetico. Io ricordo assai bene – automaticamente, direi – le due pronunce locali e saprei discriminare chi le simulasse male. Ma devo riflettere coscientemente per poter scrivere – con tutti i miei limiti – una trascrizione. Le due pronunce locali sono molto più simili tra loro di quanto non siano associabili porco e poco in un italiano anche solo accettabile. In realtà, ['pwɔrku] sarebbe ['pwɔ:rku] e, inoltre, il tassofono di [r] dei vecchi (geofono?/sociofono?) è molto lontano da un(') [r] italiano(a) accettabile. Si capisce allora come, foneticamente, ['pwɔ:rku] e ['pwɔ:ku] risultino assai meno discriminabili della "corrispondente" coppia italiana.

Per altro, il tassofono di [r] locale – indipendentemente da come debba essere definito foneticamente – si oppone alla locale realizzazione di [-r-] intervocalica ligure. Se, infatti, indichiamo quest'ultima mediante [ŕ] si riscontra opposizione fonematica tra câru ['ka:ŕu] = 'caro' e câru ['ka:ru] = 'carro'.

Ovviamente, non si possono avere coppie minime con [ŕŕ], che non esiste. Infatti, [ŕ] < [-l-] o [-r-] intervocalici semplici, non dai corrispondenti fonemi geminati.

L'archivio Vivaldi scelse per molte località alcuni tra i peggiori informatori, quindi non saprei se dolermi o meno del fatto che non sia stato esteso a tutte le regioni. Persone attive politicamente o socialmente. Ma non i più attendibili sotto un aspetto metodologico. E fornì trascrizioni assai discutibili. L'informatore di Rovegno, ad es., "simula" al meglio il dialetto dei vecchi, ma non realizza molti fonemi in modo attendibile. Rifugge, vergognandosene, le specificità locali, usa soltanto la "propria r appresa a scuola" e non ricorda più molti termini dialettali. La stessa estrema lentezza del parlato indica lo sforzo che deve compiere e l'assenza di spontaneità. Se l'AIS di allora risentì dell'inesperienza dei promettenti giovinotti tedeschi, il Vivaldi di ora risente dell'inesperienza delle fonti. Che, ormai, non possono più "promettere" nulla a nessuno. La base della linguistica non può che essere solidamente sperimentale. Con forte attenzione agli errori – solitamente risultano più interessanti delle risposta "giuste", ma occorre saperli discriminare –, agli aspetti diacronici e all'attendibilità. Degl'informatori e dei raccoglitori. Si tratta di sistemi multidimensionali in cui la gestione degli errori risulta tutt'altro che banale.
Ultima modifica di Ligure in data ven, 04 set 2015 13:40, modificato 1 volta in totale.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

u merlu rucà ha scritto:…etimo da me individuato in massa ma che magari potrebbe essere qualche ignoto termine celtico, considerata l'area di diffusione…
Incidentalmente noto con sommo piacere che il celeberrimo [e monumentale, ancorché ormai un po’ datato] FEW è ora integralmente disponibile in linea. :D Chi ne avesse voglia, potrebbe controllare se un qualche riferimento a vomere o charrue («aratro») fosse eventualmente presente alla voce massa
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Ho dato un'occhiata. Alla voce massa, se ho visto bene, non ho trovato riferimenti a vomere o aratro. Invece alla voce *mattea sono riportate varie forme aostane del tipo massa "soc de la charrue (vomere dell'aratro)", riprese dall'ALF e dall'AIS. Curiosamente ad Aryas "soc de la charrue" è mătse, mentre "versoir (versoio, orecchio dell'aratro)" è māse. Forse è da qui che Alinei ha tratto ispirazione per la sua proposta. Facendo un riassunto generale, il tipo, attualmente, è presente nell'Italia nord-occidentale e nella Sicilia sud-orientale; secondo Alinei è presente anche nell'isola dalmata di Lagosta; le forme attestate sono tutte in -s-, tranne due: quella di Aryas (che convive con una in -s-, anche se con un significato diverso, ma sempre attinente alla sfera semantica dell'aratro) e quella di Galliate (matsa), punto 138 dell'AIS. Anche se le forme con -ts- sono pochissime, mi chiedo se, in realtà, non sia esistito effettivamente un tipo mazza (< *mat(t)ea) più antico, sostituito, quasi completamente, in seguito, da uno più recente (< massa); mazza sarebbe sopravvissuto qua e là e la sua presenza sarebbe documentabile solo in paesi dove mazza "bastone" e mazza "vomere" hanno lo stesso esito -ts-. Insomma, l'errore di Alinei, per così dire, sarebbe non tanto nell'aver presunto l'esistenza di un tipo derivante da *mattea, quanto nel ritenere che tutte le forme massa odierne derivino da *mattea stessa.
Largu de farina e strentu de brenu.
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